Sdoganato a Sanremo da Marco Carta e i Tazenda, il sardo assurge alla dignità di lingua. Ciò che non era riuscito ad assemblee di accademici, leggi europee e regionali di salvaguardia, resistenti testi letterari e poetici, è riuscito in una sola notte al sistema della comunicazione basica e popolare. Molto intuitivi su “ciò-che-va-oggi”, i nostri eroi hanno conquistato posizioni che a nessun intellettuale sarebbero mai state concesse.
Da più parti ho sentito avanzare sospetti di “vittoria guidata”, di fenomeno “utile”…
Non credo alla vittoria guidata, penso piuttosto che lo spessore della giuria e della votazione popolare sia specchio esatto dell’esistente. Oggi l’Italia è questa. O così, o scendi. Comandano loro, dettano regole e parametri, paradigma e valori. Se chi comanda è un ignorante parvenu di successo, tutti sono autorizzati a pensare che le qualità per arrivare siano spietatezza, furbizia, sorriso, tette e culo, e così via…
E c’è chi li incarna perfettamente ed è capace di rappresentarli in un processo di svilimento apparentemente inarrestabile. Il fascismo cominciò proprio così. Il progetto di rinascita della P2, cui il nostro primo ministro aderisce fedelmente tanto da esserne un esecutore affidabile, ne è un’evoluzione naturale.
Che c’entra con Sanremo? Beh… proprio niente… parliamo d’altro: voi guardate Sanremo e sorridete, che al resto pensano loro.

Torniamo quindi al ‘fenomeno utile’.
Ci credo, ma fin dalla sua nascita il festival di Sanremo è stato un fenomeno utile. Solo che, e questo mi preoccupa, ora c’è al centro la Sardegna, che fino ad ieri fortunatamente non esisteva. Perché? Beh… si calcola che le maggiori speculazioni immobiliari, bloccate dalla crisi o dalle regole in tutta Italia, avranno sfogo torrenziale proprio in Sardegna. Cemento che cola come se piovesse. Lavoro per muratori e piazzisti fino alla consumazione di tutto. Solo questo? No… il prossimo anno si discuterà delle basi e servitù militari. E la Sardegna, con la sua crescita esponenziale di tumori e inquinamento, preoccuperebbe se fosse abitata da gente cosciente e resistente… E ancora: si parlerà di energia. Scommetto fin d’ora che cominceremo ad avere problemi di ecomafie, come non è difficile prevedere che se una centrale nucleare nascerà, malgrado i referendum che lo dovrebbe impedire, la Sardegna per prima ne sarà gratificata. Poi c’è da esigere i crediti dallo Stato… E i trasporti… Molti sardi, con Soru, si stavano rendendo conto che è possibile liberarsi di pesi economici e malfunzionanti come la Tirrenia ed il suo carico ultracinquantennale di umiliazioni subite. Inoltre la sanità e la scuola si stavano avviando verso un modello non tanto ‘nazionale’, quindi pericoloso. A chiudere il discorso, si aggiunga che l’idea indipendentista o anticolonialista è diventata meno spaventosa, o quantomeno oggetto di tranquilla discussione entrando indenne perfino nei comizi di Soru.
Metteteci inoltre il fatto che i sardi sono da sempre un inesauribile e silente serbatoio di combattenti gloriosi, giardinieri tuttofare, camerieri pronti e capaci che… pensate: si comprano con poco, sono fedeli, riconoscenti, e non protestano nemmeno se qualcuno cambia nome ai loro luoghi di nascita. I sardi utili servono e sono servili. E tacciono. Odiano chi protesta, si ribella, si differenzia, chi spera o mostra altre possibilità di vita. Soprattutto se conterranei. Come rinunciare ad un tale patrimonio umano?

Ma non si parlava della lingua?
Quale lingua? Il sardo che ho sentito su youtube (Sanremo era davvero troppo) non è la mia lingua, è quella del buon selvaggio che va in costa a divertire il turista col suo esotismo da animatore. Un logudorese forzato, mal pronunciato alla olbiese (Tazenda… caricottos) o alla nuorese da un cagliaritano che in un’intervista ha testualmente detto: “unu basu grandi a tottusu” oppure “non mi piace Soru perché ha rovinato il Poetto con quella sabbia scura”.

La mia forza è un altro modo di dire forza (in sardo fortza) paris: forza tutti insieme, purché a testa bassa come i buoi… mentre intanto un’altra Forza dall’Italia sta stendendo le sue planimetrie ed i suoi piani militari sulla mia terra.
Ma si deve lavorare… e trovo persino commovente la realizzazione del sogno del parrucchiere di Pirri o dei barroseddos di Terranòa. Sinceramente, auguro loro tanta fortuna e il danaro che meritano. E ne sono contento come quando leggo di una vincita alla lotteria a Tresnuraghes pensando che laggiù si alzerà un pochino il PIL e anche qualcun altro (giornalaio, tabaccaio, barista, panettiere…) ne godrà. E speriamo che, dati per persi i vincitori, almeno quel qualcun altro ricominci a pensare.

articolo scritto per

>Come nei peggiori incubi, come nei racconti delle più spietate invasioni, ancora la Sardegna si restringe ed i Sardi si allontanano dal mare. Quelli che tentano di restare vicino alle coste vengono sterminati senza pietà.

