– 1 aprile articolo di Paolo Merlini su “la Nuova Sardegna” (*v. nota)

– 3 aprile intervista di Daniele Barbieri per “Liberazione”

– e per “Piazza Grande” di maggio

– e, in seguito, aggiungo qui l’intervista di Cristiano Sanna Martini per Tiscali news

– e infine, un mio reportage


intanto in Iraq si continua ad uccidere
(*) nota all’articolo di Paolo Merlini sulla Nuova Sardegna.
Nel bell’articolo sulla “Nuova” di cui ringrazio ancora l’ottimo Paolo Merlini, ci sono un paio di imprecisioni dovute certamente a malintesi dato che tutto si è svolto rapidamente per telefono e non – come avrei preferito – per mail (scripta manent). Sul momento ho pensato di lasciar perdere e non dare importanza, ma dato che mi piace la precisione e stamattina mi sono svegliato dicendo nel dormiveglia: “No… No… No…”, ho pensato di fare questo breve errata corrige:
– 1°. “In the executioner’s house” (Nella casa del boia), il testo sulla guerra indirizzato a George W.Bush, non è uscito per la City Lights ma per la CC. Marimbo press – Berkeley. Questo per rispetto ai coraggiosi Editori e al grande Jack Hirschman che l’ha tradotto e sostenuto la diffusione.
– 2°. La sua presenza nelle vetrine della libreria City Lights (dunque il sostegno di  Lawrence Ferlinghetti) è vera, come nelle foto che Jack mi ha spedito. E fortunosamente era il 50° della Libreria/Casa Editrice. Nella pagina apparsa su Repubblica per la ricorrenza si accennava al ‘mito’, ma non al fatto che c’era un libro italiano esposto: il mio.
– 3°. Non è proprio esatto che altri italiani non siano stati pubblicati dalla casa editrice di San Francisco (Pavese, credo Montale, ed altri…) – al telefono mi riferivo alla collana in cui sono usciti gli scritti di Pasolini – tradotti da Hirschman e Richman, dal titolo “In Danger”…
– 4°. La domanda: “Progetti per il futuro?” mi ha colto di sorpresa e non sapevo cosa rispondere anche se di progetti ne ho parecchi. Impappinato, ho detto la prima cosa che mi è saltata in mente, la più recente nel mio archivio cerebrale… L’interesse e la traduzione di Jonathan Richman per “Alfabeto” mi è stato riconfermato da Jack Hirschman in Iraq. Ma è prematuro parlarne… se ne riparlerà fra qualche mese
Ancora un saluto a Merlini, giornalista che stimo e apprezzo davvero anche umanamente, ma: “è la stampa, bellezza…”

anche se può sembrare assurdo, vado in Iraq, a Basrah e Baghdad, per il festival letterario Al Marbid…


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La strategia del consenso sta avendo i suoi primi risultati.
Barbies consenzienti ed ascari fedeli, tutti opportunamente decerebrati fin da piccoli, stanno occupando i posti di governo senza colpo ferire. Uno stuolo di parvenant (molti non sono ancora parvenus) dalla faccia impunita si presenta allo sportello dell’accettazione (elettorale) come ci si presenta ad una festa senza invito pensando di farla franca.

E ci riescono in parecchi occupando i posti a sedere nelle cosiddette Istituzioni, che così si riempiono di pericolosi ebeti consenzienti la cui unica attività riconoscibile è quella di procurare denaro e prebende per sé, le proprie famiglie, gli amici, ed altro consenso per il capo. In cambio dell’assenso. A chi? Non è necessario dirlo. Lascio a voi il piacere di indovinare. Ma, sapendo che la domanda non è facile, vi dico che è uno che negli ultimi trent’anni ha fatto affari frequentando personaggi attivi nelle peggiori cosche …

Ma parliamo d’altro….

