a Paolo Cacciari, deputato PRC, che si dimette per non firmare la mozione ed il disegno di legge sulla missione italiana in Afghanistan.

un dubbio: ma non sarebbe stato meglio rimanere, uscire dal gruppo di governo e fondare un gruppo pacifista in parlamento? avrebbe anche potuto dare un eventuale appoggio esterno alla maggioranza, ma da discutere sempre, volta per volta…

Ecco il testo dell’intervento:

Presidente, deputati, perdonate le mie debolezze e le mie paure, ma questa volta la politica non mi aiuta a tenere assieme ragionamento e convinzione (Bobbio avrebbe detto: l’etica della responsabilità e la coscienza). La prima mi dice che la mozione della maggioranza e il conseguente disegno di legge sono i migliori possibili nelle condizioni date. La seconda mi dice che le carneficine in corso in Medio Oriente avrebbero bisogno di una rottura netta, immediata, con le pratiche e le politiche fin qui condotte dall’Italia, dall’Europa, dalle potenze occidentali. Potremmo non avere a disposizione altri sei mesi per convincerci che non saranno mai gli interventi militari a portare stabilità, sicurezza, pace (per non parlare della “democrazia”) né a “loro”, né a noi. Dal Libano alla Siria all’Iran il passo della spirale si allarga paurosamente. Il nostro è, oramai, il tempo della guerra. La violenza, sotto qualsiasi forma, determina altra violenza. “Lo strumento militare non è adatto sradicare il terrorismo”, ha scritto un nostro generale. I bacini d’odio si prosciugano con altri mezzi. Michael Nagler ha scritto: “Scegliere la via della convinzione, anziché quella della minaccia e del dominio”. Tra la partecipazione alle guerre e l’inazione ci sono altre forme di intervento, di confidence bulding, di riconciliazione, di interposizione nonviolenta, di creazione di corpi civili volontari di pace, di mobilitazione delle infinite risorse di solidarietà e cooperazione di cui dispone la società civile. Proviamoci, almeno! Molte persone che stimo, il presidente Bertinotti per primo, affermano che gli argomenti del pacifismo di principio nonviolento in queste aule sono fuori luogo. Peggio un tempo si sarebbe detto che “oggettivamente” fanno il gioco delle parti più avverse. Indebolire la mia amata parte politica, mettere in difficoltà questo ottimo governo sarebbe l’ultimo degli “effetti indesiderati” generati dal clima di guerra in cui siamo tutti immersi. Per evitare queste conseguenze accolgo di buon grado l’invito a lasciare libero questo seggio “al prossimo della lista”.

Accetti, presidente, questa mia brevissima dichiarazione già come lettera di dimissioni, così che la forza e la compattezza della maggioranza possano essere subito ripristinate. Nel frattempo non partecipo ai voti sulla mozione e sul disegno di legge.

 

>l’altro giorno Fosco Giannini, uno degli gli otto senatori firmatari del documento per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, mi ha contattato per chiedere l’adesione ad un documento di sostegno per l’assemblea nazionale autoconvocata che si svolgerà a Roma dal titolo:

no alla guerra senza se e senza ma
per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq e dall’Afghanistan

in questo clima di consenso ‘oscurantista’ a scelte bellicose, mascherate da missioni di pace, del governo italiano e della NATO, di celebrazioni guerresche, come quella recente alla base della morte di Quirra in Sardegna, di appellativi di ‘eroismo’ elargiti a ragazzi morti mentre scortavano un carico di armi in Iraq, di silenzi e non pronunciamenti sulla questione dello sterminio del popolo Palestinese,

trovo che sia URGENTE e NECESSARIO che gli intellettuali e gli artisti emergano dal silenzio per determinare ancora una volta la distanza etica dell’intelligenza e della cultura dalla criminale ottusità delle armi e le divise.