La storia si ripete in ricorsi crudeli: era già successo coi romani e con i mori, perdurava nel periodo degli spagnoli e dei savoia…
Solo da poco ci eravamo rilassati. Riattirati all’esterno dagli specchietti e le collanine dei nuovi sorridenti colonizzatori, li abbiamo serviti in silenzio e con dedizione: camerieri nelle loro residenze fortificate, ascari nelle loro guerre, sicari nelle loro vendette, ottusi esecutori delle loro voglie… servi, anzi, servi dei servi…
Un popolo di servi senza storia. A loro tutto il mio inutile disprezzo. Sì perché non si può avere pietà o comprensione per il servilismo e l’assenza di etica.
In effetti avevo già cominciato ad avere dei dubbi ed a provare dolore quando davanti al ‘magazzino’ nuragico, ormai pallido simbolo della nostra esistenza, era stata consegnata la bandiera.
Ma interpretai quel gesto come una mossa falsa che avrebbe risvegliato ancora di più il nostro orgoglio e confermato che potevamo di nuovo essere un popolo. Niente di più sbagliato. Il mio ottimismo non aveva colto l’esatta esemplificazione di ciò che stava per succedere: la resa senza condizioni.

Ed ora eccoci qua: nuovamente sconfitti e piegati, nuovamente ripiegati nei fieri (?) villaggi dell’interno, arroccati e imprendibili (perché non appetibili), e sempre più spopolati di spirito e persone.

La Sardegna è un feudo senza orgoglio. I pochi sardi che tentano di resistere sono traditi da coloro che s’inchinano senza alcuna cultura né memoria. Ora si ritorna indietro e si dovrà ricominciare tutto da capo. Eravamo a Bisanzio, s’ardia fidel’e Antìne, e ne abbiamo riportato soltanto la maledizione perpetua: crollo e decadenza.

E che ora non si parli di Rinascimento sardo, che le intelligenze sappiano indossare il lutto della mente, che chi si è dimesso o ha smesso per salvarsi il culo non ritorni mai più.
Oggi siamo di nuovo soli e con sempre meno ricordi.
Da qui ricominciamo, e non abbiamo tempo da sprecare.

diversi e differenti commenti sulla questione:
altra voce
democrazia oggi
sardus disterraus

il piemontese Bogino
(in Sardegna sinonimo di boia)

>senza parole riporto questo triste comunicato

Sabato 14 febbraio alle ore 16
critical mass silenziosa a lutto
Piazza Nettuno, Bologna

Domenica 8 febbraio in via Saragozza angolo via Audinot alle ore 21,30 Paride è stato investito e ucciso da un SUV guidato da un ventenne che era sulla preferenziale. La notizia è qui.

Nel frattempo ci son stati altri due investimenti mortali in provincia di Bologna.

Paride Emiliano Idda era un ragazzo sardo di 24 anni, uno studente di Sassari, un fumettista appassionato di pittura che frequentava la ciclofficina e lo spazio sociale autogestito XM24 a Bologna. Giovedì 12 febbraio alle ore 12 sul luogo dell’incidente un gruppo di ciclisti ha appeso questo striscione


Nella serata di Domenica 8 febbraio 2009 Paride pedalava su via Saragozza quando è stato travolto e ucciso da un SUV. E’ l’ennesimo ciclista morto a Bologna, città che in soli due anni ha visto morire sulla sella ben cinque persone, tutte vittime del traffico motorizzato. Il vocabolario certamente non riesce ad esaurire tutto ciò che solo un doloroso silenzio potrebbe suggerire. E non sta a noi fare la cronaca di una morte che, mentre ammutolisce in quanto esseri umani, costringe tutti a non poter più tacere. Perché di nuovo, ancora, essa è l’estrema ma già nota conseguenza di una situazione che vede l’automobile rivelarsi come l’emblema di una cultura occidentale votata all’auto distruzione.

A Bologna di tutto questo se ne fa esperienza quotidiana. A nulla servono le mosse ridicole di quegli amministratori che vogliono rifarsi il trucco spacciando Bologna come città della bicicletta, Bologna ciclabile, Bologna va in bici e altre formulette per l’evenienza, perché così, drammaticamente, non è. Rifiutiamo indignati queste mascherate opportunistiche, poiché esse offendono sfacciatamente chi ogni giorno sceglie criticamente, sui propri pedali, di affrontare una città congestionata per tentare di ritrovarla, per reinventarla, per amarla. E prontamente gli avvoltoi mediatici sono scesi in picchiata sulla preda, per trarne desertificanti verità preconfezionate, ma che sappiamo ormai essere già da tempo scadute. Il collegamento, ad esempio, assolutamente ideologico, fra presunta ebbrezza del guidatore, mancato rispetto delle regole stradali e morte. Sappiamo invece che sul castello di carta della famigerata “sicurezza stradale” (formula tanto in voga quanto vacua) sta in bilico una società che, suo malgrado, sconta ogni giorno gli effetti e le conseguenze della secolare mitologia del “progresso”

che si è abbandonata totalmente alla Macchina, in un delirio fideistico risoltosi ben presto in dipendenza distruttiva da conflitti armati per il controllo di territori, persone e risorse energetiche

che ha preso la forma di asfissianti realtà urbane nelle quali vige la più selvaggia norma del “si salvi chi può”

che in mezzo alle nebbie dello smog urbano si dibatte convulsa, evitando di voler riconoscere se stessa in una morte che è sempre stata già lì, per terra, sull’asfalto quotidianamente unto dall’indifferenza.

per saperne di più visita i siti:

>L’altra sera mi sono commosso a vedere 1200 persone, di cui almeno 1000 sardi, che venivano a sostenere l’intelligente iniziativa del Renàutobus. C’era calore, attenzione, affetto. E una presenza eccellente di sensibilità e generosità. Ho sentito di appartenere a un grande popolo. Una serata indimenticabile sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello della qualità delle proposte artistiche. Non voglio continuare per non esagerare con gli aggettivi, ma credetemi: dagli anni settanta non vedevo una tale partecipazione ed un tale entusiasmo. Comunque, per chi non c’era, ecco i links divisi in due filmati:

Domani pomeriggio alle 15 parte il Renàutobus e diventa reale la scommessa che insieme al comitato Bologna per Soru abbiamo intrapreso lunedì scorso al teatro delle Celebrazioni: molti giovani potranno tornare per votare.


ragazzi, buon viaggio!

bazi in bonòra


torrades pro votare, votade pro torrare…
fintzas pro nois:

MEGLIO SORU

Dato che mi vengono rivolte da più parti domande sul “come mai”o “perché” io sostenga visibilmente Renato Soru alla presidenza della Sardegna, utilizzo questo spazio per chiarire cercando di fare in modo che le mie risposte siano il più “generali” e il meno “private”possibile.

