Diventa pubblico, grazie a Catartica Edizioni, una piccola parte del progetto che, per alcuni di noi, è un lavoro che va avanti da sempre.
Una Cantada
Come scriviamo nella presentazione, “attraverso forme di poesia popolare (letras flamencas, poesia logudorese, zirudele bolognesi) non vogliamo riprodurre un semplice esercizio retorico di “andata al popolo” o di riproposizione della tradizione.
La voce critica in tutte queste tradizioni poetiche oggi è spesso colpevolmente evitata o taciuta per l’adesione a un certo conformismo sociale o a quella forma di autoesotismo funzionale alla promozione commerciale e turistica. Ma è proprio questa voce critica che la poesia non può trascurare.
Gh’era na volta Piero s’involta Casca la süca Piero s’insüca…
di Alberto Masala (poesia logudorese),Lorenzo Mari (zirudele bolognesi), eSu Mal Espantaalias David Eloy Rodríguez e José María Gómez Valero (letras flamencas).
Cuidado con los vigilantes, que a ninguno de ellos les gusta el cante _______________________________ Cuidàdu so tota vida a no’ s’abizen’ si cante tontèsas de vigilantes
L’INTERO GUADAGNO dai diritti sarà devoluto al GrIG Sardegna https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/ per sostenere cause ambientaliste e la lotta contro la speculazione energetica.
Oggi non riesco a non pensare a Jack, il mio caro amico che se n’è andato il giorno del compleanno di mio figlio Giordano Bruno, che per lui era proprio un nipotino.
Pubblico qui un ricordo della prima chitarrina che gli regalò (oggi Giordano è un vero musicista).
non lancio maledizioni. Ma le sento lanciare intorno, ovunque.
Mi assalgono alcuni dubbi: c’è poca chiarezza su tante cose, sopratutto sul fatto che il suo lavoro era (e forse è ancora) operare nel settore speculativo della cosiddetta energia “verde”.
È come far entrare una faina in un pollaio e chiedere poi di credere alla sua buona fede.
Bene, poniamo che io ci creda, ma lei deve comunque conquistarsi la fiducia dei sardi.
Mi sarei aspettato:
Che si schierasse apertamente e decisamente coi movimenti che si oppongono alle speculazioni.
Che fosse ad Oristano al loro fianco a fronteggiare la polizia – mobilitata da un sistema di affari per difendere privilegi di speculatori, e non attivata da un’Amministrazione per difendere i diritti dei cittadini.
Che interrogasse dall’alto del suo carisma di Presidente dei Sardi il prefetto che ha ordinato una simile mobilitazione militare.
Che interrogasse a questo proposito il Presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il ministro delle politiche ambientali…
Che rischiasse con una ordinanza che blocchi l’installazione anche la richiesta di danni e portasse alla Corte Costituzionale l’eccezione di legittimità della delibera (fatta dalla giunta Solinas… si sa).
Che esponesse perfino la propria persona e quelle dei componenti della giunta sapendo che qualsiasi richiesta di risarcimento, forse giudicabile perfino illegittima, sarebbe comunque inferiore al danno che crea l’installazione. Per esempio a Saccargia.
NIENTE DI TUTTO QUESTO
In cambio, invece di discutere in merito, non dà chiari segnali di reattività, ma si rifugia con pretesti nel solito politichese con cui da sempre siamo stati irretiti dalle giunte para-coloniali precedenti.
Lancia accuse di “interessi personali”… a chi come me, in Sardegna, oltre l’amore e il senso di appartenenza, non ne ha. Non concorro ad alcuna carica né incarico, e se mi arrivassero rifiuterei senza esitazioni. In cinquant’anni dalla Regione Sardegna non ho mai chiesto né ottenuto favori. Non ho “possedimenti”, tranne il peso della casa dei miei, inutile e inutilizzata, che causa solo spese.
Le accuse mi hanno offeso perché denotano la cattiva coscienza di chi non è capace di riconoscere una posizione etica e distinguerla dalle miserie egoiche degli interessi personali.
Ma d’altronde, chi vola basso, in basso sta… e il suo sguardo basso rimane.
