Copertina di Salvatore Palita.

Diventa pubblico, grazie a Catartica Edizioni, una piccola parte del progetto che, per alcuni di noi, è un lavoro che va avanti da sempre.

Una Cantada

Come scriviamo nella presentazione, “attraverso forme di poesia popolare (letras flamencas, poesia logudorese, zirudele bolognesi) non vogliamo riprodurre un semplice esercizio retorico di “andata al popolo” o di riproposizione della tradizione.

La voce critica in tutte queste tradizioni poetiche oggi è spesso colpevolmente evitata o taciuta per l’adesione a un certo conformismo sociale o a quella forma di autoesotismo funzionale alla promozione commerciale e turistica. Ma è proprio questa voce critica che la poesia non può trascurare.

Gh’era na volta
Piero s’involta
Casca la süca
Piero s’insüca…

Cuidado con los vigilantes,
que a ninguno de ellos
les gusta el cante

_______________________________
Cuidàdu so tota vida
a no’ s’abizen’ si cante
tontèsas de vigilantes

a Sarajevo

Oggi non riesco a non pensare a Jack, il mio caro amico che se n’è andato il giorno del compleanno di mio figlio Giordano Bruno, che per lui era proprio un nipotino.

Pubblico qui un ricordo della prima chitarrina che gli regalò (oggi Giordano è un vero musicista).

Qui sotto il ricordo di un compleanno con lui

e del primo compleanno senza di lui

Mando un pensiero dolce alla cara Aggie.

I golpisti del Sahel e il loro piano genocida

di Walet Ekadey (traduzione italiana Alberto Masala)
lunedì 12 agosto 2024

I miei cari amici Hawad e Hélène Claudot-Hawad mi hanno spedito un articolo che ho subito tradotto. Spero che venga diffuso e che il mondo Occidentale si renda conto di che disastri sta combinando in Africa. Sterminio e genocidio dei popoli nomadi del deserto. E intorno il silenzio complice del mondo.
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Equiparando ai «terroristi» i movimenti indipendentisti dell’Azawad che lottano da decenni per il riconoscimento dei diritti umani, sociali, economici e politici del loro popolo, la giunta maliana ha riavviato una guerra coloniale, atroce e asimmetrica, condotta dall’esercito principalmente contro i civili indifesi. Intanto prosperano i gruppi jihadisti (Stato Islamico e JNIM affiliati ad Al-Qaeda), oggi presenti a poche decine di chilometri dalla capitale Bamako, senza che le autorità si mostrino capaci di fermarli.

Vittime civili dell’attacco dei droni a Tin-Blagh (marzo 2024)

Sia in Mali, che in Burkina Faso e in Niger, i golpisti militari che hanno preso il potere e si sono confederati militarmente in seno all’Alleanza degli Stati del Sahel, dimostrano attraverso le loro decisioni e i loro propositi bellicosi in stile coloniale che fanno affidamento solo sulla forza per risolvere i conflitti e per annientare qualsiasi contestazione al loro governo. 
In Mali, le truppe dell’esercito nazionale associate ai mercenari russi Wagner, pagati a caro prezzo dalle casse statali a detrimento della popolazione, hanno instaurato l’arbitrarietà e il terrore nel centro e nel nord del paese, lasciando agli abitanti solo due opzioni: fuggire o morire 1.
Il modus operandi di queste truppe aggressive per creare terrore è simile a quello dei gruppi jihadisti: rapimenti, amputazioni, esecuzioni sommarie, decapitazione, furto di bestiame, distruzione di case, cisterne d’acqua, magazzini, incendi di cibo e pascoli… Queste pratiche sono accresciute da ulteriori crudeltà come l’occultamento di ordigni esplosivi nei cadaveri, la caccia all’uomo inseguito come selvaggina da schiacciare, gli stupri, il cannibalismo filmato in diretta da soldati maliani e burkinabe ubriachi di potere. Cancellando con un colpo di mano l’Accordo di Algeri del 2015 che in Mali aveva messo fine agli scontri con i gruppi indipendentisti, la giunta dimostra innanzitutto la sua immaturità e inesperienza politica, precipitando il paese nella violenza e, ancora una volta, nel pericolo di disgregazione.