  • Ho sostenuto Soru alle elezioni scorse e devo ammettere di non essermi mai pentito
  • Penso che Soru sia capace di garantire un clima politico e di confronto che in Sardegna manca da sempre.
  • Credo nelle proposte che Soru porta avanti viste le strade già intraprese (welfare, scuola, legge salvacoste e interesse alle comunità dell’interno, master & back, difesa del territorio e della cultura, risanamento dei bilanci…)
  • Non credo per niente nel lìder maximo alla Ceausescu. Sarebbe un taglio mentale molto più vicino al PDL. Soru, che è un uomo, in quanto tale è naturalmente soggetto ad errori.
  • Dunque votarlo non significa abbandonare la propria coscienza civile e politica nelle sue mani. Ogni eventuale errore di un governante è altrettanto imputabile al silenzio dei movimenti e dei singoli sulla medesima questione. Siamo o no individui pensanti? abbiamo un’etica?
  • La facoltà di vigilare sull’operato delle Istituzioni e di praticare eventuale dissenso, anche forte e radicale, è un’opzione garantita dalla Costituzione ai singoli ed alle associazioni. Si chiama fare politica. Oltre e nonostante le eventuali debolezze, fermezze, simpatie o antipatie personali. Non ho motivi per pensare che Soru possa mai andare contro questo principio.
  • Altra cosa che meraviglia alcuni è il fatto che io stesso sia stato protagonista di simili contingenze (vedi post su ex-zone minerarie, campi da golf, mancato o scarsissimo finanziamento di un progetto culturale da me diretto ad Asuni). Per quanto riguarda l’opzione opporsi, invio ai punti precedenti. Ma aggiungo: sono stato educato fin da piccolo ad avere uno sguardo largo… e dignità prima di tutto. Non faccio MAI questioni personali, ma politiche. I personalismi… la permalosità… mi getterebbero in una condizione di miseria interiore insanabile. Immagino e credo che anche per Soru sia lo stesso… se così non fosse, sarebbe un problema solo suo.
  • Esiste la possibilità di un voto disgiunto. Dunque ognuno potrebbe votare la formazione che preferisce. Questo sarebbe uno stimolo anche per Soru.
  • Qualcuno oggi è in grado di proporre un presidente possibile oltre lui? Certamente è il migliore che abbiamo. Basta pensare a come si sta liberando della casta, quei loschi individui che dal dopoguerra occupano le istituzioni. Il problema eventuale sarà soltanto se sbaglierà a scegliere i suoi collaboratori e gli assessori. Spero sinceramente non succeda e confido anche nell’ulteriore – triste – eventualità di correggere il tiro nel percorso.

considerazioni:

se Soru vince
in Sardegna, perde Berlusconi – e questo può creare speranze

Soru trasporta speranze come da trenta o quarant’anni nessun uomo politico ne dava

sulle speranze noi dobbiamo lavorare a mantenerle aperte e portarle avanti

Chi a Bologna ha ascoltato il lucido e chiaro discorso di Renato Soru non può non provare entusiasmo per le finestre che ha aperto sul futuro dell’Isola. Abbiamo davvero bisogno di crederci, e questo basta per sostenerlo. Non ho dubbi.
Chi a Bologna ha visto 1000 studentipieni di speranza che vogliono tornare a votare – per poi poter tornare e restare – non può non appoggiare il Renàutobus (e questi studenti e giovani lavoratori non sono certo attratti soltanto dal PD, ma da tutte le formazioni della sinistra).
Loro hanno speranze. Io alla loro età non ne avevo, e, dopo 34 anni, non so ancora quando potrò tornarmene in Sardegna come vorrei (cioè senza chiedere favori a nessuno).
Ho entusiasticamente accettato di partecipare al concerto per pagare il viaggio agli studenti. Faccio male? Credo di no. Anzi, faccio benissimo.

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Chiudo dicendo ciò che per me resta ovvio: io vengo dai movimenti e lì intendo restare (a Bologna appoggio la “città libera” diBifo e Monteventi…)
Vorrei che in Sardegna venissero eletti soltanto dei consiglieri sinceramente antimilitaristi per fare una pressione forte e finalmente risolvere la questione delle servitù militari. Riporto il comunicato del comitato gettiamo le basi verso il quale nutro una seria fiducia politica.
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ELEZIONI
Per chi persiste nell’obiettivo del “governo amico” di centrosinistra

Sul tema della schiavitù militare inferta alla Sardegna i candidati vecchi e nuovi proposti dallo schieramento di centrosinistra si distribuiscono, grosso modo, in tre gruppi:

– Molti non hanno mai tradito la scelta politica di antica data che assegna all’isola il ruolo di scuola di guerra e campo di battaglia permanente. Non potrebbe essere diversamente in uno schieramento che annovera tra i suoi grandi leader l’ex-ministro Parisi.
(
rinvio ad un mio post precedente sulla questione).

– La stragrande maggioranza, più prudente, da prova di mantenersi fedele alla tradizionale linea politica delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo.

– Alcuni si sono spesi sull’esigenza di liberare la Sardegna dal giogo militare in numerose dichiarazioni stampa, con divisibilissime e sacrosante, purtroppo, scisse dall’azione concreta, non supportate dall’individuazione di strumenti adeguati e obiettivi concretamente perseguibili a breve, medio e lungo termine. Nei rari episodi in cui le parole sono state accompagnate dai fatti spesso gli strumenti adottati sono stati inefficaci e talvolta il risultato ottenuto controproducente.

