>


l’11 gennaio 2008 alle 9,30 è cominciata la seconda udienza per l’uccisione di Federico Aldrovandi.

vogliamo verità e giustizia
gli aggiornamenti nel blog acceso per lui dal coraggioso e tenero amore di sua madre e tenuto vivo dal calore di chi gli vuole bene

raccolgo l’invito di Patrizia, mamma di Federico, a visitare L’Errico, il blog di Dean Buletti, regista di Chi l’ha visto. Lì c’è Buchi neri, un post con documenti e filmati prodotti in due anni. Andateci anche voi: è un ottimo lavoro, davvero importante.

ingenuo ed ottimista, ho l’attitudine a privilegiare sempre la buona fede… poi, a riportarmi con i piedi per terra, anzi, nel fango, scopro che la porcata c’è, sempre, e sporca tutto, anche le idee migliori…
quando imparerò a diffidare delle buone intenzioni e delle dichiarazioni di principio?

ecco: c’è un documento del 4 febbraio 2007 che annuncia che la presenza d’onore al Salone del libro di Torino è felicemente destinata all’Egitto!

Quali pressioni ha dovuto fare Israele per modificare questa decisione?

Quale faccia come il culo hanno dovuto esibire le istituzioni e gli organizzatori per annunciare la decisione di ospitare Israele?

Quale consapevolezza hanno di questo i sottoscrittori dell’appello?

Quale mancanza di coraggio hanno gli stessi a non ammettere di aver preso una cantonata, seppure (alcuni) in buona fede?

Quale pelo sullo stomaco si devono far crescere tutti costoro?
In nome di che cosa?
E cosa c’entra la letteratura in tutto questo?

 

qui il link del dibattito sul FORUM PALESTINA

qui il link del DOCUMENTO UFFICIALE che annuncia l’Egitto come ospite

cari scrittori firmatari, ripeto ciò che dicevo nel post precedente:

… Quanti di voi, che avete sottoscritto l’appello, hanno rapporti con gli scrittori dissidenti e pacifisti di Israele che, anch’essi totalmente israeliani, boicottano il sistema aggressivo e colonizzatore e vengono per questo messi a tacere? Quanti di voi sostengono gli scrittori israeliani che disperatamente si oppongono? Ho l’idea che non vi siate nemmeno posti il problema.
Ecco perché sostengo che questa firma sia troppo comoda, distratta, inconsapevole ed incosciente. Perché sostiene un governo, non una cultura. Un potere, non un popolo. Un brutto potere…. un brutto governo… colonialista e sanguinario… che violenta ogni cultura. Anche la propria.

La vostra è una firma ciecamente ‘coraggiosa’, che manca totalmente di coraggio e di sguardo.
E’ una firma superficiale che ci trascina in basso, che colpisce la dignità di due popoli: quello palestinese e quello israeliano insieme.
E’ una firma POLITICA, ma non ETICA, che conforta l’arroganza di un sistema basato sull’oppressione e sul potere economico, un sistema sostenuto da questa Europa ipocrita ed altrettanto arrogante.

E’ l’occidente, amici… il comodo e confortevole occidente…
e chi non ci sta, scenda dal carro.

avevo messo l’immagine di alcune banconote di Israele
sono sparite… vuoi vedere che se le sono riprese?

Se le avessero prese loro, non le rivedrò mai più. Se invece le ha prese qualcuno di voi scrittori, è pregato di riportarle qui immediatamente.

 


questo appello, pubblicato in rete dall’ottimo Tiziano Scarpa – scrittore che mi è molto simpatico… (io sono un
fan della scuraglia) – e sottoscritta da molti sulle riviste il primo amore e Nazione Indiana (vedi in fondo) mi lascia perplesso per la sua leggerezza, la sua cieca “obiettività”, il suo freddo senso della “democrazia”.