Uno dei suddetti è stato beccato a fare osservazioni che, in bocca di una persona qualsiasi, potrebbero fruttargli l’epiteto di coglione e verrebbero attribuite alla sua ignoranza, alla miseria interiore, ad una incapacità di pensiero che non va oltre gli slogan preconfezionati, ma che, in bocca ad un amministratore del cui servilismo non abbiamo mai dubitato, diventano gravissime affermazioni.
Also Sprach…
così parla un vile, un vigliacco che, oltre a sputare nel piatto dove razzola, disprezza (e non si sa da quali eccellenze o preziose qualità gli derivi questa presunzione) il popolo a cui dovrebbe rendere conto del proprio operato.
Perché questa invettiva? Perché sono sardo da infinite generazioni e dunque dovrei certamente recare nel mio DNA tutti quei geni di cui il presidente in questione si vergogna. Dunque mi sento profondamente offeso da tanta stupidità.
Comunque, sbollita la rabbia, propongo seriamente che i Sardi, che sono i suoi datori di lavoro e lo retribuiscono, se ancora hanno dignità gli sospendano immediatamente quello stipendio da Presidente della Regione che lui disprezza. Per poi avviare le pratiche del licenziamento.
Meriterebbe che attivassimo una Class Action, un’azione legale collettiva, per chiedergli anche il risarcimento.
non ci sono gli elementi? giudicate voi stessi da questa fortunosa intercettazione che ne smaschera la viltà.
da “la Nuova Sardegna” di giovedì 18 febbraio 2010
 

1º ottobre 2009. Cappellacci viene ascoltato dagli investigatori perché coinvolto in una telefonata altrui. Il presidente è con Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Pdl, il partito di Cappellacci. Verdini è al telefono con l’imprenditore Riccardo Fusi: entrambi poi indagati nell’inchiesta sul G8.

– Fusi: …pronto?…
– Verdini: …sei mica a Roma Riccardo?…
– Fusi: …no… sto andando all’inaugurazione dell’Alta Velocità… la Verona-Bologna… quella che s’è fatta noi… sono domattina a Roma io…
– Verdini: …ti passo il presidente della Sardegna… che un amico… quello che tu mi avevi detto che volevi salutare… te lo passo e poi dopo fisso un incontro con lui…
– Fusi: …va bene… lo saluto…

La conversazione prosegue fra Fusi e Cappellacci.

– Cappellacci: …piacere di conoscerti…
– Fusi: …anche a me…
– Cappellacci: …e poi abbiamo un caro amico comune… quindi per la proprietà transitiva… c’abbiamo un’amicizia…
– Fusi: …(ride)… va bene… va bene… te hai anche una bellissima terra quindi…
– Cappellacci: … la più bella d’Italia… non una «bellissima terra», semplicemente… la più bella d’Italia…
– Fusi: …io sono innamorato di quella terra là…
Cappellacci: …(ride)…
Fusi: …un po’ meno dei sardi… ma insomma…
– Cappellacci: guarda… guarda… sfondi una porta aperta… perché ho la consapevolezza del vero grande limite della Sardegna… noi sardi… e quindi… (ride)…
– Fusi: …va bene…
– Cappellacci: …spero di poterti conoscere presto di persona…
– Fusi: …grazie…
– Cappellacci: …ti ripasso Denis…

Eh… sì… purtroppo è vero: non è stata capace di liberarci di lui e dei suoi miserabili compari.
E comunque, se Cappellacci afferma che i sardi sono così… forse ha qualche ragione: infatti l’hanno eletto. Un vero disastro. 