per aderire potete inviare una mail a: CLAUDIO GRASSI


Nessun uccello mai potrà sorvolare un’esplosione
Nessun albero mai potrà essere piantato su una bomba
Nessun’idea mai potrà vivere su dei cadaveri
Nessuna malta mai potrà essere impastata col sangue
Nessun figlio mai potrà nascere da un morto
Nessuna cultura mai potrà impugnare un’arma
Nessuna parola mai potrà essere ascoltata da un assassino
Nessun padrone mai potrà essere trascurato da un poliziotto
Nessuna libertà mai potrà essere raccontata da un militare
Nessuna pace mai potrà essere cantata in una caserma
Nessun poema mai potrà cantare uno Stato
Nessuna parola d’amore mai potrà essere pronunciata in nome di un dio assoluto

tratto da: alberto masala – IN THE EXECUTIONER’S HOUSE (nella casa del boia) – translated by Jack Hirschman – CC. Marimbo press – Berkeley, CA

appello per l’Assemblea nazionale


Sabato 15 luglio a Roma – dalle ore 9.30 presso il Centro Congressi Frentani (in via Dei Frentani 4) – si terrà una assemblea autoconvocata per ribadire con forza le ragioni del NO al rifinanziamento della missione militare in Afghanistan.

Saranno presenti rappresentanti dei movimenti, dell’associazionismo di base, dei sindacati, nonchè figure prestigiose dell’intellettualità critica e del giornalismo, oltre ai parlamentari impegnati nel Paese e nelle istituzioni in questa decisiva battaglia di civiltà.

per vedere la lista delle adesioni e leggere il documento:



Dichiarazione di Mauro Bulgarelli (Verdi), Loredana De Petris (Verdi), Fosco Giannini (Prc), Claudio Grassi (Prc), Gigi Malabarba (Prc), Fernando Rossi (Pdci), Giampaolo Silvestri (Verdi), Franco Turigliatto (Prc). “La proroga della missione militare in Afghanistan, che il Consiglio dei ministri si prepara a varare venerdì, non contiene elementi di discontinuità con le politiche attuate dal governo Berlusconi“.

Roma 28 giugno 2006

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Federico Aldrovandi, 18 anni, muore il 25 settembre 2005 durante un controllo di polizia. Stava rientrando a casa dopo una serata di fine estate con gli amici.
Alle versioni, fornite dalla Questura di Ferrara, che parlavano di malore dovuto all’uso di sostanze, si è giunti, dopo cinque mesi e mezzo, all’iscrizione nel registro degli indagati di quattro agenti della Polizia per omicidio preterintenzionale.

Ciò è stato possibile grazie al costante e coraggioso impegno della madre e della famiglia del ragazzo che, per mezzo di un BLOG, ha diffuso l’evento denunciando le tante ombre di questa vicenda.

Qui l’articolo del Manifesto del 17 giugno

CASO ALDROVANDI

Una immigrata testimonia davanti ai giudici di Ferrara: lo picchiarono in quattro
«Così lo pestarono a morte»


«Lo hanno immobilizzato e preso a calci». Anne Marie Tsague e suo figlio, camerunensi, hanno visto tutto dal balcone di casa. «Avevo paura di testimoniare per non perdere il permesso di soggiorno. Ma don Bedin mi ha convinta a fidarmi della legge» Cinzia Gubbini – Ferrara