Solo quattro i candidati “outsider” che hanno dimostrato di sapere e volere coniugare parole e fatti, ideali e impegno concreto in prima persona:
Claudia Zuncheddu (Rosso Mori), Rita Marras (Prc Sassari), sempre attive in tutte le lotte, hanno denotato capacità di realismo politico utilizzando mezzi e praticando percorsi adeguati a calare nella realtà “il sogno” di liberare l’isola dal ruolo infamante e devastante di base di tutte le guerre.
Giancarlo Bulla (IDV), il corrispondente della Nuova Sardegna che con un’indagine seria e accurata, sostenuta da passione e “spirito di militanza” ha contribuito a imporre l’attenzione sull’epidemia di tumori e alterazioni genetiche che ha come epicentro il poligono della morte Salto di Quirra.
Il consigliere uscente Paolo Pisu (Prc), animatore della Tavola sarda per la pace che ha dato spazio e risonanza alla lotta di popolo per Gettare le Basi militari fuori dalla Sardegna e fuori dalla Storia.

Non si fa riferimento alle forze politiche minoritarie dell’area nazionalitaria, sempre presenti in tutte le nostre lotte e pertanto straripanti di candidati impegnati da anni in prima persona con serietà e coerenza.

Comitato sardo Gettiamo le Basi

 

 

ecco il comunicato del Teatro delle Celebrazioni per la festa-concerto che servirà a finanziare il viaggio per i giovani che vogliono tornare in Sardegna a votare per le prossime elezioni regionali.

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Paolo Fresu, Ludovico Einaudi, Marcello Fois, Alberto Masala, Michela Murgia, Alessandra Berardi, Bruno Tognolini… sono solo alcuni dei protagonisti dell’evento di lunedì 9 Febbraio, alle 21, al Teatro delle Celebrazioni. Scopo della serata è raccogliere fondi per finanziare il viaggio per la Sardegna degli studenti e lavoratori sardi chiamati alle urne e che si riconoscono nella coalizione di Renato Soru.
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Una festa-concerto a sostegno di Renato Soru, candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Sardegna, si terrà lunedì 9 febbraio a Bologna, al Teatro delle Celebrazioni – via Saragozza 234. La serata, con inizio alle 21, è promossa dal comitato Bologna per Soru e dal comitato elettorale del candidato presidente, con la collaborazione del Teatro delle Celebrazioni. Ideatore e protagonista dell’evento Paolo Fresu, il più noto artista sardo, bolognese d’adozione da molti anni; con lui sul palco un altro artista molto apprezzato nella scena musicale italiana, il pianista Ludovico Einaudi, che col trombettista di Berchidda ha instaurato da qualche anno un fruttuoso sodalizio. La serata sarà poi arricchita da alcuni interventi di poeti e scrittori sardi: Marcello Fois, Alberto Masala, Alessandra Berardi, Bruno Tognolini (anche loro come Fresu bolognesi d’adozione), Michela Murgia.

L’ingresso alla serata è ad offerta libera

Scopo dell’iniziativa è raccogliere fondi per finanziare il viaggio elettorale dei molti studenti e lavoratori sardi emigrati a Bologna, ma ancora residenti in Sardegna, che intendono rientrare nell’isola per contribuire alla rielezione di Renato Soru alla presidenza della Regione; a tal proposito è stato organizzato un viaggio in pullman (partenza venerdì 13) per accompagnare gli elettori fino al porto di Livorno, all’imbarco navale per Olbia. Dalla città gallurese partirà poi, nella mattina di sabato 14, il collegamento, con tappe intermedie, verso Cagliari, per portare a destinazione coloro che abitano nel sud dell’isola. Renàutobus, come è stato scherzosamente ribattezzato, partirà da Bologna nel primo pomeriggio; il contributo richiesto ai partecipanti è di 20 euro, comprensivi del biglietto in nave (passaggio ponte).

Il Renàutobus è un’idea di “Bologna per Soru”, gruppo nato spontaneamente su Facebook per sostenere la riconferma di Renato Soru. Parola d’ordine del gruppo, che ha avuto il piacere di ospitare lo stesso Soru a Bologna nella giornata di martedì 3 in un affollato incontro alle Scuderie di Piazza Verdi, è “torramus pro votare, votamus pro torrare”. Lo slogan (torniamo per votare, votiamo per tornare) cita in limba (lingua) il più importante provvedimento della giunta Soru in materia di istruzione (il Master&Back), ed esprime gli scopi pratici e immediati del gruppo ma anche, in termini generali, la sua ragione fondativa.

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Ed ecco alcuni stralci del documento di Bologna per Soru:

«Quante volte avete simpaticamente preso per i fondelli i vostri amici costretti ad avere come proprio rappresentante, tanto per non fare nomi, un Cuffaro, un Loiero, un Fitto o un Formigoni? Volete, per i prossimi cinque anni, esser costantemente accostati ad un Ugo Cappellacci qualunque? Non si tratta della scelta oziosa tra due schieramenti contrapposti ma simili, come ormai (troppo) spesso accade nelle elezioni nazionali e locali. A contendersi la guida della nostra Regione per i prossimi cinque anni non sono solo due persone diverse, sono due visioni differenti “d’intendere e volere” la Sardegna: da una parte quella dei sardi, dall’altra quella di un piazzista brianzolo. Nemmeno tanto simpatico».