ho trovato un bell’articolo di Giorgio Melis e voglio segnalarlo: il link è qui

Domenica 21 febbraio – 
Volentieri pubblico un intervento di Marcello Fois

Ha perfettamente ragione il dott. Ugo Cappellacci (attuale Governatore della regione Sardegna, nda): il “vero problema della Sardegna sono i sardi”. Tuttavia ha anche torto perché quella frase (“il problema della Sardegna sono i sardi”) è una frase da intellettuale, da scrittore, da opinionista, da sociologo, da editorialista, da tutto, fuorché da amministratore. Insomma l’unico cittadino sardo che non si può permettere di adottare questa formula, ormai persino retorica, è proprio lui. Ora è probabile che, come la maggior parte dei sardi, anche il dottor Cappellacci, abbia dimenticato che, da un anno a questa parte, e, per i prossimi quattro anni, si trova a governare proprio quei cittadini che, secondo lui, sono un problema. E’ possibile che chi è stipendiato per rappresentare, e amministrare, una regione nutra un tale disprezzo per chi l’ha eletto? Non gli è venuto in mente che affermando, anzi confermando, quella che in bocca a un “collega continentale” appare come una sciocchezza, afferma, anzi conferma, di essere egli stesso l’espressione, l’incarnazione, di quella crisi che afferma, anzi conferma? Io la penso esattamente come lui. Penso che se non ci fosse stato un problema di amor proprio dei sardi, il dottor Cappellacci, di certo, non si sarebbe trovato dove si trova. E penso che se davvero il dottor Cappellacci ha capito che il problema della Sardegna siano i sardi, lui, Governatore, cioè primo servitore di quegli stessi sardi, dovrebbe, immediatamente, dimettersi. In questo primo anno alla guida della “regione più bella” sua assenza ha brillato in maniera talmente fulgida da far pensare che non sia frutto di insipienza, come ci piacerebbe, ma, al contrario, di grande sapienza. E pare che questo sia il motivo principale per cui, chino e prono, durante una telefonata con “qualcuno che conta”, il nostro governatore ha potuto dimostrare, con la sua stessa scomparsa, che la Sardegna senza i sardi è molto più bella. Senza i sardi, lui compreso.

Marcello Fois

dall’album Resuggontu degli StranoS ElementoS

un’intervista prima del concerto di Bologna

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Eccoli qua, senza colpo ferire: l’operazione militare più economica e redditizia della storia espansionistica degli USA ha avuto inizio.
Mandato avanti l’alleato (il terremoto) a fare il “lavoro sporco”, gli americani, puntuali come l’esattore delle tasse, stanno occupando Haiti ed i suoi pozzi di petrolio con una rapida sistematicità che ha le parvenze della irreversibilità.
Obama? Batte sfrontatamente il ritmo dell’operazione alleandosi schizofrenicamente con l’industria della guerra e del petrolio all’estero e recuperando consenso all’interno sul welfare: un colpo al cerchio ed uno alla botte. Mai un presidente era stato tanto sottomesso ai militari (più di 700 miliardi di dollari alle industrie d’armi).
I media? Più embedded di prima, fanno da battistrada ai militari sbarcando sul disastro per primi e agitando lo spettro dell’ordine e della sicurezza per supportare l’occupazione-omaggio (le vittime stavolta le ha fatte il terremoto).
I governanti haitiani? Ricambiano deviando l’atterraggio dell’aereo francese dei Medici senza frontiere su Santo Domingo (arrivato immediatamente) perché non si presentassero alle telecamere prima delle truppe.
Lo stesso spettro di sempre, consunto e logoro, che, dopo essere comparso in Vietnam negli anni sessanta, continua a materializzarsi in tutte le parti del mondo dove ci sia una goccia di petrolio, un po’ di coca o di eroina, un oleodotto… Afghanistan… Iraq… per citare le ultime zone in cui è stato segnalato l’ectoplasma. E vorrebbe apparire anche in Iran oltre che in tutto il continente americano.

Ma la vera notizia è questa: sapete chi è stato nominato da Obama per coordinare i soccorsi? Nientemeno che il petroliere George W. Bush, una vera garanzia!