Un pestaggio in piena regola. Violento, immotivato e purtroppo fatale. Così ieri, durante un lunghissimo interrogatorio in incidente probatorio, la teste chiave del caso Aldrovandi ha descritto la morte di Federico, il diciottenne ferrarese deceduto durante un intervento di polizia lo scorso 25 settembre. Anne Marie Tsague, 35 anni, camerunese, quella mattina alle sei era sul balcone del suo appartamento al primo piano di via dell’Ippodromo.
Era stata svegliata da strani rumori, e dai lampeggianti delle volanti. Si è affacciata alla finestra e, sconvolta, ha assistito all’ultima parte di una strana «colluttazione» in cui un ragazzo solo viene manganellato da quattro poliziotti, che lo atterrano con facilità e continuano a prenderlo a calci anche quando ormai è completamente immobilizzato.
Anne Marie arriva per prima, ieri mattina, al tribunale di Ferrara, scortata da due agenti di polizia. E’ sola. Sfoglia il quotidiano free press City e finisce sempre sulla pagina delle previsioni del tempo. Poco dopo arrivano Patrizia Moretti e Lino Aldrovandi, i genitori di Federico, accompagnati dall’avvocato Fabio Anselmo. Patrizia e Lino non hanno mai visto Anne Marie, ma ne hanno sentito molto parlare. Si scambiano solo una rapida occhiata, per i genitori di Federico dalle sue parole dipende la possibilità di sapere la verità su come è morto il figlio. L’aula del tribunale si riempie velocemente: quattro avvocati per gli Aldrovandi, altrettanti per i quattro poliziotti. Arrivano anche il pm Nicola Proto e Severino Messina, il procuratore capo (di cui si ricordano le conferenze stampa per dire che le botte dei poliziotti non hanno ammazzato Federico). A Proto, che ha sostituito il pm Guerra, si deve l’iscrizione (a marzo) degli agenti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio preterintenzionale e la richiesta di incidente probatorio per sentire la testimonianza di Tsague e di suo figlio che, essendo stranieri, potrebbero perdere il soggiorno e essere espulsi. Il figlio di Anne Marie, ancora minorenne, ieri però non c’era: è in Camerun, dove la madre lo ha prontamente spedito a finire la scuola pochi giorni dopo la morte di Federico. Ma sta per tornare. Il 25 luglio verrà interrogato dal gip Silvia Giorgi.
Aveva paura Anne Marie, paura di «mettersi contro i poliziotti». Lo ha spiegato ieri al giudice, ai pm e agli avvocati. «Il mio permesso scade a settembre, non volevo mettermi nei guai. Poi ho detto tutto in confessione a Don Bedin, e lui mi ha convinto a non avere paura. Così ho deciso di parlare, e sono contenta perché sennò stavo male». La donna ha raccontato tutto rispondendo colpo su colpo alle domande degli avvocati della difesa.
«Quando sono andata alla finestra ho visto due macchine della polizia, una accanto all’altra». Siamo quindi nella seconda fase: Federico ha già dovuto affrontare la prima volante che era intervenuta dopo la chiamata allarmata di un’abitante di via dell’Ippodromo, preoccupata dalla presenza in strada di un ragazzo «agitato». Poi Anne Marie vede anche Federico, che va verso i poliziotti «con passo deciso». Si trova in mezzo ai quattro agenti e tenta «una specie di sforbiciata con le gambe» che però non riesce a colpire nessuno. La reazione degli agenti è immediata, e violenta. Iniziano a manganellarlo in quattro, uno lo tira per i capelli per farlo cadere a terra. A quel punto lo bloccano in tre: un agente (la donna) gli tiene le caviglie, un altro le ginocchia e un terzo il petto. Il quarto sta in piedi all’altezza della testa e lo prende a calci, ogni tanto si allontana verso la macchina (probabilmente per comunicare con la centrale) e a tratti torna indietro per prenderlo ancora a calci. Anne Marie sente la donna dire anche
«Apri il baule». E un«altra frase: «C’è tanto sangue», «Mica siamo stati noi, è la roba». Quando i legali degli agenti obiettano che dal suo balcone non poteva vedere con precisione se i calci erano diretti alla testa, lei risponde: «E’ chiaro che glieli dava in testa, a meno che non scalciasse nel vuoto».
Gli avvocati dei poliziotti per ora rimangono molto abbottonati (gli agenti si avvalgono della facoltà di non rispondere). Giovanni Trombini lamenta di nuovo «la decisione di iscrivere i poliziotti nel registro degli indagati in una fase avanzata delle indagini» ma sullo svolgimento dell’incidente probatorio si limita a dire: «Ora sappiamo cosa dice di aver visto e sentito la signora». Cosa abbia causato, in ultima analisi, la morte di Federico dovrà stabilirlo però la perizia della Procura: ieri sono stati nominati due periti , un medico legale e un tossicologo che dovranno fare il punto sulle ferite riscontrate sul corpo del ragazzo e sulle sostanze stupefacenti che aveva assunto quella sera. «Sono agghiacciata, è stato un racconto cruento.
Ma sono anche grata a questa donna eccezionale», dice all’uscita Patrizia Moretti. Molto scosso Lino Aldrovandi: «Vorrei vedere in faccia i quattro poliziotti. Cosa deve fare un cittadino per sapere la verità? Nessuno è mai venuto a spiegarmi niente». «Anne Maire dà una lezione di senso civico a tutti», dice l’avvocato Anselmo. In molti probabilmente hanno visto, ma per ora solo Anne Marie ha lanciato un’accusa precisa . Nonostante il permesso di soggiorno in scadenza.