———————————————–

Nel nome di quale idea della letteratura si parla? Penso subito ad un’idea della letteratura astratta, inconsapevolmente (…?) e colpevolmente funzionale ai sistemi di riproduzione e tutela del controllo sociale.
Al potere, da sempre, serve un’arte inoffensiva che fornisca un’idea del mondo pacificante e pacificata e magari metta anche in discussione i meccanismi, sì… ma solo in maniera prudentemente astratta ed in condizioni di apparente uguaglianza del diritto di parola.
Da sempre i sistemi delegano agli artisti il compito di rappresentare libertà fittizia in sistemi sociali basati sul privilegio, in cui la libertà è inesistente o estremamente sacrificata. Da sempre agli artisti viene affidato il compito di rappresentare ‘liberamente’ le frustrazioni e gli orrori di sistemi malati, inumani, oppressivi. Gli artisti assolvono il compito di alleggerire la cattiva coscienza del potere rappresentando in maniera innocua le sue malattie più orribili e, per questo, venendone ricompensati con l’accredito a corte, alla parola, ai media, al privilegio…
Niente di male… stiamo lavorando… dobbiamo campare… abbiamo famiglia… ma che almeno qualche volta questa parola si ritorca contro… che almeno si sfruttino gli spazi di visibilità per sforzarsi di avere una visione critica!

Cari scrittori, vedete, io da sempre sono convinto (e per questo eticamente indistruttibile) che il privilegio della parola pubblica possa essere delegato soltanto da un popolo, una gente, un gruppo: quello nel cui nome si è autorizzati a parlare. E che questo popolo stesso ti tolga la delega nel momento in cui non lo rappresenti più, nel momento in cui non viene assolto il debito. Sono convinto (ed ho anche pubblicato un libro al riguardo), che quando un artista calpesta in pubblico un metro quadro di mondo e si espone alla visibilità, svolga il dovere di parlare in nome di qualcuno che l’ha incaricato. Ogni artista, nell’atto creativo ed in ogni suo gesto pubblico, non porta soltanto un’opera, ma, anche solo temporaneamente, aggrega un popolo che lo ascolta, compra i suoi libri o va a vederlo in teatro e nei luoghi dell’arte.
Qui, in questi luoghi, ognuno sceglie la propria committenza e ne porta la voce trasformata dalla propria arte in opera, in sublime, in necessario, in fantastico, in bello, in terribile…
L’arte è dunque per me è solo lo strumento tecnico di cui ci si è dotati per rendere credibile socialmente la propria presenza – sperabilmente etica.
E dato che la mia presenza è spesso dannatamente dissidente, divergente, mi servo dell’arte per raffinare e mantenere la mia credibilità pubblica, per non essere punibile nella mia pratica di testimonianza e quindi continuare a percorrerla.
Per quanto mi riguarda (ma a questo nessuno è obbligato) il compito è di trasportare la voce di chi non ha voce.
Per farlo bisogna però ‘transvivere’ oltre le proprie miserie personali, diventare esemplare, trasformare il proprio Ego-Centrico in Ego-Topico, calpestando con tale intensità quel metro quadro di mondo da scavare un solco visibile, oltre sé stessi, riscattando i propri limiti personali e quelli della società che ti vorrebbe invece ‘funzionale’.
Poi si rientra tranquillamente nella propria miseria quotidiana, della quale non si deve rendere conto a nessuno oltre sé stessi.

In questo senso la vostra firma è troppo leggera ed innesca un meccanismo perverso il cui risultato è: “Vedete… qui siamo liberi di parlare e di lasciar parlare…”
Niente di più falso e strumentale al potere. Niente di più acquiescente…
In nome di quale popolo state parlando?
Quando ci si astrae pronunciandosi in nome di una solo apparente libertà, si perde il senso profondo delle cose. Io credo solo nella libertà applicata, nell’etica concreta dei comportamenti quotidiani privati e pubblici.
Quanti di voi, che avete sottoscritto l’appello, hanno rapporti con quegli scrittori dissidenti e pacifisti di Israele che, anch’essi totalmente israeliani, boicottano il sistema aggressivo e colonizzatore e vengono per questo messi a tacere? Quanti di voi sostengono quegli scrittori israeliani che disperatamente si oppongono? Ho l’idea che non vi siate nemmeno posti il problema.
Ecco perché sostengo che questa firma sia troppo comoda, distratta, inconsapevole ed incosciente. Perché sostiene un governo, non una cultura. Un potere, non un popolo. Un brutto potere…. un brutto governo… colonialista e sanguinario… che violenta ogni cultura. Anche la propria.
Israele, come ogni sistema, si serve evidentemente dei suoi scrittori e dei suoi artisti per poter avallare un’idea orribilmente falsa di stato democratico, di pensiero e respiro dell’arte e dell’espressione.
Anch’io firmo e firmerò sempre per la libertà e la pace, per i diritti alla terra ed alla vita, alla cultura, ma di tutti… non di uno contro gli altri. E non di un potere.