«Solo con la riconferma della coalizione di centro-sinistra guidata da Renato Soru si potranno creare i presupposti perché aumentino le possibilità che i tanti sardi che come noi sono stati costretti a emigrare per motivi di studio o lavoro possano un giorno tornare a studiare e lavorare in Sardegna, se lo vogliono, per contribuire con l’esperienza, la professionalità, le conoscenze acquisite fuori dall’isola al miglioramento delle condizioni di vita loro e di tutti i sardi, senza che siano costretti a passare tutta una vita da emigrati: votamus (a Soru) pro torrare, dunque».

il gruppo Bologna per Soru è su Facebook
mail:bolognapersoru@gmail.com

>la palese inconsistenza del figlio del commercialista di Arcore sta sfiorando picchi di drammaticità – Cappellacci è il nulla che avanza offendendo anche il più piccolo barlume di intelligenza – notizie sempre fresche sul sito di Michela Murgia, da cui ho tratto la significativa immagine qui sopra. Qui si capisce che basterebbe una parvenza di cervello, sia pure automatico come quello di Google, per chiarire tutto.

Nel video viene svelato il perché Berlusconi ha scelto Ugo Cappellacci

e dopo la giornata della memoria, si ricomincia a smemorare in un rituale che ormai è diventato vuoto e formale come, per esempio, un 8 marzo preceduto e seguito da stupri e violenze sistematiche sulle donne…

non ci piace assistere immobili all’accapparramento da parte delle istituzioni di tematiche e territori che riguardano più lo spirito e la coscienza di ognuno… per un giorno all’anno possono dare una cristiana sciacquatina con i buoni sentimenti e poi… si continua peggio di prima: genocidi, guerre, pulizie etniche, razzismi…

tanto per non fargliela passare liscia troppo facilmente, pubblico una lettera per la giornata della memoria di Michael Warschawski, israeliano di Alternative Information Center

18 gennaio 2009

Assolutamente No! Non nel loro nome, non nel nostro.

Ehud Barak, Tzipi Livni, Gabi Ashkenazi e Ehud Olmert – non osate mostrare la vostra faccia durante una cerimonia per commemorare gli eroi del ghetto di Varsavia, Lublin, Vilna o Kishinev. E neanche voi dirigenti di Peace Now, per cui la pace significa la pacificazione della resistenza palestinese, con ogni mezzo, incluso la distruzione di un popolo. Se ci sono, io stesso farò il possibile per espellervi da questi eventi, perché la vostra presenza sarebbe un sacrilegio immenso.

Non nei loro nomi.

Non avete diritto di parlare in nome dei martiri del nostro popolo. Voi non siete Anna Frank del lager di Bergen Belsen, ma Hans Frank, il generale tedesco che agì per affamare e distruggere gli ebrei di Polonia.

Non rappresentate nessuna continuità con il ghetto di Varsavia, perché oggi il ghetto è qui davanti a voi, il bersaglio dei vostri carri armati e la vostra artiglieria, si chiama Gaza.
Gaza, che voi avete deciso di eliminare dalla carta, come il generale Frank voleva eliminare il ghetto. Ma a differenza dei ghetti di Polonia e Bielorussia, dove gli ebrei sono stati abbandonati da quasi tutti, Gaza non sarà eliminata perché milioni di uomini e donne da tutto il mondo stanno costruendo uno scudo umano potente su cui campeggiano due parole: Mai Più!

Non nei nostri nomi.

Insieme a decine di migliaia di ebrei, dal Canada alla Gran Bretagna, dall’Australia alla Germania, vi avvertiamo: non osate parlare a nome nostro perché vi perseguiremo, anche – se necessario – nell’inferno dei criminali di guerra, e vi ricacceremo le parole in gola, fino a farvi chiedere perdono per averci coinvolto nei vostri crimini. Noi, e non voi, siamo i figli di Mala Zimetbaum e Marek Edelman, di Mordechai Anilevicz e Stephane Hessel, e portiamo il loro messaggio all’umanità per tutelare la resistenza di Gaza: “Lottiamo per la nostra e la vostra libertà, per il nostro e il vostro orgoglio, per la nostra e la vostra dignità umana, sociale e nazionale” (Appello dal Ghetto al mondo, Pasqua, 1943)

Ma per voi, leaders di Israele, “libertà” è una parola sporca. Non avete nessun orgoglio e non capite il significato della dignità umana.

Noi non siamo “un’altra voce ebrea”, ma invece l’unica voce ebrea capace di parlare a nome dei martiri torturati del popolo ebreo. La vostra voce non è altro che l’antico clamore bestiale degli assassini dei nostri antenati.

pulizie a Gaza
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Absolutely Not in Their Name, Not in Ours

Michael Warschawski, Alternative Information Center (Israel)
Jan 18, 2009

Absolutely Not! Not in Their Name, Not in Ours.
Ehud Barak, Tzipi Livni, Gabi Ashkenazi and Ehud Olmert–don’t you dare show your faces at any memorial ceremony for thehttp://www2.blogger.com/img/blank.gif heroes of the Warsaw Ghetto, Lublin, Vilna or Kishinev. And you too, leaders of Peace Now, for whom peace means a pacification of the Palestinian resistance by any means, including the destruction of a people. Whenever I will be there, I shall personally do my best to expel each of you from these events, for your very presence would be an immense sacrilege.

Not in Their Names

You have no right to speak in the name of the martyrs of our people. You are not Anne Frank of the Bergen Belsen concentration camp but Hans Frank, the German general who acted to starve and destroy the Jews of Poland.

You are not representing any continuity with the Warsaw Ghetto, because today the Warsaw Ghetto is right in front of you, targeted by your own tanks and artillery, and its name is Gaza. Gaza that you have decided to eliminate from the map, as General Frank intended to eliminate the Ghetto. But, unlike the Ghettos of Poland and Belorussia, in which the Jews were left almost alone, Gaza will not be eliminated because millions of men and women from the four corners of our world are building a powerful human shield carrying two words: Never Again!

Not in Our Name!