Va detto che fin dalla loro istituzione le tre giunte hanno lavorato per costruire una vera e propria cupola di silenzio attorno alle loro azioni: arresto di giornalisti, messa al bando di partiti politici, soppressione di associazioni per i diritti umani, sradicamento di ogni voce critica, reclusione o sparizione forzata degli oppositori, espulsione degli osservatori esterni.
In che misura la ricetta del silenzio imposta dai golpe saheliani agli avvenimenti più recenti riuscirà ad anestetizzare l’arena nazionale e internazionale? Fino a che punto le potenze internazionali che pretendono di difendere i diritti umani – ma sperano di reintrodursi sulla scena sahariana da cui sono state espulse per l’iniquità dei loro rapporti con questi nuovi Stati da loro stessi creati dal nulla – taceranno di fronte agli abusi di questi regimi militari che da quasi 9 mesi massacrano le popolazioni del nord per annettere le loro terre ricche di minerali, merce di scambio con le milizie russe che ne proteggono il potere? 

Uno dei 27 civili giustiziati dai FAMA e Wagner il 19 dicembre nell’Azawad

Ecco alcuni di questi silenzi urlanti sulle più recenti offensive condotte dai militari saheliani contro gli abitanti delle regioni del nord 2. Nel maggio 2024, quando le Forze armate del Burkina Faso hanno giustiziato nella totale impunità centinaia Ie civili nella zona di Dori 3, l’ONU non ha detto niente, la CEDEAO non ha detto niente, gli Stati vicini non hanno detto niente, la Francia non ha detto niente, gli USA non hanno detto niente, nessuno ha detto niente.

Uno dei 27 civili giustiziati dai FAMA e Wagner il 19 dicembre nell’Azawad

Quando il 28 maggio 2024, le Forze di Difesa e Sicurezza del Niger hanno compiuto l’esecuzione sommaria di 10 civili (9 Tuareg e 1 Peul) a Torodi, nella regione di Tillabéri, l’ONU non ha detto niente, la CEDEAO non ha detto niente, gli Stati vicini non hanno detto niente, la Francia non ha detto niente, gli USA non hanno detto niente, nessuno ha detto niente. Nessuno tranne Alhassane Intinicar, presidente del Partito nigerino per la Pace e lo Sviluppo, che si è recato dai parenti delle vittime per raccogliere le loro testimonianze. È stato arrestato pochi giorni dopo e condannato a Niamey il 9 luglio a un anno di prigione per «criminalità informatica» e «diffusione di dati che potrebbero disturbare l’ordine pubblico e minare la dignità umana».

Quando a fine giugno 2024, le Forze armate maliane e i loro sostituti russi della milizia Wagner hanno massacrato intorno ad Abeïbara, nella regione di Kidal, circa 70 Tuareg, per lo più civili 4, l’ONU non ha detto niente, la CEDEAO non ha detto niente, gli Stati vicini non hanno detto niente, la Francia non ha detto niente, gli USA non hanno detto niente, nessuno ha detto niente.

Quando, il 20 luglio 2024, le Forze armate maliane e i loro sostituti russi della milizia Wagner hanno hanno continuato le loro sanguinose atrocità contro i civili a Tin Zaouaten uccidendo a bruciapelo Intisniyaken ag Hamady, capo della frazione, e altri 7 civili incontrati per strada, l’ONU non ha detto niente, la CEDEAO non ha detto niente, gli Stati vicini non hanno detto niente, la Francia non ha detto niente, gli USA non hanno detto niente, nessuno ha detto niente.

Quando, nel luglio 2024, le Forze armate maliane e i loro sostituti russi della milizia Wagner hanno giustiziato freddamente, nelle aree di Abeïbera e di Aguelhok, 82 persone (identificate per nome) e decine d’altri resi irriconoscibili perché carbonizzati, l’ONU non ha detto niente, la CEDEAO non ha detto niente, gli Stati vicini non hanno detto niente, la Francia non ha detto niente, gli USA non hanno detto niente, nessuno ha detto niente.

Quando le Forze armate maliane e i loro sostituti russi della milizia Wagner nel nord e nel centro del paese hanno colpito gli accampamenti e i villaggi Tuareg, Arabi e Peul  con i loro droni di fabbricazione turca uccidendo diverse centinaia di persone, in particolare donne e bambini, l’ONU non ha detto niente, la CEDEAO non ha detto niente, gli Stati vicini non hanno detto niente, la Francia non ha detto niente, gli USA non hanno detto niente, nessuno ha detto niente.