Così immagino che questa firma sia stata posta da voi, scrittori, quasi come un ‘dovere’ da assolvere velocemente, distrattamente perfino, senza guardare troppo a ciò che Israele compie rispetto al popolo palestinese. Sono convinto che nessuno di voi in questi giorni si sia posto il problema di agire “con altrettanta forza e consapevolezza” rispetto al dramma di Gaza, dove si continua a sterminare, dove qualcuno subisce un’oppressione di tale portata che, senza dubbi, oggi può essere indicata col termine di genocidio.

leggete l’intervista al caro Aharon Shabtai, poeta di grande qualità e profondità, che riporto in un post precedente, e pensateci sopra un momento

La vostra è una firma ciecamente ‘coraggiosa’, che manca totalmente di coraggio e di sguardo.
E’ una firma superficiale che ci trascina in basso, che colpisce la dignità di due popoli: quello palestinese e quello israeliano insieme.
E’ una firma POLITICA, ma non ETICA, che conforta l’arroganza di un sistema basato sull’oppressione e sul potere economico, un sistema sostenuto da questa Europa ipocrita ed altrettanto arrogante.

E’ l’occidente, amici… il comodo e confortevole occidente…
e chi non ci sta, scenda dal carro.

Non abbiatevene a male… ancora una volta sto solo cercando di pensare. E, come sempre, mi conduce un istinto d’amore.
Infatti pubblico il vostro appello e invito chi lo condivide ad aderire…
Ma anche c
hi non lo condivide ad opporsi fermamente.
E tutti voi a ripensarci (e quello sì, sarebbe un gesto di vero coraggio)

Con immutato affetto
Alberto Masala

———————————————–

Nel nome della letteratura
Israele ospite della Fiera del Libro di Torino 2008

Con questa firma esprimiamo una solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del libro di Torino, nel momento in cui questo evento di prima grandezza della vita letteraria nazionale viene attaccato per aver scelto Israele come paese ospite dell’edizione 2008.
L’appello a cui aderiamo s’intende apartitico, e politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine. Non intende affatto definire uno schieramento, se non alla luce di poche idee semplici e profondamente vissute.
In particolare, l’idea che le opinioni critiche, che chiunque fra noi è libero di avere nei confronti di aspetti specifici della politica dell’attuale amministrazione israeliana, possono tranquillamente, diremmo perfino banalmente!, coesistere con il più grande affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie dentro e fuori Israele. Queste manifestazioni sono da sempre così strettamente intrecciate con la cultura occidentale nel suo insieme, rappresentano una voce talmente indistinguibile da quella di tutti noi, che qualsiasi aggressione nei loro confronti va considerata un atto di cieco e ottuso autolesionismo.

Raul Montanari

prime adesioni:

Alessandra Appiano, Alessandra C., Gabriella Alù, Cosimo Argentina, Sergio Baratto, Paola Barbato, Antonella Beccaria, Silvio Bernelli, Gianfranco Bettin, Daria Bignardi, Gianni Biondillo, Riccardo Bonacina, Elisabetta Bucciarelli, Gianni Canova, Fabrizio Centofanti, Benedetta Centovalli, Piero Colaprico, Giovanna Cosenza, Sandrone Dazieri, Francesco De Girolamo, Girolamo De Michele, Donatella Diamanti, Paolo Di Stefano, Luca Doninelli, Marcello Fois, Francesco Forlani, Gabriella Fuschini, Giuseppe Genna, Michael Gregorio (Daniela De Gregorio, Mike Jacob), Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar, Nicola Lagioia, Loredana Lipperini, Valter Malosti, Antonio Mancinelli, Valentina Maran, Federico Mello, Antonio Moresco , Gianfranco Nerozzi, Chiara Palazzolo, Gery Palazzotto, Paolo Pantani, Leonardo Pelo, Guglielmo Pispisa, Laura Pugno, Andrea Raos, Roberto Moroni, Mariano Sabatini, Rosellina Salemi, Flavio Santi,Tiziano Scarpa, Beppe Sebaste, Gian Paolo Serino, Luca Sofri, Monica Tavernini, Annamaria Testa, Maria Luisa Venuta, Andrea Vitali, Vittorio Zambardino, Zelda Zeta (Pepa Cerutti, Chiara Mazzotta, Antonio Spinaci)

