Questa volta lo difendo, perché fa pena, perché sta male, è malato davvero.
Si è reimpiantato i capelli… si è tirato la faccia che fra un po’ le orecchie gli staranno dietro la nuca… si è messo il rialzo nelle scarpe perché è un criptonano e non fa outing (mi scusino i nani consapevoli)… spende intere fortune dai sistematori estetici perché non ammette di essere repellente (mi scusino le jene)… investe milioni in progetti sulla propria eternità perché non sopporta di morire (mi scusino i comuni mortali).
La situazione è paradossale. Questi fogli locali, abbandonati alla loro sorte qualunque ne sia la proprietà, non cambiano nei decenni. Lì infatti intellettuali di spessore e buone firme del giornalismo, oneste e serie, possono agevolmente sedere nel box confinante a quello che contiene cialtroni incapaci o, peggio, in malafede… Tutti amorevolmente nella stessa testata. Ma è la storia dei fogli di provincia e non solo… bisogna rassegnarsi. Ma non per questo tacere.
Oggi infatti ho letto un titolo commovente nella sua becera immobilità: da cinquant’anni la Nuova li ripropone fedelmente come solo i cari vecchi giornaletti di casa sanno fare.
Evidente come l’ottusa Musa ispiratrice sieda nella Questura. L’unico luogo dove il cronista pesca i suoi pezzi e ne sposa acriticamente le versioni. Mi chiedo se a questi poliziotti giornalisti vengano anche correttamente versati i contributi di categoria o se a quei giornalisti poliziotti spettino le gratificazioni dovute dal Ministero dell’Interno ai suoi fedeli dipendenti.
Sassari è una città triste. Lo pensavo quando ne frequentavo l’Università, e continuo a pensarlo ora. Infatti, se non fosse così, non si sarebbe mai potuto vedere un titolo tanto contraddittorio e servile come quello che oggi incornicia l’articolo che qui linko:
Insomma: Vandali contro E.On è un titolo! Il titolo di un articolo su un giornale quotidiano! Una banda criminale ha lanciato un barattolo di catrame sopra un cartello privato! (Attenzione: non ho mai visto titoli simili sull’intera cartellonistica pubblica di tutto il centro Sardegna che, storicamente, è crivellata di colpi d’arma da fuoco).
Anzi, è la vile metà di un titolo la cui altra parte è un colpo alla botte buonista che purtroppo, collocata lì, risuona di tragico vuoto: l’eco-appello di Michela Murgia.
Sono uno che rispetta la legge e chiede che venga rispettata da tutti. Chiedo giustizia uguale per tutti. Pretendo che, quando questi vandali verranno catturati, la pena sia commisurata al delitto. Propongo che si proceda pesando letteralmente ed equamente l’oggetto del reato. E che ogni Euro di pena o ogni giorno di condanna inflitto a questi criminali che hanno sporcato l’insegna venga altresì inflitto, MISURANDOLO A PESO, ai responsabili della E.On.
Il conto è presto fatto: hanno lanciato un chilo di catrame? Un giorno di carcere e 1000 euro di multa. La E.On ha sparso una tonnellata? 1000 giorni di carcere e 1.000.000 di Euro di multa.
Cara Nuova Sardegna, questa sarebbe giustizia… intanto tu continui a coprirti di tonnellate di merda per la viltà che da sempre esprimi… e riesci perfino a lanciartela addosso senza che nessuno te lo imponga…
banner dall’opera di Az.Namusn.Art |
domenica 23 gennaio, nel cinema di Ales, ultima giornata dell’evento “Il nostro Gramsci” organizzato dalla casa natale di Antonio Gramsci per i 120 anni della sua nascita – una grande serata con Marcello Fois, Giulio Angioni, Michela Murgia, Gavino Angius
l’arte e la letteratura non possono parlare di libertà: mentirebbero come i celebranti che pronunciano abusivamente questa parola
…rompiamo le linee del controllo
coltiviamo tensioni di liberazione
riprendo qui l’appello dei Wu Ming e lo sottoscrivo
Non ho opinioni in proposito alla vicenda Battisti perché la mia vita è sempre stata diametralmente distante dalle questioni della ‘lotta armata’ o della ‘armata’ tout-court… Ho invece forti opinioni su cosa sia l’etica della giustizia: mai mi ha confortato una certezza né un preconcetto.
Sulla questione non saprei cosa dire, dunque mi baso sulla mia propensione a coltivare uno sguardo non prevenuto né giustizialista. Come si diceva una volta per definire un’attitudine alla limpidezza: uno sguardo onesto.
E se ho un’esigenza, dunque, è quella della chiarezza su anni oscuri, stragi, omicidi e trame in cui lo Stato con i suoi Servizi deviati è certamente il primo attore.