Quando dal 25 al 27 luglio, le Forze armate maliane e i loro sostituti russi della milizia Wagner partiti all’assalto di Tin Zaouaten hanno subito una grave sconfitta militare e sono stati messi in rotta da alcune centinaia di combattenti tuareg del CSP-DPA  (Quadro strategico per la difesa del popolo dell’Azawad), il generale Tiani, golpista del vicino Stato del Niger, ha fatto propria la retorica maliana. Ha espresso il suo sgomento e la sua compassione ai leader del Mali e della Russia per «l’attacco terrorista barbaro, codardo e ignobile, da parte di una coalizione di forze terroristiche» il 25 luglio nella zona di Tin Zaouaten (ActuNiger, 31/07/24). La CEDEAO non è da meno; omettendo la presenza dei supplenti russi, essa «condanna fermamente i recenti attacchi contro membri delle forze di difesa e sicurezza maliane a Tin Zaouatine nel nord del paese, che hanno causato numerose vittime tra le forze maliane. La Commissione CEDEAO presenta le sue sincere condoglianze al governo e al popolo della Repubblica del Mali, nonché alle famiglie delle vittime», secondo il comunicato ADS, 7/08/24.

Nemmeno gli animali sono sfuggiti alle pratiche omicide di FAMA e Wagner

La cocente sconfitta dell’esercito maliano e dei suoi mercenari stranieri ha lasciato sul terreno oltre 80 morti russi, più di 45 maliani, circa 30 feriti evacuati e una decina di prigionieri 5. Subito nello spazio mediatico si è scatenata la consueta campagna di denigrazione dei fronti di resistenza tuareg:
1. il CSP sarebbe affiliato agli jihadisti del JNIM (Jamāʿat nuṣrat al-islām wal-muslimīn), propaganda lanciata dal sito di supporto ai mercenari Wagner e ripetuta più volte dalla stampa internazionale. Anche se queste due organizzazioni combattono l’esercito maliano, le loro azioni non sono state coordinate negli eventi di Tin Zaouaten ed è stato dopo lo scontro con il CSP che i mercenari russi e i soldati maliani che fuggivano dal combattimento sono stati attaccati dal JNIM. 
2. il CSP avrebbe beneficiato – si attendono prove tangibili che per ora si limitano a dichiarazioni – di un sostegno degli ucraini sul piano dell’intelligence fino all’idea assurda, per chi conosce il terreno, di istruttori ucraini presenti sul luogo, portando insieme all’Ucraina ad una crisi diplomatica che coinvolge gli altri Stati dell’Africa Occidentale.
3. infine, il CSP avrebbe ricevuto l’aiuto del deserto stesso: terreno morbido che provoca l’insabbiamento, suolo roccioso che frena la velocità, vento di sabbia che gli avrebbe permesso di raccogliere un numero impressionante di combattenti probabilmente usciti da dune immaginarie, introvabili in quel luogo. 

Tali supposizioni, per quanto immaginarie, richiamano l’intensa propaganda dello Stato coloniale e poi degli Stati eredi della colonizzazione, che hanno sempre diffamato le lotte tuareg, cercando di farle passare come guerre sorpassate di etnie, razze, caste, di un mondo passato contro il mondo «moderno», o ancora di gruppi certamente strumentalizzati da potenze internazionali occulte. L’obiettivo resta sempre lo stesso: negare qualsiasi significato politico a questi movimenti di resistenza a lungo termine. L’unica prospettiva delle autorità di fronte alla protesta è stata quella di preferire l’opzione genocida ai colloqui e ai negoziati 6. Una tendenza confermata dall’interesse del ministro della Difesa nigerino, generale Salifou Modi, per il modello di gestione degli uiguri da parte del governo cinese, durante la sua recente visita in Cina nel giugno 2024 7.
Quando il 30 luglio 2024, come rappresaglia per la debacle di Tin Zaouaten, l’esercito maliano, con il supporto delle forze militari alleate del Burkina Faso, ha effettuato un attacco con droni a Tin Zaouaten, ha ucciso solo dei civili (da 6 a decine di vittime secondo le fonti) e costringe i compagni a fuggire col rischio di morire di sete nel deserto. Sono tutti minatori subsahariani originari del Niger, Sudan e Ciad. Su questo fatto le autorità del Mali e del Burkina Faso sono rimaste in silenzio, l’ONU non ha detto niente, la CEDEAO non ha detto niente, gli Stati vicini non hanno detto niente, la Francia non ha detto niente, gli USA non hanno detto niente, nessuno ha detto niente. 