 

06. Febbraio 2008 · Commenti disabilitati su boicottare Israele? direi di sì… · Categorie:attivismo, blog news, nel sociale · Tag:, , , ,

conosco personalmente e stimo Aharon Shabtai: pochi mesi fa eravamo insieme a San Francisco invitati da Jack Hirschman. Credo che sia importante, in questo momento in cui si discute del boicottaggio di Israele al Salone del libro, ascoltare la sua voce.
Ho preso
l’intervista fatta da Michelangelo Cocco per il Manifesto e la riporto qui integralmente.

«È un’occasione di propaganda, per questo io, israeliano, non sarò al Salone di Parigi» – Il poeta Aharon Shabtai declina l’invito a partecipare all’evento culturale francese e accusa la deriva di destra del suo paese, che solo un intervento dell’Europa potrà arginare
Per le sue traduzioni dei Tragici, dal greco classico all’ebraico moderno, gli fu attribuito nel 1993 il Premio del primo ministro israeliano. Era il periodo del processo di pace di Oslo e Aharon Shabtai credeva che il governo fosse intenzionato a fare la pace con i palestinesi. Accettò l’ambìto riconoscimento. Qualche settimana fa invece il poeta, uno dei più famosi nello Stato ebraico, ha declinato l’invito rivoltogli a partecipare al Salone del libro di Parigi. Nato nel 1939 a Tel Aviv, autore di una ventina di raccolte di poesie e conosciuto all’estero soprattutto per «J’accuse» – in cui si scaglia contro il governo e la società del suo paese – è uno dei più radicali nella pattuglia di intellettuali «dissidenti». Secondo Shabtai, che ha risposto al telefono alle domande del manifesto, lo Stato ebraico sarebbe in preda a una deriva di destra che potrebbe essere arginata solo da un intervento dell’Europa, il Continente dei Lumi che dovrebbe aiutare «l’apartheid israeliana» a compiere una svolta come quella impressa al Sudafrica dall’ex presidente De Klerk.

Aharon Shabtai, perché ha rifiutato l’invito di Parigi a partecipare al Salone del libro?
Perché ritengo che si tratti di un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno Stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità. Lo stesso presidente Shimon Peres, responsabile del massacro di dieci anni fa a Kfar Kana (in Libano), parteciperà. Per me sarebbe stato impossibile andare a leggere i miei testi a Parigi.

Qual è l’immagine dell’altro – del palestinese – riflessa dalla letteratura israeliana?
Nel sionismo – uno dei frutti del nazionalismo dell’800 – c’erano elementi positivi: l’idea che gli ebrei, reduci dalle persecuzioni in Europa, venissero qui in Israele acquistando libertà e indipendenza. Ma ora ci siamo trasformati in uno stato coloniale, con i giornali che fanno propaganda razzista contro gli arabi e i musulmani. Siamo un popolo avvelenato da questa propaganda. La maggior parte della letteratura «mainstream» è completamente egocentrica: non è interessata all’altro, rappresenta la vita della borghesia e si occupa di problemi psicologici. La nostra letteratura non ha a cuore i problemi morali cruciali di questo momento storico. Si configura soprattutto come intrattenimento borghese. In questo contesto la maggior parte degli scrittori si dichiara in termini generali «per la pace», ma quando c’è da prendere una decisione per fare qualcosa di «aggressivo» si schiera col governo, come durante l’ultima guerra in Libano, quando Yehoshua, Grossman e Oz hanno scritto sui giornali che si trattava di un conflitto giusto. All’estero dipingono l’immagine di un Israele liberale, ma sono parte integrante del sistema.

