Un’intervista che mi ha fatto Laura Fois su L’Universale.

La ringrazio.

In un’intervista via mail, il poeta spazia dall’arte alla situazione della cultura e della politica in Italia, mettendo due generazioni a confronto…

Se Serge Pey l’ha definito “uno fra i maggiori testimoni della poesia contemporanea”, per Jack Hirschman è “un poeta dell’esortazione, un anarchico con coscienza di livello culturalmente internazionale, ed una produzione di tale ispirazione e tanto catalisticamente avanti da essere progenitrice come lo sono stati Antonin Artaud in Francia e Julian Beck con il Living Theater negli U.S.A”. Alberto Masala non ha certo bisogno di presentazioni se non fosse tanto acclamato internazionalmente quanto sconosciuto in patria. Restio a pubblicare libri (anche se alla fine l’hanno convinto), testardo cultore e difensore della poesia orale in quanto sardo. “Non dimentico mai”, scrive nel suo blog, di provenire da una società che si è mantenuta attraverso la produzione orale”. Masala appartiene poi alla Beat Generation, perché la sua è anche poesia di rottura. Ha tradotto racconti inediti di Kerouac; di Hirschman e di Gregory Corso è un grande amico. Ad aprile di quest’anno, il suo capolavoro, “Alfabeto di strade (e altre vite)”, è stato mandato in ristampa a un anno dalla sua uscita. Negli Stati Uniti è andato a ruba. Alberto Masala è un poeta che vive di scrittura.
Di scrittura? La prima domanda mi è sorta spontanea, nella nostra lunga corrispondenza via mail. E anche se lui mi ha risposto dalla tastiera di un pc, a me è sembrato di non averle lette queste sue parole che seguono, ma di averle ascoltate. Perché ogni parola del poeta è voce, essenza che si propaga in chi non ha voce, e alfabeto di comunicazioni e significati che ti entrano in testa e restano, come la colonna sonora delle nostre vite.

Come si fa a vivere solo di scrittura di questi tempi?

Non lo so… davvero… so solo che ogni volta che sembra che stia per sprofondare arriva qualcosa: un reading, un concerto, un laboratorio, un seminario, una conferenza, un festival, il bonifico delle vendite di un libro, una traduzione (io però me le scelgo e decido chi tradurre e chi no…), o la ‘commissione’ per scrivere (come l’opera per Jaco Pastorius che ho presentato quest’estate in concerto)… oppure un lavoretto ‘sporco’ (come fare da ghostwriter, ultimamente me ne capitano…) – certo… bisogna che ti conoscano almeno un po’ – . Ma è molto difficile, direi impossibile – infatti non capisco ancora come si fa ed ogni giorno penso di essere vicinissimo al baratro della miseria più estrema – ma non mi preoccupo troppo: succederà qualcosa, vedremo… intanto vado avanti e passano gli anni – alcuni migliori, altri peggiori…

Mi ha incuriosito il link “Io sono un’artista, non vuol dire che lavoro gratis”, che hai pubblicato su Facebook qualche giorno fa. Allora ti chiedo, qual’è la situazione dell’artista italiano, e più in generale della cultura nostrana?

In Italia non c’è alcuna attenzione per la cultura, e negli ultimi decenni la situazione è solo peggiorata fino a toccare una condizione drammatica. Non dico niente di nuovo se affermo che in questo paese non c’è alcun sostegno per gli artisti, ma anche per tutte le forme di studio e di ricerca. In Italia l’intelligenza e lo studio non sono considerati un valore. Non c’è speranza: stiamo assistendo ad un impoverimento generalizzato che umilia le coscienze di chi vorrebbe praticare una professione intellettuale. Non vedo un futuro, almeno nell’immediato. Ci vorrà molto tempo e consapevolezza per poter ricuperare, ma, al presente, ogni giorno che passa annerisce ancora di più l’orizzonte.

Questa politica dei tagli ha per te lo scopo di far promuovere un certo tipo di cultura oppure di far soffocare arti scomode, nuove e indipendenti?

No, è molto peggio… è una politica cieca che tende solo a conservare il privilegio di chi già ce l’ha. Soffoca indifferentemente tutte le arti a tutti i livelli. E chi emerge non è perché fa arte, ma perché ha assonanze col potere a cui è funzionale. Gli altri, chi ce la fa, sopravvivono. I meno garantiti, sono soffocati. Ovviamente soccombono per primi i giovani, gli indipendenti, chi è agli inizi, chi è meno attrezzato…

La tua è poesia civile. Mentre in tutto il mondo ci sono stati manifestazioni e movimenti di persone indignate e organizzate, perché noi italiani non siamo riusciti a fare lo stesso? Come definiresti la situazione attuale in cui versa l’Italia e i giovani italiani?