Così in un colpo solo si prendono Haiti, giusto di fronte a Cuba, e garantiscono alle lobbies un primo passo verso il controllo della zona, così fastidiosamente insidiata da alcune nascenti democrazie popolari (Venezuela, Ecuador, Bolivia).

ecco al riguardo un importante articolo
IL SEQUESTRO DI HAITI
di John Pilger

Il sequestro di Haiti è stato rapido e grossolano. Il 22 gennaio gli Stati Uniti hanno ottenuto il “formale beneplacito” delle Nazioni Unite di impossessarsi dei porti ed aeroporti di Haiti, e di “mettere in sicurezza”le strade. Nessun Haitiano ha firmato questo accordo, che non ha niente di legale. Regna l’egemonia, col blocco navale americano e l’arrivo di 13.000 marines, forze speciali, spie e mercenari, nessuno di questi addestrati ai soccorsi umanitari.

L’aeroporto della capitale Port-au-Prince è adesso una base militare americana e i voli di soccorso sono stati dirottati sulla Repubblica Dominicana. Per tre ore, tutti i voli sono stati sospesi all’arrivo di Hillary Clinton. I feriti gravi haitiani hanno dovuto aspettare mentre 800 residenti americani di Haiti venivano sfamati ed evacuati. Sei giorni sono trascorsi prima che l’aviazione statunitense paracadutasse bottiglie d’acqua alla gente assetata e disidratata.

Le prime notizie televisive sono state fondamentali nel dare l’impressione che ci fosse un diffuso caos criminale. Matt Frei, l’inviato della BBC da Washington, sembrava sul punto di soffocare mentre sbraitava circa la “violenza” e il bisogno di “sicurezza”. Nonostante la manifesta dignità delle vittime del terremoto e il visibile sforzo di gruppi di persone che da sole cercavano di soccorrere la gente, e persino nonostante l’opinione di un generale americano secondo cui gli episodi di violenza ad Haiti erano notevolmente diminuiti dopo il terremoto, Frei affermava che “il saccheggio è la sola attività” e che “la passata dignità di Haiti è ormai dimenticata”.
In questo modo la provata storia di aggressione e sfruttamento degli USA ad Haiti è passata alle vittime. “Non c’è dubbio”, asseriva Frei dopo l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, “che il desiderio di portare il benessere, di portare i valori americani al resto del mondo, e in questo particolare momento in Medio Oriente… è ora sempre più legato al potere militare”.

In qualche modo aveva ragione. Non era mai successo che durante un periodo di cosiddetta pace, le relazioni umane fossero militarizzate da un potere così rapace. Mai prima d’ora un presidente americano e il suo governo erano stati così subordinati all’establishment militare dei suoi screditati predecessori com’è successo a Barack Obama. Nel proseguire la linea politica di guerra e dominio di George W. Bush, Obama ha ottenuto dal Congresso un budget militare senza precedenti, superiore ai 700 miliardi di dollari. Di fatto Obama è diventato il portavoce per un golpe di tipo militare.

Per il popolo di Haiti i risvolti sono chiari, benché grotteschi. Con i militari USA che controllano il loro Paese, Obama ha designato George W. Bush come “coordinatore dei soccorsi”; una facezia certamente presa dal libro “The Comedians” di Graham Greene, ambientato nell’Haiti di “Papa Doc” Duvalier. Quand’era presidente, i soccorsi che Bush predispose dopo l’uragano Katrina del 2005 si sono trasformati in una sorta di pulizia etnica di molti abitanti neri di New Orleans. Nel 2004 Bush ordinò il sequestro di Jean-Bertrand Aristide, il primo ministro di Haiti, eletto democraticamente, e lo esiliò in Africa. Aristide aveva avuto la temerità di promulgare modeste riforme, come il salario minimo per i lavoratori sfruttati nei laboratori di Haiti.