Together with tens of thousands of other Jews, from Canada to Great Britain, from Australia to Germany, we are warning you: don’t dare to speak in our names, because we will run after you, even, if needed, to the hell of war-criminals, and stuff your words down your throat until you ask for forgiveness for having mixed us up with your crimes. We, and not you, are the children of Mala Zimetbaum and Marek Edelman, of Mordechai Anilevicz and Stephane Hessel, and we are conveying their message to humankind for custody in the hands of the Gaza resistance fighters: “We are fighting for our freedom and yours, for our pride and yours, for our human, social and yours” (Appeal of the Ghetto to the world, Passover 1943)

But for you, the leaders of Israel, “freedom” is a dirty word. You have no pride and you do not understand the meaning of human dignity.

We are not “another Jewish voice”, but the sole Jewish voice able to speak in the names of the tortured saints of the Jewish people. Your voice is nothing other than the old bestial vociferations of the killers of our ancestors.

pubblico integralmente una bella lettera di Franco Berardi (Bifo) che è apparsa su ReKombinant:
[RK] Che dirò ai miei studenti nel giorno della memoria?

L’ho trovata talmente chiara ed importante da sentire la necessità di farla risuonare. D’altronde la funzione di questo blog è sempre stata quella di riecheggiare le voci intelligenti. In questo senso la mia voce non diventa necessaria quando ne appare un’altra così limpida…

Un caro abbraccio ed un ringraziamento a Bifo, filosofo e pensatore ad oltranza, nonché insegnante in una scuola serale di Bologna. Per chi vuole conoscerlo meglio: su questo sitoo su Wikipedia
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«hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame (…) li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l’umanità intera».

(Stefano Nahmad, la cui famiglia ha subito le persecuzioni naziste)

Insegno in una scuola serale per lavoratori, in gran parte stranieri.
E’ un ottimo osservatorio per capire quel che accade nel mondo.
L’anno scorso, avvicinandosi il giorno della memoria che ogni anno si celebra nelle scuole, leggemmo brani dal libro Se questo è un uomo di Primo Levi. Avevamo parlato molto della questione ebraica, e della storia del popolo ebreo dalle epoche lontane al ventesimo secolo. Proposi che tutti scrivessero un breve testo sugli argomenti di cui avevamo parlato.
Claude D, un ragazzo senegalese di circa venti anni, piuttosto pigro ma dotato di vivacissima intelligenza concluse il suo lavoro con queste parole: “Ogni anno si fanno delle cerimonie per ricordare lo sterminio degli ebrei, ma gli ebrei non sono i soli che hanno subito violenza. Perché ogni anno dobbiamo stare lì a sentire i loro pianti quando altri popoli sono stati ammazzati ugualmente e nessuno se ne preoccupa?”
Questa frase mi colpì, e decisi di proporla alla discussione della classe, in cui oltre Claude c’erano cinque italiani due marocchini un peruviano una brasiliana, un somalo, due ragazze romene una ucraina e due russi. L’opinione di Claude era quella di tutti. Sia ben chiaro: nessuno mise in dubbio la verità storica dell’Olocausto, neppure Yassin, un ragazzo marocchino appassionato alla causa palestinese e sempre pronto a criticare con durezza Israele. Tutti avevano seguito con attenzione e partecipazione la lettura delle pagine di Primo Levi.
Però tutti mi chiedevano: perché non si fanno cerimonie pubbliche dedicate allo sterminio dei rom, dei pellerossa, o allo sterminio in corso dei palestinesi? Claude a un certo punto uscì fuori con una frase che non potevo contestare: perché nessuno ha pensato a un giorno della memoria dedicato all’olocausto africano? Pensai ai milioni di suoi antenati deportati da negrieri schiavisti, pensai all’irreparabile danno che questo ha prodotto nella vita dei popoli del golfo d’Africa occidentale, e conclusi il discorso in maniera che a tutti apparve risolutiva (vorrei quasi dire salomonica): “Nel giorno della memoria si ricorda l’Olocausto ebraico perché attraverso questo sacrificio si ricordano tutti gli Olocausti sofferti dai popoli di tutta la terra.”

Ammesso che la parola “identità” significhi qualcosa, e non lo credo, per me l’identità non è definita dal sangue e dalla terra, blut und boden come dicono i romantici tedeschi, ma dalle nostre letture, dalla formazione culturale e dalle nostre mutevoli scelte. Perciò io affermo di essere ebreo. Non solo perché ho sempre avuto un interesse fortissimo per le questioni storiche e filosofiche poste dall’ebraismo della diaspora, non solo perché ho letto con passione Isaac Basheevis Singer e Abraham Jehoshua, Gerhom Sholem, Akiva Orr, Else Lasker Shule e Daniel Lindenberg, ma soprattutto perché mi sono sempre identificato profondamente con ciò che definisce l’essenza culturale dell’ebraismo diasporico. Nell’epoca moderna gli ebrei sono stati perseguitati perché portatori della Ragione senza appartenenza. Essi sono l’archetipo della figura moderna dell’intellettuale. Intellettuale è colui che non compie scelte per ragioni di appartenenza, ma per ragioni universali. Gli ebrei, proprio perché la storia ha fatto di loro degli apatridi, hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della figura moderna dell’intellettuale ed hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione dell’Illuminismo e della laicità, e anche dell’internazionalismo socialista.
Come scrive Singer, nelle ultime pagine del suo Meshugah: “La libertà di scelta è strettamente individuale. Due persone insieme hanno meno libertà di scelta di quanto ne abbia una sola, le masse non hanno virtualmente nessuna possibilità di scelta.”
Per questo io sono ebreo, perché non credo che la libertà stia nell’appartenenza, ma solamente nella singolarità. So bene che nel ventesimo secolo gli ebrei sono stati condotti dalla forza della catastrofe che li ha colpiti, a identificarsi come popolo, a cercare una terra nella quale costituirsi come stato: stato ebraico. E’ il paradosso dell’identificazione. I nazisti costrinsero un popolo che aveva fatto della libertà individuale il valore supremo ad accettare l’identificazione, la logica di appartenenza e perfino a costruire uno stato confessionale che contraddice le premesse ideologiche che proprio il contributo dell’ebraismo diasporico ha introdotto nella cultura europea.
In Storia di amore e di tenebra scrive Amos Oz: “Mio zio era un europeo consapevole, in un’epoca in cui nessuno in Europa si sentiva ancora europeo a parte i membri della mia famiglia e altri ebrei come loro. Tutti gli altri erano panslavi, pangermanici, o semplicemente patrioti lituani, bulgari, irlandesi slovacchi. Gli unici europei di tutta l’Europa, negli anni venti e trenta, erano gli ebrei. In Jugoslavia c’erano i serbi i croati e i montenegrini, ma anche lì vive una manciata di jugoslavi smaccati, e persino con Stalin ci sono russi e ucraini e uzbeki e ceceni, ma fra tutti vivono anche dei nostri fratelli, membri del popolo sovietico.”