Non maledico. Chi si muove così sarà maledetto dalla sua stessa terra, resterà nelle cronache e nella storia come colui che ha permesso uno scempio simile. Sarà maledetto dalle generazioni a venire, alle quali si sta togliendo vita, sguardo e respiro con tutta l’arroganza di un potere malato.
Considero in malafede chi in Sardegna concederà a qualcuno, oltre le comunità sarde e nei limiti dei loro stessi bisogni, QUALSIASI DIRITTO DI SFRUTTAMENTO di terra, aria, acqua, o risorse di ogni genere a scopo speculativo. Non dobbiamo regalare più niente a nessuno.
Abbiamo già dato troppo da oltre duemila anni a tutti i colonizzatori. Nessuno sfruttatore è benvenuto nella nostra terra già violentata nella cultura, lingua, paesaggio. È supermercato per i turisti più beceri e cafoni, è supercarcere ora obiettivo di tutte le mafie, Camorre, Ndranghete, russe e cinesi, milanesi e torinesi, è fabbrica di bombe sullo Yemen, è mercato di armi per ogni guerra attorno, è base militare che auto-assolve ogni tumore negato e ogni generale….
Signora Presidente Todde, io nei suoi confronti non ho preconcetti, anzi, la mia base di partenza è stata gioire per la sua elezione: donna e alternativa alle bande di malaffare. Avrei forse rivendicazioni nei confronti dell’imbecillità di chi la appoggia facendosi chiamare sinistra e, imbelle quando non connivente, non muove un dito contro le basi militari o lo sfruttamento dell’Isola.
Ma è ora di dare una svolta decisa. Anche il linguaggio della politica è cambiato diventando più aggressivo. Arruola tutta la povertà cognitiva e l’ignoranza dei più bassi livelli intellettivi. Le lobbies ormai anche qui agiscono, come negli USA, in modo sempre più arrogante e sfacciato. Dunque è ora di posizioni dure, radicali. Non alimento odio e paura, ma ho il diritto di essere preoccupato.
Ho il diritto d’indignarmi
Non voglio attivare il fatalismo né l’attitudine auto-colonizzante che ci ha contraddistinti finora. Sappia che mi sono perfino rallegrato che, vincendo le elezioni, ci liberasse da quella banda di fascisti e affaristi, servi sottomessi, che l’ha preceduta
ma ora deve mostrarci come difende il suo popolo
Signora Presidente, le chiediamo di dare segnali molto forti. Nessuna installazione deve produrre oltre la necessità del suo stesso popolo. Forse basterebbero poche pale e una Carlo Felice con lo spartitraffico di pannelli solari per dare energia a tutti i sardi, o poco più. E se anche questo non bastasse, IN OGNI CASO il programma non può essere dettato da Terna o da chiunque altro intenda ricavare profitto lucrando sull’energia “verde”. Resista alla speculazione! Sono certo che conterebbe sull’appoggio di quella maggioranza della popolazione che racchiude il meglio della nostra gente. Questo é tempo di unità, forte e decisa, non di vuote trattative dove, sempre e comunque saremmo perdenti.
COMINCI DA SÉ STESSA IL PERCORSO DI DECOLONIZZAZIONE
Riporto la notizia e il commento INTERAMENTE da Gianluca Martino (@gianlucamart1) su twitter. Chi scrive è lui. La mia unica considerazione è che se ancora nel mondo esiste il nazismo, oggi uno dei suoi interpreti è il sionismo. E non ci sia qualcuno che stupidamente mi accusa di antisemitismo. Mentre pubblico questo intervento, penso ai miei cari amici intellettuali, scrittori e poeti israeliani e a quelli palestinesi, e soffro ugualmente per tutti loro. Penso a Mahmoud Darwish, poeta che ho nel cuore. RESTIAMO UMANI
LA STORIA DEI 40 BAMBINI DECAPITATI
di Gianluca Martino
Com’è andata realmente la storia dei 40 bambini decapitati e perché la maggioranza dei politici e dei media è un’accozzaglia di razzisti e pressappochisti. La notizia è partita da questi due fenomeni: David Zion e Nicole Zedek.
Il soldato israeliano David Ben Zion, intervistato dalla giornalista tv Nicole Zedek, dice che ci sono i corpi decapitati di 40 bambini. La giornalista, anche lei presente sul posto, invece di verificare, “spara” la notizia alla tv i24 news con il seguente commento: “I palestinesi sono degli animali, ma questo già lo sapevamo”.