le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e allo sfruttamento della prostituzione.

IL RE PAPPONE

Il noto pregiudicato Vittorio Emanuele di Savoia, tessera P2 n.1621, è di nuovo in galera insieme al portavoce di Fini, al sindaco di Campione d’Italia e ad altri delinquenti.

L’assassino impunito di Dirk Hammer, degno discendente di quel criminale che nel 1938 firmò le leggi razziali, è di nuovo in cella.

Credendo di interpretare il sentimento del popolo sardo e di molti italiani, auguriamo a Sua Maestà che ci rimanga a lungo.


Per il momento non abbiamo dichiarazioni dal suo caro amico Silvio né dall’altro suo supporter torinese, Piero (Fassino).

>ANCORA UN ATTO DI RAZZISMO

solo che questa volta ne è vittima lo scrittore e giornalista di origine senegalese Pap Khouma e, appunto per questo, almeno si viene a sapere.
Ieri pomeriggio in pieno centro a Milano è stato aggredito poi picchiato dai controllori dell’ATM (l’azienda di trasporti) perché si era rifiutato di esibire la sua tessera di abbonamento mentre era SUL MARCIAPIEDE in attesa dell’autobus!

Nella rabbia per l’accaduto e con la solidarietà per uno di noi, c’è anche la consapevolezza del fatto che questo costituisce solo la punta di un iceberg, di una montagna ghiacciata di soprusi quotidiani in questo paese e in questo occidente sempre più razzista, militarizzato, vigliacco.

Basta con l’italia fascista dei CPT e della Bossi-Fini.
L’episodio è gravissimo e non va taciuto.

Sono disponibile ad azioni pubbliche perché la cosa non passi sotto silenzio ed i responsabili paghino. Chiedo lo stesso a tutti voi

a Pap (eccolo nella foto sopra alla redazione della rivista ‘el Ghibli’ di cui è direttore) esprimo tutta la mia fraterna solidarietà con un forte abbraccio

anche voi potete mandare messaggi di solidarietà al suo indirizzo mail: papkhouma@libero.it

INTERVISTA AD ORESTE SCALZONE su:

AMNISTIA – CARCERI – LA RIVOLTA FRANCESE – BERLUSCONISMO – NO AL SOSPETTO SI ALLA CRITICA – gli argomenti che in parte si trovano sul nuovo libro VADEMECUM – pubblicato dalla casa editrice IMMAGINAPOLI.

l’intervista (molto lunga) è in audio mp3 – per prelevarla vai su questa pagina web – e poi clicca sull’immagine di ORESTE SCALZONE – poi sui titoli – salva il file e successivamente apri con un qualsiasi programma per mp3 – mediaplayer.