Ma il governo israeliano è ufficialmente impegnato in colloqui di pace con l’Autorità nazionale palestinese e ammette l’urgenza di dare ai palestinesi uno stato, anche se solo in una parte del 22% della Palestina storica.
Il problema non è lo Stato, ma la terra. Qui i giornali ne parlano apertamente, ogni giorno, molto più che in Italia e in Europa: gli insediamenti, la confisca di territorio, il controllo dell’acqua da parte delle autorità israeliane aumentano di giorno in giorno. Questi sono i fatti, molto diversi dalla propaganda utilizzata dal governo: i palestinesi non hanno più un territorio.

Che significato ha per lei il 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico?
Dopo sessanta anni ci troviamo di fronte a un bivio: o continuare a essere uno stato coloniale e proseguire con la guerra, mettendo seriamente in pericolo il futuro d’Israele perché – non dobbiamo dimenticarlo – viviamo in Medio Oriente, non in California. L’alternativa è fare come (l’ex presidente sudafricano) De Klerk: invertire la rotta e provare a dare ai palestinesi pieni diritti sulla loro terra, cercando di creare un uovo sistema di pace. Altrimenti non sopravvivremo né da un punto di vista morale, né come stato, perché la guerra si espanderà a tutto il Medio Oriente.

Alcuni gruppi della sinistra italiana sono pronti a boicottare la Fiera del libro di Torino, mentre la sinistra istituzionale si oppone perché, sostiene, il boicottaggio va contro i principi stessi della cultura, provoca reazioni negative e gli intellettuali non sono responsabili delle azioni dei loro governi.
Quello che affermano è assurdo: durante il periodo hitleriano o durante l’apartheid intellettuali come Brecht e tanti altri si univano per combattere il fascismo e il segregazionismo. Gli intellettuali, assieme alle organizzazioni di base, contribuirono alla fine dell’apartheid. Gli intellettuali – che devono essere liberi – dovrebbero partecipare al boicottaggio. Un aiuto dall’Europa, che boicotti Israele non in quanto tale, ma in quanto establishment politico militare che sostiene l’occupazione, è l’unica possibilità di salvare i palestinesi e noi, gli ebrei d’Israele.

Da dieci anni, dal tramonto del movimento pacifista, siete fermi a un migliaio di «dissidenti» che manifestano contro la guerra. Perché non riuscite a raggiungere un’audience più ampia?
Perché in Israele tutte le televisioni e tutti i giornali educano la gente al nazionalismo, con un lavaggio del cervello quotidiano. Ora sono seduto, qui nel mio appartamento, e posso sentire distintamente il mio vicino che sta dicendo: «Gli arabi non sono un popolo, sono barbari, avremmo dovuto colpirli con la bomba atomica». Quello che afferma l’ha imparato dai mass media, che creano panico e rabbia mentre i politici collaborano con l’establishment militare. Viviamo in una situazione orwelliana: ogni giorno la tv ripete quanto sia terribile vivere a Sderot, dove quasi nessuno viene ucciso. A due passi dalla cittadina israeliana c’è l’inferno di Gaza, che è diventata un ghetto.

Ma cosa possiamo augurarci in un futuro prossimo?
Io spero nell’aiuto degli europei, che i discendenti di Voltaire e Rousseau aiutino Israele, perché Israele non finirà l’occupazione fin quando l’Europa non gli dirà «basta», perché Israele dipende dall’Europa e dagli Stati Uniti. Solo una pressione da parte dei paesi civili e democratici può cambiare la situazione e riportarci la felicità. La situazione attuale – in cui a dettar legge è l’esercito – non può essere cambiata dall’interno. Per i valori di cui è portatrice, l’Europa non può continuare a collaborare con Israele. Io spero che in un anno o due l’Europa possa cambiare rotta.

 

solo le donne devono avere voce e autorità sulla 194

ormai siamo alla follia pura, al nazismo esplicito, all’integralismo più retrivo che afferma un potere arbitrario basato su false percentuali di consenso e di appartenenza

una volta per tutte: con quale autorità un monarca assoluto di uno stato inesistente, basato solo sul potere e l’arroganza, si permette di parlare in mio nome? come si permette di pronunciare per me la parola spirito… la parola amore… la parola vita…?

affidereste i vostri migliori sentimenti, le vostre più profonde tensioni spirituali alla gestione di un millantatore sessuofobo e misogino? alla sua organizzazione capillare di loschi affari? a dei mentitori che, prendendoci per cretini, ci minacciano con l’inferno?