Dato che credo che Battisti NON abbia avuto un giusto ed accurato processo, già tempo fa presi posizione sulla questione. Qui un mio post del 2007 in cui riportavo interventi “fuori dal coro”, e, a mio parere, degni almeno di sollevare dubbi...
Non voglio aggiungere molto rispetto a ciò che ha scritto Lello Voce e che mi trova sostanzialmente d’accordo.
Oggi, dopo l’azione dell’assessore veneto Speranzon, ex-missino/berlusconiano che tenta di interdire i libri dei firmatari dell’appello dalle biblioteche pubbliche della sua provincia, sono certo di una cosa: Battisti non è né mafioso né stragista, dato che ad attaccarlo è uno il cui ex partito ed il cui partito attuale era ed è pieno di conniventi mafiosi e stragisti. (il MSI lombardo-veneto forniva il meglio della manodopera stragista del periodo…)
Detto questo sulle trame, taccio sull’ignoranza e la malafede: si definiscono da soli. Tutto il resto dovrebbero accertarlo i giudici in un’indagine giusta e non forzatamente viziata (come è stato finora).
Per il momento, istintivamente, dichiaro di essere felice del fatto che Battisti non si trovi nelle mani di questi boia.
il link ad un articolo su Carmilla, interessante ed argomentato, che seriamente analizza l’inconsistenza delle accuse a Battisti – nominato d’ufficio (è davvero il caso di dirlo) capro espiatorio con accuse approssimative, discutibili, e mai documentate.
è andata via luminosamente
Janine Pommy-Vega, poetessa ed amica, grande compagna di letture, testimone dell’ultima generazione della Beat Generation, è morta nel corpo abbandonando la sofferenza e lasciandoci una grande eredità di poesia. Non ho parole di dolore che possano essere più profonde del suo stesso canto. Addio cara Janine.
in una registrazione del 2010 a Sarajevo
dall’archivio di Casa della Poesia di Baronissi
il sito di Janine |
il mural di blu al Moca di Los Angeles |
Da sempre medito, parlo e scrivo sulla funzione dell’arte nel contesto sociale contemporaneo. Senza tanti giri di parole, la sorte dell’opera di BLU a Los Angeles è esemplare per chiarire qual’è il rapporto fra la gestione di sistemi di controllo sociale e le voci “altre”.
Il sistema – che qui per comodità chiameremo MOCA, ovvero Museum of Contemporary Art di Los Angeles – vista la fama del nostro amico, gli commissiona un’opera senza considerare per cosa e perché lui è così famoso.
Pensando di poter comprare tutto, e con la lungimiranza di cui sono sicuramente dotati i curatori americani o di qualsiasi altro posto – tranne quasi tutti quelli italiani, universalmente noti per la loro vigliaccheria e la propensione all’arte che conviene, tranquillizzante e decorativa – ingaggiano chi oggi agisce in evidenza, chi mostra genialità, quelli che loro chiamano, con un termine orribile e carico di superficialità, i creativi.
Ma è un tentativo che spesso si ritorce contro la visione dell’arte di cui sono fautori. Un’arte pacificante che, appiattendo tutto, conforta una società repressiva che, per chiamarsi democratica, ha bisogno di affidare alla rappresentazione che ne fanno gli artisti in una specie di psicodramma collettivo il concetto fondante (e sempre fittizio) della loro democrazia: la libertà. Qui siamo liberi, vedete? Si può parlare di qualsiasi cosa… scordandosi di aggiungere un concetto funzionale: “purché gestibile”.
Con la maggior parte degli artisti gli va bene: loro tacciono, fingono, sono complici, lavorano insieme sulla produttività dello ‘scandalo’ e, nonostante Benjamin e Debord ne avessero già smascherato i meccanismi quaranta o cinquant’anni fa, ne gestiscono i ritorni economici e mediatici.
Loro ottengono di confortare il sistema con ‘circenses di qualità’ gli artisti guadagnano bene e, soprattutto, guadagna ancora meglio il loro EGO: li fanno entrare nel meccanismo della gloria e della fama…
Ma qualche volta gli va storta, specialmente se fanno il passo più lungo della gamba rivolgendosi a quelle ‘arti pericolose’ come la street art, che, per sua stessa definizione, non accetta di essere deportata in quei leccatissimi lager del pensiero artistico che oggi sono i musei, e né tantomeno di essere ridimensionata a pop art.
Ecco un bell’articolo con tanti links che racconta delle disavventure di Jeffrey Deitch, lo sprovveduto curatore del MOCA che, da ex mercante d’arte discutibilmente assurto a gestore di pensiero, credeva, come molti anche qui in Italia, che tutto ha un prezzo.