Solo gli abitanti del deserto assediati dalle forze russo-maliane e dai gruppi jihadisti urlano, resistono, piangono. Ma le loro voci restano finora inascoltate.

Saccheggio di negozi da parte dei soldati della FAMA e dei mercenari Wagner
Una donna umiliata dai mercenari a Tin Zawatin

https://www.facebook.com/watch/?v=347153677691346
La notte del 16 marzo 2024 a Amasrakad, nei pressi di Gao, un drone tra i civili ha fatto 8 feriti e 13 morti, sopratutto dei bambini. Communiqué de presse d’Amnesty International

Alcune immagini che mostrano la crudeltà dei FAMA e di Wagner anche nei confronti degli animali

qui l’articolo originale: https://tamazgha.fr/Rayer-de-la-carte-le-monde-pastoral-et-en-particulier-touareg.html
e qui molti importanti reportages: https://www.facebook.com/agmohamed.abdollah.5

  1. https://tamazgha.fr/FUIR-OU-MOURIR.html ↩︎
  2. I fatti citati si riferiscono ai dati documentati in maniera dettagliata dall’Associazione Kel Akal, da Human Rights Watch e da diversi testimoni diretti degli avvenimenti con cui sono in contatto. ↩︎
  3. Vedere il rapporto di Human Rights Watch che documenta l’esecuzione a fine febbraio da parte dell’esercito del Burkina di 223 civili, fra cui 56 bambini ; France 24: https://urlz.fr/rDev ↩︎
  4. David Baché, Mali : una sessantina di corpi ritrovati vicino a Abeibara, nella regione di Kidal, RFI, 5 juillet 2024. ↩︎
  5. Vedere tra gli altri il rapporto del collettivo All eyes on Wagner, https://alleyesonwagner.org/2024/08/02/ordre-de-debandade-en-azawad/ e il bilancio dettagliato fornito dalle CSP da confrontare con le dichiarazioni delle autorità maliane. ↩︎
  6. Vedere per esempio le testimonianze sulla gestione genocida del conflitto nel 1990 dalle autorità maliane, in Touaregs. Voix solitaires sous l’horizon confisqué, Survival International, 1996, https://shs.hal.science/halshs-00293895/document ↩︎
  7. https://mondafrique.com/decryptage/serie-niger-5-5-la-chine-premier-partenaire-strategique/ ↩︎

Gentile Presidente Alessandra Todde,

non lancio maledizioni. Ma le sento lanciare intorno, ovunque.

Mi assalgono alcuni dubbi: c’è poca chiarezza su tante cose, sopratutto sul fatto che il suo lavoro era (e forse è ancora) operare nel settore speculativo della cosiddetta energia “verde”.

È come far entrare una faina in un pollaio e chiedere poi di credere alla sua buona fede.

Bene, poniamo che io ci creda, ma lei deve comunque conquistarsi la fiducia dei sardi.

Mi sarei aspettato:

  • Che si schierasse apertamente e decisamente coi movimenti che si oppongono alle speculazioni. 
  • Che fosse ad Oristano al loro fianco a fronteggiare la polizia – mobilitata da un sistema di affari per difendere privilegi di speculatori, e non attivata da un’Amministrazione per difendere i diritti dei cittadini.
  • Che interrogasse dall’alto del suo carisma di Presidente dei Sardi il prefetto che ha ordinato una simile mobilitazione militare.
  • Che interrogasse a questo proposito il Presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, il ministro delle politiche ambientali…
  • Che rischiasse con una ordinanza che blocchi l’installazione anche la richiesta di danni e portasse alla Corte Costituzionale l’eccezione di legittimità della delibera (fatta dalla giunta Solinas… si sa).
  • Che esponesse perfino la propria persona e quelle dei componenti della giunta sapendo che qualsiasi richiesta di risarcimento, forse giudicabile perfino illegittima, sarebbe comunque inferiore al danno che crea l’installazione. Per esempio a Saccargia.

NIENTE DI TUTTO QUESTO

In cambio, invece di discutere in merito, non dà chiari segnali di reattività, ma si rifugia con pretesti nel solito politichese con cui da sempre siamo stati irretiti dalle giunte para-coloniali precedenti.

Lancia accuse di “interessi personali”… a chi come me, in Sardegna, oltre l’amore e il senso di appartenenza, non ne ha. Non  concorro ad alcuna carica né incarico, e se mi arrivassero rifiuterei senza esitazioni. In cinquant’anni dalla Regione Sardegna non ho mai chiesto né ottenuto favori. Non ho “possedimenti”, tranne il peso della casa dei miei, inutile e inutilizzata, che causa solo spese.