Il mio punto di vista sulla questione mediorientale è sempre stato lontano da quello dei nazionalisti arabi. Avrei mai potuto sposare una visione nutrita di autoritarismo e di fascismo? E oggi potrei forse sposare il punto di vista dell’integralismo religioso che pervade la rabbia dei popoli arabi e purtroppo ha infettato anche il popolo palestinese nonostante la sua tradizione di laicismo? Proprio perché non ho mai creduto nel principio identitario non ho mai provato
particolare affezione per l’idea di uno stato palestinese. I palestinesi sono stati costretti all’identificazione nazionale dall’aggressione israeliana che dal 1948 in poi si è manifestata in maniera brutale come espulsione fisica degli abitanti delle città, come cacciata delle famiglie dalle loro abitazioni, come espropriazione delle loro terre, come distruzione della loro cultura e dei loro affetti. “Due popoli due stati” é una formula che sancisce una disfatta culturale ed etica, perché contraddice l’idea – profondamente ebraica – secondo cui non esistono popoli, ma individui che scelgono di associarsi. E soprattutto contraddice il principio secondo cui gli stati non possono essere fondati sull’identità, sul sangue e sulla terra, ma debbono essere fondati sulla costituzione, sulla volontà di una maggioranza mutevole, cioè sulla democrazia.
Pur avendo un interesse intenso per l’intreccio di questioni che la storia ebraica passata e recente pone al pensiero, non ho mai scritto su questo argomento neppure quando l’assedio di Betlemme o il massacro di Jenin o l’orribile violenza simbolica compiuta da Sharon nel settembre del 2000 o i bombardamenti criminali dell’estate 2006 provocavano in me la stessa ribellione e lo stesso orrore che provocavano gli attentati islamici di Gerusalemme o di Netanja o gli omicidi casuali di cittadini israeliani provocati dal lancio di razzi Qassam.
Non ho mai scritto nulla, (mi dispiace doverlo dire), perché avevo paura. Come ho paura adesso, non lo nascondo. Paura di essere accusato di una colpa che considero ripugnante – l’antisemitismo. So di poter essere accusato di antisemitismo a causa della convinzione, maturata attraverso la lettura dei testi di Avi Shlaim, e di cento altri studiosi in gran parte ebrei, che il sionismo, discutibile nelle sue scelte originarie, si è evoluto come una mostruosità politica. Pur avendo paura non posso però più tacere dopo aver discusso con lo studente Claude. Considero il sionismo causa di infinite ingiustizie e sofferenze per il popolo palestinese, ma soprattutto lo considero causa di un pericolo mortale per il popolo ebraico. A causa della violenza sistematica che il sionismo ha scatenato negli ultimi sessant’anni, la bestia antisemita sta riemergendo, e sta diventando maggioritaria se non nel discorso pubblico nel subconscio collettivo.
Dato che non è possibile affermare a viso aperto che il sionismo è una politica sbagliata che produce effetti criminali, molti non lo dicono, ma non possono impedirsi di pensarlo.
Aprendo la discussione sulle parole dello studente Claude, ho scoperto che gli altri studenti, italiani e marocchini, romeni e peruviani, che pure nel loro svolgimento avevano trattato la questione secondo gli stilemi politicamente corretti, costretti ad approfondire il ragionamento e a far emergere il loro vero sentimento, finivano per identificare il sionismo con il popolo ebraico e quindi a ripercorrere la strada che conduce verso l’antisemitismo. Considerando criminale e arrogante il comportamento dello stato di Israele, identificandosi spontaneamente con il popolo palestinese vittimizzato, finivano inconsapevolmente per riattivare l’antico riflesso anti-ebraico.
Proprio la rimozione e il conformismo che si coltivano nel giorno della memoria stanno producendo nel subconscio collettivo un profondo antisemitismo che non si confessa e non si esprime. Perciò credo che occorra liberarsi della rimozione e denunciare il pericolo che il sionismo aggressivo rappresenta soprattutto per il popolo ebraico.
Trasformare la questione ebraica in un tabù del quale è impossibile parlare senza incorrere nella stigmatizzazione benpensante sarebbe (anzi è già) la condizione migliore per il fiorire dell’antisemitismo.