l’autore chiede anche di rispondere (la sua email è nella pagina web), di fargli sapere se sei d’accordo o meno per l’amnistia e le altre sue riflessioni – NAMIR sta raccogliendo firme per SOSTENERLA – quindi se pensi che sia giusto applicarla – cosi’ come la grazia a SOFRI – invia tuo nome e cognome a questa email – come sempre NAMIR la pubblicherà.

eccola qui la resistenza della Moratti…

infatti… mi pareva troppo strano… mi puzzava …

Pare che la resistenza di Paolo Brichetto, padre di Letizia Moratti, si sia svolta nel gruppo del golpista Edgardo Sogno, col quale era fondatore dei Comitati di Resistenza Democratica.

“Sogno era monarchico ed anticomunista. Fondò nel 1971 i Comitati di Resistenza Democratica. Secondo il Manifesto del 9 dicembre 1990, Sogno rivelò anni dopo i nomi dei suoi “magnifici 20” che «finanziati da Fiat, Confindustria, ministero della difesa e degli esteri avevano assunto l’impegno di sparare contro i traditori pronti a fare il governo con i comunisti». Fra i componenti dei “Comitati di resistenza democratica”, il cui obiettivo era «di impedire con ogni mezzo che il Pci andasse al potere, anche attraverso libere elezioni», Sogno citò Paolo Bricchetto.

leggi l’articolo completo in:
Osservatorio sulla legalità

 

2006 – ATENE
4, 5, 6 e 7 maggio

 

>da Liberazione di domenica 23 aprile 2006

Travaglio, simpatico reazionario e un giudice che fu eversore…
di Piero Sansonetti

Vorrei brevemente, e senza eccessiva malizia, raccontarvi la storia di un mio vecchio amico, e poi polemizzare con un altro mio amico più recente. I nomi di queste due persone sono da un po’ di tempo alla ribalta della cronaca: il giudice Paolo Giovagnoli di Bologna e Marco Travaglio.

Cominciamo con la polemica, che è con Marco Travaglio. Giornalista di grande bravura, arguto, pieno di informazioni, forte di una memoria d’acciaio, polemista di notevoli capacità (maturate alla scuola pungente e molto aggressiva di Indro Montanelli) ma – da sempre (come del resto il suo maestro) – di idee alquanto reazionarie. Travaglio è un liberale di stampo asburgico. Ed è un personaggio un po’ originale, non per le sue posizioni – che io trovo quasi abominevoli, lo dico con affetto, e tuttavia sono legittimissime e molto lineari – ma perché gli scherzi della vita lo hanno collocato, nella geografia della politica e della intellettualità italiana in un luogo a lui del tutto inadatto: a sinistra.

Da diversi anni Marco è diventato quasi un idolo di un “pezzo” di sinistra italiana, ed è stato leader indiscusso del cosiddetto movimento dei “girotondi”, e cioè anche di ragazzetti – orrore, orrore – che indossavano magliette col volto di Che Guevara o che portavano al collo la kefiah di Arafat. Eppure lui, onestamente, non lo ha mai negato: «Sono di destra – dice spesso -, lo giuro, sono di destra».

Come è successo questo fraintendimento? Colpa di Berlusconi. Travaglio, liberale e asburgico, è molto legalitario, e non sopporta l’illegalismo berlusconiano. Questo ha spinto tutti all’equivoco. Ma Travaglio non ce l’ha mai avuta con Berlusconi – come succede a noi – perché Berlusconi è ricco e reazionario: ce l’ha avuta e ce l’ha con Berlusconi, e non lo molla di un centimetro, perchè Berlusconi gabba la legge. E se la legge la gabba un poveretto, un bimbo rom, uno studente ribelle, o una nonna povera, per Travaglio (un po’ come per Cofferati) è esattamente la stessa cosa. E grida: «In prigione, in prigione…».

Ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, Marco si è indignato per le proteste avanzate della sinistra bolognese contro il giudice Giovagnoli, cioè quello che ha incriminato per eversione alcuni studenti che si erano autoridotti il costo del pranzo alla mensa universitaria.