Humana ante oculos foede cum vita iaceret
in terris oppressa gravi sub religione
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans…

 

un gesto civile:
sbattezzarsi, uscire dalla chiesa, non alimentare lo share


e questo blog

che guarda il cielo senza mediatori
forte della propria coscienza etica
con consapevole autonomia spirituale
condanna il papa e i suoi loschi compari

 

 

 

ho trovato questo post su SORELLE D’ITALIA – sito intelligente che consiglio davvero
e sul blog di Giuliana Dea queste indicazioni che si prega di seguire scrupolosamente

 

>

finalmente… eccola qui la verità!
da Radio Maria

se vi convince, poi andate a firmare la petizione
ed a leggere qui che è piuttosto interessante



ultim’ora: l’incommensurabile padre Livio ha risposto!


>

la 194 non si tocca!!!


piuttosto che scrivere, trovo più interessante rimandarvi al sito
Sorelle d’Italia
ed al bellissimo post di Michela Murgia: lo stato interessante
le sue parole non mi trovano d’accordo, ma ne apprezzo la verità e, soprattutto, il dibattito ancora più bello che ha suscitato. Ah… se i cattolici fossero tutti così… e se i dibattiti fossero tutti così…

intanto, mentre quei due nelle foto si coalizzano e vanno all’attacco, continua la vera e tangibile violenza contro le donne
__________________________
riprendo un importante post da FacciamoBreccia

La strage quotidiana continua, ma pochi sembrano accorgersi delle sue dimensioni globali… a chi prova di parlarne, puntualmente viene risposto (specie da uomini, ma anche da donne!) che le statistiche non sono vere e che il problema viene esagerato dalle “paranoiche femministe”… C’è un vero e proprio occultamento attivo di questo fenomeno (vedi il libro di P. Romito 2005 “Un silenzio assordante”), in cui ci si rifiuta persino di riconoscere una evidenza che non è manipolabile.
I titoli sui giornali poi, sono solo la punta dell’iceberg… ad esempio la gran parte delle prostitute uccise-menate-torturate non fa notizia e rimane occultata (vedi la testimonianza di Isoke Aikpitanyi nel suo libro sulle nigeriane in Italia), così come tutte le donne quotidianamente menate e stuprate che non fanno denuncia. O che la fanno anche, ma non finiscono sul giornale.


da Repubblica
1/1/08 – Reggio Calabria:
ROMENA UCCISA DA CONVIVENTE, ERA TORNATA DAI GENITORI
2/1/08 – Milano:
18ENNE UCCIDE LA MADRE
5/1/08 – Roma:
DUE ROMENE SGOZZATE IN UN HOTEL FERMATO IL CONVIVENTE DI UNA DI LORO

e dal Corriere della Sera
5/1/08 – Bari:
PICCHIA LA MOGLIE PER STRADA E LA FOTOGRAFA NUDA E SANGUINANTE PER MOSTRARLA AI SUOCERI

__________________________

per finire vi mando ad un pezzo di Silvia Ballestra:
il primo amore

io non ho niente da aggiungere

 

>
Afghanistan – 13.12.2007

Le donne di Kandahar hanno dato vita a un movimento pacifista nazionale

Le donne afghane escono allo scoperto in pubblico per chiedere la pace, la fine della guerra e della violenza che da trent’anni insanguina il loro paese. Un evento epocale per l’Afghanistan, dove le donne non hanno mai osato schierarsi pubblicamente.

“Siamo stanche della morte”.

Ieri, migliaia di donne si sono riunite contemporaneamente in sei diverse province afghane per pregare per la pace. L’iniziativa, denominata ‘Preghiera nazionale delle donne per la pace‘, è stata coordinata da un gruppo di donne di Kandahar. “E’ la prima volta nella storia dell’Afghanistan che le donne si organizzano a livello nazionale per chiedere la pace”, dice Rangina Hamidi, una delle organizzatrici. Siamo stanche della morte e vogliamo urlarlo forte. Per farlo abbiamo scelto la religione. Trattandosi di una cosa religiosa i nostri mariti non si sono opposti a questa iniziativa di preghiera”.