Spesso mi pongono la stessa questione. E rispondo così: “La mia poesia è certamente incivile vista la posizione nei riguardi della civiltà e le mie origini barbariche. Non esiste poesia civile, esiste solo poesia”. Non credo nell’idea di civiltà.
Chi si fa denominare ‘civile’ nell’arte spesso deve sforzarsi di non cadere nell’Ego ed esibisce come meritoria questa posizione, come un valore, come se non fosse normale. Spesso l’assunzione del ‘civile’ è una tappa per accumulare punteggi di una carriera pavida e prudente. Pasolini e Majakovskij non necessitavano di questa definizione: erano poeti e basta. Io vivo fuori dal contesto, ai margini, quindi non sono civile. Ma scrivo e pronuncio senza sforzo morale. Gli indignados o la Primavera Araba sono fenomeni che mi riguardano perché perseguono istanze di liberazione. Ed ogni movimento di liberazione mi affratella naturalmente. Con la mia scrittura sono già lì da sempre. L’arte non può parlare di libertà, un concetto morale, astratto, svuotato dall’uso distorto che se ne fa, ma deve parlare di liberazione.
Riguardo ai giovani in Italia, vedo fenomeni di lucidità e di luminosità sparsi un po’ ovunque, ma avranno molto da ricuperare in una situazione che ha eletto le merci ed il consumo a paradigma, a misura delle cose. Ho fiducia, incontro continuamente giovani meravigliosi, intelligenti… ma fanno parte di una generazione di Aspettanti che non hanno ancora preso in mano il loro destino. La mia era invece una generazione di Desideranti che cambiava il mondo. Non eravamo migliori, ma il desiderio ed il coraggio erano dei valori portanti. La differenza sta proprio qui. Oggi non si sa distinguere tra bisogni reali e bisogni indotti, si ha paura di non avere, di non possedere, di non sembrare. E tutto si esaurisce con rapidità.

Come definisci la politica? Se l’arte deve parlare di liberazione la politica di cosa dovrebbe parlare o meglio cosa dovrebbe fare?

Tutto è politica. Anche il privato, anche le scelte personali lo sono. Figurarsi quelle, come l’arte, che hanno una valenza ed un’evidenza pubblica! La politica dovrebbe essere applicazione materiale dell’etica. La Costituzione in Italia ha posto dei principi condivisibili. Ma viene ignorata ed umiliata. La politica dovrebbe occuparsi di attuarla tendendo alla giustizia sociale.

C’è stato qualche politico che hai ammirato in Italia nel passato recente e vedi per caso qualche spiraglio o speranza tra le nuove generazioni che stanno iniziando ad entrare nel mondo della politica? Secondo te, c’è bisogno di un ritorno alla grande politica o sei d’accordo nel sperimentare nuove forme di democrazia diretta e partecipativa così come sta accadendo nei vari movimenti Occupy?

Nel passato recente non ho ammirato alcun politico. Questo è un sistema che non mi rappresenta. Si è arrivati al paradosso che quando un politico, nelle sue convinzioni, cerca di agire con coscienza e consapevolezza, con onestà e serietà, è da ammirare? Sta solo facendo quello che dovrebbe fare: mio padre ha lavorato onestamente per tutta la vita, perché anche lui non dovrebbe? Non capisco cosa tu intenda per “grande politica”. Non ho un modello a cui ritornare. Quelli che ho visto sfilare finora non erano altro che forme organizzative più o meno approfondite di gestione del potere. Veniamo dal fascismo, poi la Democrazia Cristiana, poi il Centrosinistra che ha prodotto altre degenerazioni. Ora il Berlusconismo. Stragi di Stato, mafie, svendita del territorio, scelte economiche devastanti, speculazioni, trame, massoneria, devastazione ambientale… sai dirmi quando mai c’è stata “Grande Politica”? Io non ne ricordo alcuna traccia. Quanto ai giovani: se parliamo di intelligenza, capacità intuitive, ricerca… ho molte speranze nelle nuove generazioni. Sono convinto che siano migliori di quelli che li hanno preceduti. Ma chi ora entra in politica lo fa su modelli vecchi e inattuali. Penso che il potere tenda sempre ad autoriprodursi. Dunque, a queste condizioni, i giovani non sono migliori dei loro padri. Chi pensa diversamente oggi non “entra in politica”. Agisce nel sociale e propone modelli di democrazia diretta… appunto. Ma opera in condizioni di arretratezza, di invisibilità… resiste a fatica. Questo modello politico non tollera l’intelligenza.


leggi qui l’intervista su L’Universale…

o qui su Informazione Libera…

oppure qui su Informare Per Resistere

una nota del giorno dopo:
L’intervista è ripresa anche da Informazione libera e Informare Per resistere. E condivisa da molti su Facebook. Sono contento, ma allo stesso tempo preoccupato. Avrei preferito che certe mie amare affermazioni sulla cultura in Italia – dato che il mio punto d’osservazione (il modo in cui vivo e guardo le cose) potrebbe essere considerato “estremo” – fossero ritenute pessimistiche, piuttosto che condivise così tanto e con tale convinzione. Se molti la pensano come me… ohi ohi…

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