Finché poi ha incontrato BLU che l’ha fatto pentire…
4 gennaio: aggiornamento
Con un intervento di solidarietà degli street artists di Los Angeles, fra cui Joey Krebs, noto come The Phantom Street Artist, e dell’artista Chicano Leo Limon, veterano della guerra in Vietnam, il discorso iniziato da Blu va ancora avanti ottenendo così ulteriore visibilità e quindi ancora maggior effetto. Poveri censori: è la storia che si ripete rimettendoli spietatamente sempre davanti alla loro stessa stupidità. Ecco qui l’articolo con le foto addirittura sul Los Angeles Times. Qui sotto il video.
Downtown LA BLU MOCA Whitewash Protest // 01.03.2011 from jesse trott on Vimeo.
l’insostenibile leggerezza del giornalismo
la Sardegna che vogliono da noi |
Mi sembra di vederla quella giornalista che, spinta dalla necessità di piazzare un ‘pezzo’, si aggira con gli occhi spalancati alla Carfagna in un mondo di “minorati”, stupendosi che fra loro ci siano segnali di intelligenza. Ed allo stesso tempo, in cerca di una politically correctness, si arrampica sugli specchi della dolcezza del proprio sguardo inebetito.
Ecco a voi la Sardegna dei salotti, la Sardegna dei parvenants senza problemi… In fondo convertire i selvaggi è una missione che da sempre i padroni hanno nobilmente elargito ai sottoposti facendoli sembrare “quasi” simili a loro.
Il pezzo trasuda un paternalismo ed una superficialità insostenibili. Ma esprime bene il dramma di una generazione di ‘aspettanti’ individualisti, precari e perfetti per il “sistema stato-azienda”, per un mondo che investe più in apparenza che in storicità, più in feticcio che in sostanza, più in marketing che in ricerca, più in aspettative che in desideri, più in brame individuali che in utopie collettive.
Giusto la questione che sto cercando di affrontare di questi tempi e che anticipo qui molto superficialmente.
I miei ventiquattro lettori direbbero: “Eh, in cue ti nde kerìas falare! Nondum acerba est… dici così perché non ti cita…”. A costoro io risponderei: “Ha ragione di non inserirmi in quell’Empireo: io faccio poesia, e la poesia non è compresa nelle statistiche o nei fatturati… è come quando, dando i risultati elettorali si elencano i partiti che contano i voti e poi, in fondo, si indica genericamente “altri: 0,3 %”. E, ottimisticamente (sebbene non economicamente) potrei dire che: mi è andata bene. Sarebbe stato imbarazzante per la mia coscienza.
Cara Michela, a te chiedo piccolo favore: ti ho vista altre volte abbattere con colpi ben assestati simili giornalisti. A questo punto usa le tue arti per ottenere un’intervista e fai giustizia di questa penna immeritatamente affidatale. Fallo per me: se me ne fosse data l’occasione lo farei io per te.
Una nota finale: sono queste menti sfolgoranti che mi convincono sempre di più che noi con loro non abbiamo niente da spartire, e mi rafforzano nella mia sempre meno vacillante volontà indipendentista. Sempre che i sardi non scelgano altrimenti affascinati dal brillìo di quegli specchietti che ancora, mi risulta, restano in mano dei padroni.
Ed oggi è questo il nostro vero lavoro intellettuale.
E se qualche scettico non credesse alle mie parole, LEGGA L’ARTICOLO e si sforzi di cominciare a decolonizzarsi, ad emanciparsi dai racconti che questi padroni fanno di noi.
dignità, poffarbacco, dignità…
Un’orribile operazione che strumentalizza dei bambini è stata messa in piedi da alcuni loschi figuri. Individui senza scrupoli e senza etica, complice la Curia di Bologna (l’Antoniano) che tradizionalmente si caratterizza per la sua attitudine retriva. Nel loro stile operano una forma di pedogamia (erroneamente chiamata pedofilia) su alcune vittime innocenti di quei dogmi cristiani che gli sono stati imposti abusivamente (col battesimo). Cantano in un infame video che altro non è se non l’ultimo appiglio oscurantista di un regime che sta dando i suoi colpi di coda. Dopo aver arruolato invano nani e ballerine, ora decidono di esporre la loro sporca faccia nel tentativo di recuperare il consenso di quei cattolici nauseati dalle ultime miserabili imprese del Capo e dei suoi accoliti
E fin qui, niente da dire: ne hanno facoltà…
Ma l’uso strumentale di quei bambini… QUESTO NO!
Bisognerebbe denunciarli al tribunale dei diritti dell’infanzia.
guardateli: ecco il video infame – e intanto… poveri bambini…