E’ inammissibile – ha detto Travaglio-: «la legge è legge, deve essere uguale per tutti, per Previti e per gli studenti». Non si possono fare favoritismi. E’ una protesta curiosa: Travaglio saprà – perché, appunto, ha un archivio molto ricco – che le carceri sono strapiene di poveracci, specialmente di giovanetti e di migranti, e sono quasi prive di ospiti altolocati – avvocati, medici o ricconi – se si fa l’eccezione del povero Ricucci. E dunque la sua polemica è un po’ stonata: stia tranquillo, perché è raro che la magistratura chiuda un occhio a favore del disgraziato per accanirsi sul potente. E’ raro, è molto raro.

Ma chi è questo giudice Giovagnoli che sospetta che quei ragazzi di Bologna volessero sovvertire le istituzioni e prendere illegittimamente il potere (eversione, se ho capito bene, più o meno vuol dire questo…)?

Lo conosco Giovagnoli, e tanti anni fa eravamo amici, andavamo all’università insieme, spesso anche a prendere la pizza (a San Lorenzo, a Roma, costava 500 lire, compresa la birra), e militavamo nella sezione universitaria del Pci. Ci occupammo, qualche volta, anche della mensa universitaria, che si trovava alla casa dello studente, a via de Lollis, e dove il pasto completo costava 300 lire. Mi ricordo che una volta, insieme, e insieme a molti altri compagni della sezione, bloccammo la mensa e imponemmo il prezzo politico di 100 lire. Arrivò la polizia, ci fu un po’ di bordello.

Non vorrei adesso avere messo nei guai Paolo, con questo racconto, che è quasi una confessione. E non vorrei neanche avere messo nei guai me stesso.
Però sono passati quasi trent’anni, e io penso che – specie dopo la legge Cirielli – sia scattata la prescrizione. Ammenochè – mi viene improvvisamente il sospetto – un reato grave come quello di eversione non sia escluso dai benefici della prescrizione. Se è così ho fatto un bel guaio…

Puoi scaricare la registrazione completa della conferenza stampa per l’accusa di eversione intentata dalla procura di Bologna ad un gruppo di persone protagoniste dell’autoriduzione alla mensa universitaria del 19/04/05

audio: MP3 at 7.8 mebibytes

il comunicato stampa e l’appello della Rete Universitaria

>In coincidenza con la diffusione di nuove immagini di torture inflitte da militari statunitensi a prigionieri iracheni, il 20 marzo è iniziato a Ginevra il 62° periodo di sessioni della Commissione dei Diritti Umani dell’ONU.

Gli Stati Uniti ed i loro alleati dell’Unione Europea hanno impedito ripetutamente a tale Commissione di pronunciarsi contro le massicce e sistematiche violazioni dei diritti umani promosse in nome della cosiddetta guerra contro il terrorismo.

I governi dell’Unione Europea si sono rifiutati di riconoscere le testimonianze e le prove presentate da cittadini dei loro stessi paesi che hanno patito diverse forme di tortura nella base navale di Guantanamo. Hanno permesso, inoltre, il transito di aerei della CIA che trasferivano prigionieri verso centri illegali di detenzione nella stessa Europa e in altre regioni.

I firmatari del presente documento chiamano gli intellettuali, gli artisti, gli attivisti sociali e gli uomini e le donne di buona volontà ad unirsi alla loro richiesta: la Commissione dei Diritti Umani, od il Consiglio che la sostituirà, deve esigere la chiusura immediata dei centri di detenzione arbitraria creati dagli Stati Uniti e la cessazione di tutte queste flagranti violazioni della dignità umana.

L’appello ha ottenuto sin ora più di mille adesioni, fra cui numerosi intellettuali.

Per adesioni:
www.derechos-humanos.com
www.derechos-humanos.info
www.droits-humains.info
www.hhrr.info