Il debutto delle donne per la pace era avvenuto circa un anno fa, con una giornata di preghiera che interessava solo le province di Kandahar e Helmand. “Con l’estendersi delle violenze in tutto il Paese, anche le donne di altre province hanno sentito la necessità di unire le loro voci alle nostre per chiedere la pace”, ha spiegato Hamidi. “La preghiera di ieri è stata solo l’inizio di un vero movimento nazionale: il nostro obiettivo è di estenderlo a tutte le trentaquattro province afghane”.

www.rawa.org

dal sito di Gianni Minà questo articolo di Gennaro Carotenuto

Cosa succederebbe in Italia se un pregiudicato romeno ubriaco investisse sulle strisce una signora italiana con due bambini e la riducesse in fin di vita? La risposta è facile, diverrebbe in un lampo prima notizia su tutti i media e molti sciacalli sarebbero pronti a organizzare fiaccolate, a chiedere mano dura, espulsioni e a fare passeggiate vestiti come Humphrey Bogart. Cosa succede se avviene il contrario? Questa settimana ne abbiamo avuto una ATROCE dimostrazione pratica. E i media italiani ne escono in maniera vergognosa.
La storia, nella sua crudezza, è semplice. Il giorno 20 novembre in pieno giorno, nella città di Roma, la cittadina rumena Marinela Martiniuc, 28 anni, attraversava sulle strisce nei pressi di una scuola. Spingeva una carrozzina con suo figlio Elias di appena quattro mesi e teneva per mano sua nipote Adina di 12 anni.

Sono stati spazzati via da un’auto guidata da un cittadino italiano, in evidente stato di ebbrezza, e appena uscito di galera. Il neonato è stato sbalzato a 20 metri di distanza, la piccola Adina ha avuto multiple lesioni alle gambe. La signora Martiniuc è stata per 24 ore incosciente ed in pericolo di vita. Tutt’ora è ricoverata in condizioni critiche.

Nessun giornale o gr o tg ha ritenuto opportuno diffondere la notizia. Questa è stata diffusa oggi, cinque giorni dopo, solo in una lettera inviata da Anna Maffei, presidente dell’Unione cristiana evangelica battista italiana, pubblicata dal quotidiano Il Manifesto.

Maffei invita a una riflessione sul ruolo dei media nella costruzione del clima di insicurezza e di crescente intolleranza e xenofobia fra la gente comune. Ha ragione: i media mainstream oramai formano un compatto partito del pregiudizio e utilizzano il loro sterminato potere per diffonderlo ad arte. Per un’elementare regola giornalistica infatti, se i romeni e solo i rumeni (o i rom che per il giornalista medio è lo stesso) sono tutti stupratori, assassini, ladri, autisti ubriachi, l’ennesimo cane che morde l’uomo non deve far notizia. Ma se è l’uomo italiano (pregiudicato e ubriaco) a mordere la cagna rumena, questa non dovrebbe essere una notizia più del suo stereotipato opposto? Non dovrebbe causare scandalo e vergogna che un nostro connazionale abbia ridotto in fin di vita una donna straniera e due bambini?

Sarebbe un triste paradosso, ovviamente, se solo per questo i media facessero un buon servizio all’informazione. La Maffei centra perfettamente il punto. Oggi i media mainstream, manipolando e scegliendo le notizie in maniera intenzionale, rappresentano un generatore di insicurezza sociale, intolleranza e xenofobia. E i giornali italiani che strillano l’investimento (o lo stupro, o l’omicidio) di una cittadina italiana da parte di un cittadino straniero, ma nascondono il caso opposto e sminuiscono sistematicamente i crimini dei quali gli stranieri sono vittime, vanno definiti per quel che sono: razzisti.

Per turpi fini (politici o commerciali che siano) si stanno prestando a mettere in pericolo la convivenza civile in questo paese e stanno giocando con la nostra democrazia. E’ tempo che chi ha a cuore la convivenza civile in questo paese chieda sistematicamente loro conto delle loro intenzioni e malintenzioni. Un altro giornalismo è possibile.