La notizia viene ripresa dalla CNN e a ruota da tutti i media del mondo, arrivando a miliardi di persone. Scoppia l’indignazione “I palestinesi vanno puniti. Hanno fatto bene a bombardarli” dicono.
Passano ore e ore ma nessun giornalista pensa di andare a verificare. Un giovane giornalista israeliano, Oren Ziv, twitta timidamente (in sintesi) “Guardate che anch’io sono sul posto, non ho visto bambini decapitati. Qui i soldati e gli ufficiali dell’esercito non sanno nulla”.
Come se non bastasse il danno provocato dai media, scende in campo la classe politica più scarsa e ignorante dai tempi di Romolo Augustolo. La dichiarazione più indecente e pericolosa arriva da Biden che afferma di aver visto e verificato le foto dei bambini decapitati.A New York e altre città USA scendono in piazza per chiedere un genocidio, in India chiedono al proprio governo di intervenire militarmente in Palestina. In Italia, cani rabbiosi della politica e dei media di destra e di sinistra chiedono allegramente la Soluzione Finale.
Intanto veri giornalisti israeliani, come quelli di Haaretz e altri, pretendono le prove, pressano insistentemente lo stato maggiore dell’esercito che comunica di non avere elementi a riguardo. Intervistano il soldato David Ben Zion che ora dichiara di non aver visto personalmente i corpi decapitati ma che gli è stato riferito da alcuni commilitoni a lui sconosciuti.
Scoprono che il soldato è un fanatico estremista di destra, fomentatore d’odio che da anni incita, anche sui social, allo sterminio dei palestinesi.
Il danno è ormai irreparabile. Come se non bastasse l’avvio del genocidio interno, si registrano numerosi casi di aggressioni a palestinesi residenti in occidente, mentre i media italiani continuano senza pudore a dare la notizia falsa omettendo di rettificarla.
Questa è la foto più apprezzata e diffusa sui social in questi giorni. La Soluzione Finale può proseguire senza intoppi, i suoi cantori a gettone di presenza hanno lavorato senza sosta e questi sono i frutti.
Il 14 dicembre, da Marcello Fois, ho ricevuto l’appello che metto qui in immagine. Ho pensato di aderire, ma anche di rispondere. Ecco qui sotto la mia risposta.
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A Marcello.
“nella vita spirituale si agisce, sì, da affaristi,
ma per antica tradizione si parla da idealisti”
(Musil)
Il tuo appello, conoscendoti da circa 40 anni, non giunge inaspettato. Di te ho visto tutto fin dall’inizio: percorsi, evoluzioni, cammino e passi. Grande generosità materiale in contrappeso ad altrettanta prudente accortezza intellettuale.
E stavolta ho avuto tre diverse reazioni:
“Ma neppure rispondo!” (No… Sarei sgarbato, apparirei presuntuoso… non è da me… in fondo sarebbe come non rispondere a un saluto. E non si fa).
“Firmo e taccio. Lascio perdere. Sto zitto”. (Eh no! Caspita! Tacere su quello che mi muove da mezzo secolo! La mia visione etica, la mia appartenenza… Io sono ancora Sardo).
“Firmo o non firmo, non importa… ma almeno rispondo”. (Negli anni te le ho lasciate passare tutte, davvero troppe, senza dire mai niente).
Per carità… l’appello è legittimo, giusto e condivisibile. Lo firmo senz’altro. Ma… tu non hai lo spessore etico per condurlo. Bisogna contestualizzarlo.
La chiamata, apparentemente generosa e patriottica, si colloca in un percorso che potrei descrivere nei particolari. È il procedere indefesso di una Mouche du coche, mirabilmente narrata da La Fontaine e ancor prima da Fedro. La famosa mosca cocchiera di cui parlavano Gramsci e Turati o, in letteratura, Carducci, riferendosi agli epigoni del Manzoni.
Da quando ti conosco, per te c’è sempre stato un cocchio su cui saltare, un cavallo da pungere all’orecchio, un atteggiarsi a questa nobile funzione.