Si avvicina il 27 gennaio, che sarà anche quest’anno il giorno della memoria. Come potrò parlarne nella classe in cui insegno quest’anno?
Non c’è più Claude, ma ci sono altri ragazzi africani e arabi e slavi ai quali non potrò parlare dell’immane violenza che colpì il popolo ebraico negli anni Quaranta senza riferirmi all’immane violenza che colpisce oggi il popolo palestinese. Se tacessi questo riferimento apparirei loro un ipocrita, perché essi sanno quel che sta accadendo.
E come potrò tacere le analogie tra l’assedio di Gaza e l’assedio del Ghetto di Varsavia del quale abbiamo parlato recentemente? E’ vero che gli ebrei uccisi nel ghetto di Varsavia nel 1943 furono 58.000 mentre i morti palestinesi sono per il momento solo mille. Ma come dice Woody Allen i record sono fatti per essere battuti. La logica che ha preparato la ghettizzazione di Gaza (che un cardinale cattolico ha definito “campo di concentramento”) non è forse simile a quella che guidò la ghettizzazione degli ebrei di Varsavia? Non vennero forse gli ebrei di Varsavia costretti ad ammassarsi in uno spazio ristretto che divenne in poco tempo un formicaio? Non venne forse costruito intorno a loro un muro di cinta della lunghezza di 17 chilometri di tre metri di altezza esattamente come quello che Israele ha costruito per rinchiudere i palestinesi? Non venne agli ebrei polacchi impedito di uscire dai valichi che erano controllati da posti di blocco militari?
Per motivare la loro aggressione che uccide quotidianamente centinaia di bambini e di donne, i dirigenti politici israeliani denunciano i missili Qassam che in otto anni hanno causato dieci morti (tanti quanti l’aviazione israeliana uccide in mezz’ora). E’ vero: è terribile, è inaccettabile che il terrorismo di Hamas colpisca la popolazione civile di Israele. Ma questo giustifica forse lo sterminio di un popolo? Giustifica il terrore indiscriminato, la distruzione di una città? Anche gli ebrei di Varsavia usarono pistole, bombe a mano, bottiglie molotov e perfino un mitra per opporsi agli invasori. Armi del tutto inadeguate, come lo sono i razzi Qassam. Eppure nessuno può condannare la difesa disperata degli ebrei di Varsavia.
Cosa posso dire, dunque, nel giorno della memoria? Dirò che occorre ricordare tutte le vittime del razzismo, quelle di ieri e quelle di oggi. O questo può valermi l’accusa di antisemitismo?

Se qualcuno vuole accusarmi a questo punto non mi fa più paura. Sono stanco di impedirmi di parlare e quasi perfino di pensare ciò che appare ogni giorno più evidente: che il sionismo aggressivo, oltre ad aver portato la guerra e la morte e la devastazione al popolo palestinese, ha stravolto la stessa memoria ebraica fino al punto che nelle caserme israeliane sono state trovate delle svastiche, e fino al punto che cittadini israeliani bellicisti hanno recentemente insultato cittadini israeliani pacifisti con le parole “con voi Hitler avrebbe dovuto finire il suo lavoro”.
Proprio dal punto di vista del popolo ebraico il sionismo aggressivo può divenire un pericolo mortale. L’orrenda carneficina che Israele sta mettendo in scena nella striscia di Gaza, come i bombardamenti della popolazione di Beirut due anni fa, sono segno di demenza suicida. Israele ha vinto tutte le guerre dei passati sessant’anni e può vincere anche questa guerra contro una popolazione disarmata. Ma la lezione che ne ricavano centinaia di milioni di giovani islamici che assistono ogni sera allo sterminio dei loro fratelli palestinesi è destinata a far sorgere un nuovo nazismo.
Israele può sconfiggere militarmente Hamas. Può vincere un’altra guerra come ha vinto quelle del 1948 del 1967 e del 1973. Può vincere due guerre tre guerre dieci guerre. Ma ogni sua vittoria estende il fronte dei disperati, il fronte dei terrorizzati che divengono terroristi perché non hanno alcuna alternativa. Ogni sua vittoria approfondisce il solco che separa il popolo ebraico da un miliardo e duecento milioni di islamici. E siccome nessuna potenza militare può mantenere in eterno la supremazia della forza, i dirigenti sionisti aggressivi dovrebbero sapere che un giorno o l’altro l’odio accumulato può dotarsi di una forza militare superiore, e può scatenarla senza pietà, come senza pietà oggi si scatena l’odio israeliano contro la popolazione indifesa di Gaza.

franco berardi, 15/01/2009
ISRAELE ha avuto finora dall’ONU
SETTANTADUE RISOLUZIONI DI CONDANNA
un record da stato-canaglia


A proposito di Israele, del suo rispetto per le risoluzioni ONU, della sua pericolosità nucleare, vediamo quanto ha dichiarato un tale Martin Van Crevel, professore di Storia Militare presso l’Università ebraica di Gerusalemme.

Nel corso di un’intervista ha affermato che Israele ha la capacità di colpire con armi nucleari la maggior parte delle capitali europee: “Possediamo diverse centinaia di testate atomiche e di missili che possiamo lanciare su bersagli in tutte le direzioni, persino verso Roma. Molte capitali europee sono il bersaglio della nostra aviazione militare.”

Ha inoltre detto che l’unica strategia significativa nei confronti del popolo palestinese è la deportazione collettiva, e che l’attuale governo sta soltanto aspettando il momento giusto per farlo.

Alla domanda se non si preoccupasse che Israele diventi uno stato-canaglia qualora effettuasse tale deportazione di massa contro i palestinesi, Crevel ha citato l’ex ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan che disse: “Israele dev’essere come un cane rabbioso, troppo pericoloso da importunare”, e che comunque ad Israele non importerebbe granchè diventarlo: “Le nostre Forze armate sono la seconda o terza potenza al mondo. Abbiamo la capacità di portare il pianeta alla distruzione insieme a noi, e vi garantisco che è quello che succederà prima che Israele sparisca.”

sono pericolosi davvero
con arroganza hanno tranquillamente ignorato le 72 risoluzioni che potete leggere sul sito dell’ONU

una buona sintesi in italiano si può scaricare da qui in pdf