Le accuse mi hanno offeso perché denotano la cattiva coscienza di chi non è capace di riconoscere una posizione etica e distinguerla dalle miserie egoiche degli interessi personali.

Ma d’altronde, chi vola basso, in basso sta… e il suo sguardo basso rimane.

Non maledico. Chi si muove così sarà maledetto dalla sua stessa terra, resterà nelle cronache e nella storia come colui che ha permesso uno scempio simile. Sarà maledetto dalle generazioni a venire, alle quali si sta togliendo vita, sguardo e respiro con tutta l’arroganza di un potere malato.

Considero in malafede chi in Sardegna concederà a qualcuno, oltre le comunità sarde e nei limiti dei loro stessi bisogni, QUALSIASI DIRITTO DI SFRUTTAMENTO di terra, aria, acqua, o risorse di ogni genere a scopo speculativo. Non dobbiamo regalare più niente a nessuno.

Abbiamo già dato troppo da oltre duemila anni a tutti i colonizzatori. Nessuno sfruttatore è benvenuto nella nostra terra già violentata nella cultura, lingua, paesaggio. È supermercato per i turisti più beceri e cafoni, è supercarcere ora obiettivo di tutte le mafie, Camorre, Ndranghete, russe e cinesi, milanesi e torinesi, è fabbrica di bombe sullo Yemen, è mercato di armi per ogni guerra attorno, è base militare che auto-assolve ogni tumore negato e ogni generale….

Signora Presidente Todde, io nei suoi confronti non ho preconcetti, anzi, la mia base di partenza è stata gioire per la sua elezione: donna e alternativa alle bande di malaffare. Avrei forse rivendicazioni nei confronti dell’imbecillità di chi la appoggia facendosi chiamare sinistra e, imbelle quando non connivente, non muove un dito contro le basi militari o lo sfruttamento dell’Isola.

Ma è ora di dare una svolta decisa. Anche il linguaggio della politica è cambiato diventando più aggressivo. Arruola tutta la povertà cognitiva e l’ignoranza dei più bassi livelli intellettivi. Le lobbies ormai anche qui agiscono, come negli USA, in modo sempre più arrogante e sfacciato. Dunque è ora di posizioni dure, radicali. Non alimento odio e paura, ma ho il diritto di essere preoccupato. 

Ho il diritto d’indignarmi

Non voglio attivare il fatalismo né l’attitudine auto-colonizzante che ci ha contraddistinti finora. Sappia che mi sono perfino rallegrato che, vincendo le elezioni, ci liberasse da quella banda di fascisti e affaristi, servi sottomessi, che l’ha preceduta

ma ora deve mostrarci come difende il suo popolo

Signora Presidente, le chiediamo di dare segnali molto forti. Nessuna installazione deve produrre oltre la necessità del suo stesso popolo. Forse basterebbero poche pale e una Carlo Felice con lo spartitraffico di pannelli solari per dare energia a tutti i sardi, o poco più. E se anche questo non bastasse, IN OGNI CASO il programma non può essere dettato da Terna o da chiunque altro intenda ricavare profitto lucrando sull’energia “verde”.
Resista alla speculazione! Sono certo che conterebbe sull’appoggio di quella maggioranza della popolazione che racchiude il meglio della nostra gente. Questo é tempo di unità, forte e decisa, non di vuote trattative dove, sempre e comunque saremmo perdenti.

COMINCI DA STESSA IL PERCORSO DI DECOLONIZZAZIONE

Le auguro buone cose e buon lavoro.

Riporto la notizia e il commento INTERAMENTE da Gianluca Martino (@gianlucamart1) su twitter. Chi scrive è lui. La mia unica considerazione è che se ancora nel mondo esiste il nazismo, oggi uno dei suoi interpreti è il sionismo. E non ci sia qualcuno che stupidamente mi accusa di antisemitismo. Mentre pubblico questo intervento, penso ai miei cari amici intellettuali, scrittori e poeti israeliani e a quelli palestinesi, e soffro ugualmente per tutti loro. Penso a Mahmoud Darwish, poeta che ho nel cuore. RESTIAMO UMANI

LA STORIA DEI 40 BAMBINI DECAPITATI
di Gianluca Martino

Com’è andata realmente la storia dei 40 bambini decapitati e perché la maggioranza dei politici e dei media è un’accozzaglia di razzisti e pressappochisti. La notizia è partita da questi due fenomeni: David Zion e Nicole Zedek.