Nessuno ha interpretato meglio questo ruolo. Fin dagli albori, quando sostenevi e diffondevi l’appello per un Assessore alla Cultura, socialista, sul quale ho un parere strettamente politico: il peggiore della storia di Bologna da tutti i tempi. Ma non posso fartene una colpa: arrivasti in città da giovane militante del PSI e quella rete ben attrezzata fu tua da subito, testa bassa e senso del dovere. Scendendo poi dal cocchio rapidamente, con un mirabile colpo di reni, appena prima che Craxi e Mani Pulite lo conducessero a schiantarsi in un precipizio. Era il cocchio sbagliato, e tu eri dotato di ancora giovani ali. Hop…! Un opportuno salto e via…
Il cocchio successivo era più stabile. Più cooperativo. Largo e solidissimo fin dal dopoguerra, e qui in Emilia ancora regge nonostante le evoluzioni e i cambi di modello della Ditta.
Il coraggio dell’arroganza fu sdoganato quando un democristiano, il miglior interprete di quelle attitudini, ne diventò il risolutivo Amministratore Delegato. A lui, almeno spiritualmente, ti riconosco ancora fedele. Mi colpì molto la tua rabbiosa difesa dei suoi referendum al tavolo di un’osteria. Da manzoniano convinto e militante, hai accolto i Renzi come modello, eleggendo nel percorso tutte le diverse Lucie (non importa di che sesso, non prendermi alla lettera) secondo l’utilità. Si passava risolutivamente dal “tengo famiglia” al più spietato “da ora finalmente va così, e così sarà”.
Tutto questo mentre la nostra terra intanto avanzava verso un disastro di entità terminale. Oggi, con la piena complicità politica espressa dal silenzio anche tuo, la mia Sardegna si conferma:
La zona d’Europa su cui (in rapporto al territorio) sono le più estese e invadenti basi militari di tutta Europa.
La maggiore vittima di pericolose e inquinanti esercitazioni (Teulada).
E se non bastasse, la colonia italiana (tale è) invasa dal turismo più becero e arrogante. Una terra cui si possono perfino cambiare i nomi dei luoghi senza suscitare reazioni. Per capirci ora immagina che l’Emilia, senza colpo ferire, sia ribattezzata col nome del suo supermercato più rappresentativo: COOPlandia. Così è successo in Costa Smeralda. È come vendersi la madre.
Ne deriva che le prospettive per i giovani, come in ogni colonia, sono soltanto quelle di servire i colonizzatori diventando loro guardiani, giardinieri o camerieri. I più svegli, se va bene, saranno gli chef che tu inviti a sottoscrivere l’appello. Niente da dire… mestieri dignitosissimi e perfino belli per chi li sceglie, ma a patto che non resti l’unica strada possibile. A proposito… Non ho capito perché insieme agli chef non inviti i grandi falegnami sardi, o i pastori (fra i migliori del mondo), o le progettiste di meravigliosi tappeti, e così via…
Marcello, non ti ho mai sentito denunciare questa situazione. Al contrario, in luogo di usare la parola COLONIA, ti sei reso profondamente complice con le tue chiamate alla Patria italiana. Non hai fatto altro che consolidare inesistenti radici per un popolo al quale erano imposte con la forza. Hai affiancato il colonizzatore e, casomai, gli hai spesso dato consigli per potersi mascherare meglio.
Hai fatto furbi outings (“Ho tradito”) che niente cambiavano del continuare a tradire. Senza vergognarti hai serialmente recitato in ruoli di menzogna (ne potrei citare una lunga collana, ultimo il tuo inesistente bilinguismo: “penso in sardo e devo tradurre in italiano”), avendo capito che per atteggiarsi basta mentire in luoghi dove nessuno può smentirti o rubacchiare un pochino le idee di quelli che, come me, non hanno voglia di smentirti. Una lezione questa che ha fatto scuola anche in altre/altri dopo di te.
Intanto il cocchio corre. E le mosche, ronzando con la bocca a tromba, con un ennesimo coup de théatre incitano il cavallo. Che faranno nelle soste? Riposeranno su ciò che il cavallo depone?