L’ultima volta che mi trovai ad Haiti, vidi giovanissime ragazze prone davanti a sibilanti e ronzanti macchinari dello stabilimento Superior Baseball di Port-au-Prince. Molte avevano occhi gonfi e braccia lacere. Estrassi la macchina fotografica e venni buttato fuori. Haiti è dove l’America produce l’occorrente per il suo sacro sport nazionale, a costi irrisori. Haiti è dove la Disney fabbrica i suoi Mickey Mouse pigiama, a costi irrisori. Ad Haiti gli USA controllano lo zucchero, la bauxite e la sisal. Alla coltivazione del riso è subentrato riso americano d’importazione, così la gente dei campi ha dovuto traslocare nelle città in case fatiscenti. Anno dopo anno Haiti è stata invasa da marines con l’infame nomea di specialisti in atrocità dalle Filippine all’Afghanistan.

Un altro comico è Bill Clinton, dopo aver ottenuto di rappresentare le Nazioni Unite ad Haiti. Un tempo il preferito della BBC, “Mr Nice Guy… portatore di democrazia ad una triste e tribolata terra”, Clinton è il più famoso filibustiere di Haiti; impose la deregolamentazione dell’economia a beneficio dei baroni dello sfruttamento. Di recente ha promosso un accordo di 55 milioni di dollari per trasformare il nord di Haiti in un parco-giochi per turisti americani.

Ma la costruzione dell’edificio della quinta più grande ambasciata statunitense a Port-au-Prince non è per turisti. Decine di anni fa, nelle acque di Haiti è stato trovato il petrolio, e gli USA lo stanno tenendo di scorta per quando i pozzi del Medio Oriente cominceranno ad esaurirsi. Ma nell’immediato un’Haiti occupata ha un’importanza strategica per i progetti di Washington in America Latina. Lo scopo è di rovesciare le democrazie popolari di Venezuela, Bolivia ed Ecuador, controllare le abbondanti riserve di petrolio del Venezuela e sabotare il crescente consenso e la cooperazione che in quelle zone ha dato a milioni di persone il loro primo assaggio di una giustizia economica e sociale a lungo negata dai regimi sponsorizzati dall’USA.

Il primo vantaggioso successo arrivò lo scorso anno con il golpe ai danni del presidente dell’Honduras, Jose Manuel Zelaya, che aveva “osato” introdurre il salario minimo e la tassazione dei ricchi. Il sostegno segreto di Obama per il regime illegale è un chiaro monito per i governi vulnerabili dell’America centrale. Lo scorso ottobre il regime colombiano, da tempo sul libro paga di Washington e protetto da squadroni della morte, ha consegnato agli USA sette basi militari che, secondo documentazioni dell’aviazione americana, servirebbero per “combattere i governi anti-USA sul territorio”.

La propaganda dei mezzi di comunicazione ha già preparato il terreno per quella che potrebbe benissimo essere la prossima guerra di Obama. Il 14 dicembre 2009, alcuni ricercatori della UWE di Bristol hanno pubblicato per la prima volta uno studio sui documentari della BBC sul Venezuela. Su 304 servizi della BBC, soltanto tre indicavano le riforme storiche introdotte dal governo Chavez, mentre la maggior parte screditava lo straordinario record democratico di Chavez, al punto da paragonarlo ad Hitler.

Queste falsificazioni e una servile attitudine nei confronti del potere occidentale abbondano tra le corporazioni mediatiche anglo-americane. La gente che lotta per una vita migliore, o per la vita stessa, dal Venezuela all’Honduras, ad Haiti, merita il nostro sostegno.

28.01.2010

L’articolo originale è qui, sul sito di John Pilger
Scelto e tradotto per comedonchisciotte da Gianni Ellena.

Anteprima

 

Il n.4 di Vanitas Magazine è uscito a New York con la copertina di Francesco Clemente. E’ uno speciale sulla traduzione letteraria. Contiene 2 pagine estratte dal mio Taliban grazie alla grande traduzione che ne ha fatto Jack Hirschman.

 

 

 

 

e, sempre a proposito di USA, sono presente con un testo – anche questo tradotto dal caro Jack Hirschman – nel n. 32 della rivista di Oakland (CA), Left Curve

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una storia importante, per coraggio e forza etica

L’ex-sindaco di Burgos, paese di montagna del Gocèano in provincia di Sassari, risponde ad una interessante e bella intervista di Sandro Arcais.

