>Parigi? quartiere latino…
San Francisco? North Beach…
Berlino? Kreuzberg…
Amburgo? St. Pauli…
Barcellona? barrio gotico, barrio chino, ecc…
e Amsterdam… Cagliari… Palermo… Istanbul… Madrid… Roma…
ovunque tranne che a Bologna…
tutte città dove si dorme benissimo, dipende solo dalle proprie nevrosi… dalla propria infelicità
il Pratello di giorno
io viaggio per LAVORO e dunque ho un diritto al riposo NON MINORE di chiunque altro
per esempio: l’ultima volta a Parigi, in strada sotto la finestra del mio albergo, c’era un gruppo rock-duro, amplificato, in pieno centro. Per TRE GIORNI mi è stata fatta una serenata MOLTO RADICALE fino all’una di notte. – prima sera, rock – seconda sera, reggae – terza sera, percussioni afro ed elettronica (bella sperimentazione, la migliore…)
L’unica difficoltà è stata quella di entrare e uscire dall’albergo, vista la folla. TUTTI AVEVANO UNA BOTTIGLIA IN MANO e si godevano la musica. TUTTI I LOCALI (a centinaia) intorno erano aperti e pieni di gente fino alle 3 di mattina. Non vedevo vigili da nessuna parte… la maggioranza delle persone sorrideva… ho scambiato degli interessanti commenti sulla qualità della musica col portiere del mio albergo, poi ho dormito. Ma pensavo: “se succedesse a Bologna… ci sarebbero già i carri armati ad occupare il quartiere…”
se dovessi tornare a Parigi e non volessi sentire nessuno, oggi prenoterei l’albergo in un’altra zona
ma voi… residenti del Pratello che protestate per il “rumore” ottenendo dal sindaco sceriffo un’ordinanza per far chiudere tutti i locali alle 22, voi…
perché avete comprato casa nel Pratello?
volevate ridurlo ai vostri paradigmi di esistenza?
avevate valutato il rischio di non riuscirci?
io avrei un’ipotesi da azzardare: avete comprato lì, in una vecchia via di prostitute e ladruncoli, perché costava poco. Molti di voi hanno addirittura “investito” nell’affare, subaffittando a studenti in attesa che la via si “ripulisse” e i prezzi degli immobili salissero all’inverosimile. Una via del centro fa gola a chiunque voglia speculare. E voi ci state provando. Ma allora lasciamo da parte i “diritti” (ché quello al silenzio non è più rilevante di quello alla socialità) e parliamo di affari: ogni investimento comporta dei rischi. Investire nel Pratello significa rischiare che le osterie non chiudano, anzi… dato che il comune ha emesso le licenze, che aumentino. E, investimento per investimento, beh… sto dalla parte di chi vende kebab o birra, non certo da quella di chi vorrebbe che tutto fosse inscatolato. Gli studenti che voi attirate a Bologna e spremete fino al midollo non hanno né devono avere i vostri ritmi o i vostri rituali. Vendete casa finché siete in tempo (che già ora vale dieci volte quello che l’avete pagata) e riacquistatela due strade più in là… succede…
il Pratello di notte
dunque una domanda agli studenti:
perché continuate a venire a Bologna?
perché continuate a fornire danaro e intelligenza a questa città così oscura, fatta per impedire il cielo?
perché non vi rendete conto che altrove si studia meglio e costa tutto la metà e, soprattutto, la gente sa ancora sorridere?…
andatevene… lasciate che questa città soffochi nelle nebbie della sua stessa decomposizione
Bologna ha perso la sua nobiltà proletaria: è una città di parvenus, di vecchi arricchiti che non sanno nemmeno fare il pane, ma lo vendono al doppio del suo prezzo
esperienza personale:
ho vissuto nel Pratello e non ho MAI provato fastidio per le voci umane o i rumori naturali, anzi… gli unici rumori per i quali ho sofferto – perché infastidivano mia figlia appena nata in casa, nel Crusél, il crociale angolo Pietralata-Pratello – e contro i quali ho lottato, erano:
1. i camion del rusco (il pattume per chi non è di Bologna), quelli del lavaggio strada o della campana del vetro scaricata alle due, le tre, le quattro di notte
2. i bonghi dei “bongoloidi”, ma perché non sapevano suonare, non era musica, solo battiti autistici…
cito un passaggio da un libro di qualche anno fa in cui mi si chiedeva di parlare di Bologna.
Sebbene residente ed abitante, risposi con un paradosso perché considero l’abitare un luogo il poter godere di tutte le occasioni di socialità e di cultura (ahi ahi, Bologna!… socialità?… cultura?…) che quel luogo offre: risposi che sto a Bologna, ma non abito a Bologna.
Infatti in questa città ormai vengo solo per dormire e non esco più di casa per paura di incontrare i suoi terribili abitanti, i “comitati dei residenti”, i sindaci sceriffi, la tipa psicofarmacizzata ed alcolista che per solitudine contina a denunciare da anni l’osteria sotto casa sostenendo che sente la gente parlare… e che nei giorni di chiusura o di ferie dell’osteria si aggira furiosamente ubriaca insultando chi passa per la strada. Poveretta… rimane per un po’ senza nemici…
e pensare che quando arrivai a Bologna, più di trent’anni fa, oltre alla vitalità della città mi colpì quella dei suoi vecchi, simpatici, allegri e dolcemente trasgressivi…
scusate l’auto-citazione, ma mi pare a proposito. eccola:
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“… Un altro fattore rilevante è che io non abito a Bologna … dove mi appoggio ormai da una trentina d’anni. Qui ho trasportato spesso il mondo che mi appartiene, qui sto, ma di passaggio. Però non abito più qui. Trasferisco da altrove le cose che qui vivo, oppure, da qui, le sposto altrove. Abitando in me stesso. Ormai sono soltanto io il luogo da cui vengo, e se parlassi di Bologna dovrei farlo parlando troppo di me, di quel nulla che si fa attraversare da Venezia, Amsterdam, Berlino, la Spagna, il Maghreb, Istanbul, la Sicilia, la Francia, gli Stati Uniti, i Balcani… e, sopra di tutto, la mia Sardegna perenne.
Sempre ostinatamente tornando a questa città senza vento, fatta per impedire il cielo, la luce, lo sguardo lungo.
A Bologna, come non succede da nessun’altra parte, l’intelligenza piove di scroscio ininterrotto. Ma queste strade ben impermeabilizzate non la sanno assorbire, questi portici ne nascondono i flussi, e quel poco che resiste, che non scorre veloce alle cloache, forma pozzanghere brillanti asciugate lentamente dal calore dell’indifferenza. A volte non lasciando nemmeno ricordo.”
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un’ultima cosa: andate a vedere come il comune stesso spaccia per vitale questa città utilizzando le foto della festa del Pratello del ’92, di cui anch’io ero promotore.
Se non ricordo male, era una reazione gioiosa e trasgressiva all’arroganza della municipalità: si faceva una festa (e non una lotta armata) per mettere la questione della mancanza di spazi abitativi e di socialità. Infatti tutto partiva dalle case occupate ai n. 76 e 78 della via. Oggi nel sito del comune sembra che l’abbiano fatta loro e che la città sia viva! La cosiddetta faccia come il culo. Nonostante non sia la prima volta che succede, non riesco ad abituarmi…
alberto masala
festa del Pratello nel ’92