Anch’io dico sacrosanto ribellarsi, ma da 50 anni lo faccio con ben altri argomenti, quelli che tu non hai mai nemmeno sfiorato. Lo faccio, come sempre, perfino sotto il tuo sguardo di sufficienza per le donchisciottesche battaglie che io perdo e tu, prudentemente, non combatteresti mai.
Ora ti dedico alcune meritate citazioni che riportano il discorso alla sua oggettività. Ho tralasciato Gramsci e messo Turati che, da socialista, capisci molto meglio…
(…) Ma le mosche, per altro, le mosche cocchiere sono pur le male bestie e noiose! Si fermano alla prima osteria e van ronzando negli orecchi alla gente (Carducci 1897).
(…) una propaganda, che fa appello esclusivamente ai romanticismi impulsivi dei sofferenti, forse traduce, più che altro, la favola della “mosca cocchiera”, che presume di guidare, in codesto duplice solco, l’aratro della sedizione (Turati 1913).
Perciò sappi che, même si tu joues la mouche du coche, tu ne peux pas me tromper.
Il libro nasce dall’incontro tra i poeti Alberto Masala e Raùl Zurita, a cui si è aggiunta la partecipazione di Marco Colonna, con la composizione di un’opera ispirata alle loro poesie.
Ognuno ha composto sette quadri di città: oltre ai testi in italiano e spagnolo, il libro contiene la scrittura grafica delle partiture.
La poesia e la musica di questi autori si trovano davvero, e fuor di ogni retorica, a mappare luoghi diventati, o che sono da tempo immemore, invivibili. Li mappano, nella loro continua ribellione, per abitarli: sono tracce di un radicamento multiplo, ma che non rinnega, d’altra parte, il proprio nomadismo libertario di fondo. In questo paradosso, allora, abitare lo spazio della parola, del segno e del suono resta possibile perché alla base di queste manifestazioni artistiche non c’è una sterile rivendicazione identitaria, ma una molteplice esperienza di incontro.
(Dalla postfazione di Lorenzo Mari)
Marco Colonna, nato a Roma. Musicista, improvvisatore e interprete di vari strumenti ad ancia. Attivo fra la musica folk, jazz e la classica contemporanea è considerato uno dei musicisti più rappresentativi della sua generazione.
Lorenzo Mari, vive e lavora a Bologna. Traduce dallo spagnolo e dall’inglese. Ha curato l’edizione italiana di Zurita. Quattro poemi del poeta cileno Raul Zurita (Valigie Rosse, 2020), nella traduzione di Alberto Masala. Collabora con varie riviste online (Pulp libri, Fata Morgana web, Jacobin Italia).
Alberto Masala. Sardo, vive a Bologna. Poeta e scrittore plurilingue, traduttore. Pubblica in Italia, USA, Francia, Spagna, ed è in raccolte di molti altri Paesi dove ha agito nei principali luoghi della poesia e dell’arte.
Raúl Zurita Canessa. Cileno, fra i più importanti poeti contemporanei. Torturato durante la dittatura di Pinochet, la sua produzione è innovazione formale e strategia di resistenza. Candidato al Nobel, è Premio Nacional de Literatura, Premio José Lezama Lima, Premio Neruda, Premio Reina Sofía.
La favola del piccolo Mustafà e le fabbriche di bombe di Benigno Moi
“Noi però gli facciamo le protesi”, si potrebbe affermare (parafrasando il titolo dell’ottimo e recente libro di Francesco Filippi sul colonialismo italiano (1), osservando il trasporto con cui le tv e i giornali italiani hanno raccontato, quasi “autocelebrandosi come comunità di italiani”, la storia dell’arrivo in Italia del piccolo Mustafà al-Nazzal, il bambino siriano nato senza arti a causa dei gas sprigionati dalla bomba che ha colpito il mercato di Idlib, nella Siria nordoccidentale, dove quel giorno del 2016 si trovavano anche Munzir e Zeynep, i genitori del bambino. A causa di quel bombardamento il padre perse una gamba e la madre, incinta di Mustafà, rimase gravemente intossicata, tanto che è stata attribuita proprio a quell’evento l’origine della rarissima e terribile tetramelia di cui soffre il bambino.