Trovo inutile un mio commento: ogni parola dell’intervista è misurata, intelligente, giusta e necessaria, ed io non farei altro che disturbarne l’essenzialità: taccio e lo ascolto parlare rispettando il suo coraggio.
Gli mando un abbraccio.

L’intervista risale all’aprile del 2009. Pino Tilocca è stato per cinque anni, come sindaco di Burgos, oggetto di intimidazioni e attentati diretti e indiretti. Il padre Bonifacio è morto 28 febbraio del 2008 in uno di questi.

ecco qui, sul sito di Sandro Arcais, i video dell’intervista a Pino Tilocca

“E’ in atto una campagna d’odio contro di me, il fascismo e l’Italia.”

(Benito Mussolini, 1932)

“Gli ebrei alimentano una campagna d’odio internazionale contro il governo. Gli ebrei di tutto il mondo sappiano: questo governo non è sospeso nel vuoto, ma rappresenta il popolo tedesco.”

(Adolf Hitler, 1933)

“Abbiamo ricordato agli italiani la campagna di odio e di disprezzo contro Berlusconi che ha innescato una serie di reazioni a catena che hanno portato al gesto di Tartaglia, alla sua esaltazione su Facebook da parte di migliaia di estremisti”.

(Cicchitto 2009)

mi maschero da anarchico, ma in realtà, nel profondo, sono da sempre un vero marxista

un buon anno marxista a tutti

In rete ho trovato una bella intervista a Beppe Ramina, che dice molto e con chiarezza sull’impegno etico e politico. Beppe è un vecchio amico che non si è mai dimesso dalle proprie responsabilità e, dopo tanti anni, fa piacere ritrovarlo intatto. Parla dell’omosessualità in relazione con la politica, un discorso che oggi si sente fare molto raramente.
Io sono un “etero-militante”, ma vorrei vantarmi di essere stato uno dei primi a varcare la soglia del Cassero, lo storico centro di cultura ed incontro omosessuale a Bologna, ed aver partecipato come artista (sempre etero) al Gay Pride
Bei tempi, quando l’esigenza di liberazione ci affratellava e assorellava tutti. Sapevamo con certezza che quelle non erano battaglie ‘di genere’, ma solo etiche, umane…
Si faceva politica nel modo più divertente che si possa immaginare. Ci eravamo liberati del peso dell’ideologia per trasformarla in ideale, in idea etica, e, soprattutto, in pensiero del quotidiano.

Cito alcuni passaggi dell’intervista a Beppe.
Qui per continuare a leggerla tutta…

« (….) Al di là del rapporto con i partiti, mi pare che sia l’adozione stessa di categorie politiche a indebolire l’energia che avrebbe il pieno dispiegarsi del discorso delle sessualità dei generi, delle omosessualità, del nomadismo identitario. Penso che all’origine della debolezza di visione ci sia qualcosa che affonda nella cultura, che ha a che fare con l’introiezione del pregiudizio omofobico. Da qui un’idea minoritaria di noi stessi, come comunità di persone e come singoli individui; la convinzione, declinata in vari modi, di essere una minoranza e non una parte della società. Agisce altrettanto negativamente la radicata ed estesa convinzione che esistano per davvero persone eterosessuali e persone omosessuali – e che non siano costruzioni sociali – e che il nomadismo erotico e affettivo non sia l’orizzonte di riferimento. Infine, la percezione diffusa di essere vittime e non protagonisti. (….)»

«Le premetto che non sono d’accordo con chi pensa che i successi a livello istituzionale siano la misura della nostra forza e del nostro benessere. Nel momento in cui siamo protagonisti della nostra vita e della nostra storia abbiamo già ottenuto la sostanza di ciò che ci serve: la mia serenità e la mia libertà, anche di lottare, non dipendono dalle concessioni dello Stato o del Vaticano, ma dal darmi valore e agire in autonomia (….)».