Tanto di cappello, ovviamente, ai veri protagonisti di questa storia, dall’autore della straordinaria foto che ha fatto conoscere la storia di Mustafà e di suo padre Munzir, a quelli del Siena Awards Festival, che non si sono accontentati di premiare la foto ma hanno promosso la raccolta fondi necessaria a trasformare la voglia di vita testimoniata da padre e figlio in speranza concreta; dalla Arcidiocesi di Siena che ospita Mustafà e la sua famiglia allo straordinario staff del Centro Protesi Vigorso di Budrio, nel bolognese, che cercherà di ridare gambe e braccia a Mustafà, come fa da decenni in maniera encomiabile.
Ciò che infastidisce è la mancanza della relazione fra effetto e causa, la quasi unanime amnesia degli organi di stampa che non riescono ad indagare sulle cause che provocano le ferite e le mutilazioni dei tanti Mustafà che ogni giorno vengono colpiti, nella nostra sostanziale indifferenza.
Gli stessi giornali che ci mostrano il sorriso straordinario e contagioso di Mustafà sono magari finanziati dalle Banche armate (2) o accolgono nelle loro pagine la pubblicità di chi quelli ordigni di morte li produce (3). Quando banche armate o produttori non sono direttamente i loro editori.
Proprio nelle stesse ore in cui Mustafà si preparava a partire per l’Italia, e mentre l’ISIS si sta riprendendo parti delle regioni curde liberate anni fa nella nostra quasi totale indifferenza, (https://ilmanifesto.it/l-isis-assalta-il-carcere-prigionieri-in-rivolta-nel-rojava-e-battaglia/) a mettere un importante tassello nella necessità di saper collegare cause-effetto anche rispetto al dramma della famiglia di Mustafà, e a ricordarci che siamo parte della causa, è stata una fonte d’informazione non italiana, Jazeera English, la sezione in lingua inglese della tv del Qatar, col documentario di Lisa Camillo (4)“The Sardinian Factory of Death”, che fa raccontare direttamente a chi da anni vi si oppone cosa fa la fabbrica RWM di Domusnovas in Sardegna.
Tre mesi fa cominciammo una campagna di raccolta fondi per il #RAWA, l’Associazione delle donne Afghane.
Siamo stati travolti dai likes, ma dopo un periodo di sporadiche (e generose) adesioni, tutto si è spento… fermato… Cosa è successo? Le donne Afghane non hanno più bisogno? I talebani hanno finalmente concordato per un sistema che rispetti le donne e dia loro il ruolo che meritano? I regimi teocratici stanno per scomparire? Finalmente le bambine potranno andare a scuola, le donne al cinema e ai concerti, potranno lavorare e ci sarà un presidente donna?
Niente di tutto questo. La situazione non è cambiata, anzi… ora che si sono spenti i fari dei media e azzerati i LIKES, tutto è come prima. Anzi PEGGIO perché ormai l’opinione pubblica è distratta da altre cose. Pensavate che con un Like si risolvesse la situazione? No… è solo servito a scuotervi la coscienza per pochissimi secondi. A me il vostro “mi piace” non sposta nulla, anzi… ho pure il fastidio di dover pensare e pubblicare i post anche quando non ne avrei voglia. Alle donne Afghane invece la vostra offerta cambia molto.
NON CERCHIAMO LIKES MA SOSTEGNO CONCRETO
– – – CLICCATE E DONATE ! – – –
All’indirizzo https://bit.ly/sosrawa è possibile sostenere il RAWA (Revolutionary Association of Women from Afghanistan) aderendo ad un’azione artistica condivisa.
Tramite una donazione minima di 10 € otterrai una doppia opera comprendente:
– Il libro “Taliban” di Alberto Masala (introduzione di Jack Hirschman e copertina di Fabiola Ledda, in quattro versioni: Italiano, Inglese, Francese, Spagnolo);
– L’opera “L’ombra dei suoi passi” di Marco Colonna, da lui eseguita al clarinetto con Giulia Cianca (voce), Mario Cianca (contrabbasso), Ivo Cavallo (percussioni).
Come per l’edizione di vent’anni fa, niente andrà agli autori.
Collegandoti al link, potrai scaricare l’opera – libro e disco insieme – cliccando su “Buy Digital Album” e il ricavato delle donazioni sarà versato interamente al RAWA.
Aiutiamo la resistenza delle donne, sostieni il RAWA.
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