Il soldato israeliano David Ben Zion, intervistato dalla giornalista tv Nicole Zedek, dice che ci sono i corpi decapitati di 40 bambini. La giornalista, anche lei presente sul posto, invece di verificare, “spara” la notizia alla tv i24 news con il seguente commento: “I palestinesi sono degli animali, ma questo già lo sapevamo”.

La notizia viene ripresa dalla CNN e a ruota da tutti i media del mondo, arrivando a miliardi di persone. Scoppia l’indignazione “I palestinesi vanno puniti. Hanno fatto bene a bombardarli” dicono.

Passano ore e ore ma nessun giornalista pensa di andare a verificare. Un giovane giornalista israeliano, Oren Ziv, twitta timidamente (in sintesi) “Guardate che anch’io sono sul posto, non ho visto bambini decapitati. Qui i soldati e gli ufficiali dell’esercito non sanno nulla”.

Come se non bastasse il danno provocato dai media, scende in campo la classe politica più scarsa e ignorante dai tempi di Romolo Augustolo. La dichiarazione più indecente e pericolosa arriva da Biden che afferma di aver visto e verificato le foto dei bambini decapitati.A New York e altre città USA scendono in piazza per chiedere un genocidio, in India chiedono al proprio governo di intervenire militarmente in Palestina. In Italia, cani rabbiosi della politica e dei media di destra e di sinistra chiedono allegramente la Soluzione Finale.

Intanto veri giornalisti israeliani, come quelli di Haaretz e altri, pretendono le prove, pressano insistentemente lo stato maggiore dell’esercito che comunica di non avere elementi a riguardo. Intervistano il soldato David Ben Zion che ora dichiara di non aver visto personalmente i corpi decapitati ma che gli è stato riferito da alcuni commilitoni a lui sconosciuti.

Scoprono che il soldato è un fanatico estremista di destra, fomentatore d’odio che da anni incita, anche sui social, allo sterminio dei palestinesi.

Il danno è ormai irreparabile. Come se non bastasse l’avvio del genocidio interno, si registrano numerosi casi di aggressioni a palestinesi residenti in occidente, mentre i media italiani continuano senza pudore a dare la notizia falsa omettendo di rettificarla.

Questa è la foto più apprezzata e diffusa sui social in questi giorni. La Soluzione Finale può proseguire senza intoppi, i suoi cantori a gettone di presenza hanno lavorato senza sosta e questi sono i frutti.

Tre mesi fa cominciammo una campagna di raccolta fondi per il #RAWA, l’Associazione delle donne Afghane.

Siamo stati travolti dai likes, ma dopo un periodo di sporadiche (e generose) adesioni, tutto si è spento… fermato… Cosa è successo? Le donne Afghane non hanno più bisogno? I talebani hanno finalmente concordato per un sistema che rispetti le donne e dia loro il ruolo che meritano? I regimi teocratici stanno per scomparire? Finalmente le bambine potranno andare a scuola, le donne al cinema e ai concerti, potranno lavorare e ci sarà un presidente donna?

Niente di tutto questo. La situazione non è cambiata, anzi… ora che si sono spenti i fari dei media e azzerati i LIKES, tutto è come prima. Anzi PEGGIO perché ormai l’opinione pubblica è distratta da altre cose. Pensavate che con un Like si risolvesse la situazione? No… è solo servito a scuotervi la coscienza per pochissimi secondi. A me il vostro “mi piace” non sposta nulla, anzi… ho pure il fastidio di dover pensare e pubblicare i post anche quando non ne avrei voglia. Alle donne Afghane invece la vostra offerta cambia molto.

NON CERCHIAMO LIKES MA SOSTEGNO CONCRETO

– – – CLICCATE E DONATE ! – – –

All’indirizzo https://bit.ly/sosrawa è possibile sostenere il RAWA (Revolutionary Association of Women from Afghanistan) aderendo ad un’azione artistica condivisa.

Tramite una donazione minima di 10 € otterrai una doppia opera comprendente:

– Il libro “Taliban” di Alberto Masala (introduzione di Jack Hirschman e copertina di Fabiola Ledda, in quattro versioni: Italiano, Inglese, Francese, Spagnolo);

– L’opera “L’ombra dei suoi passi” di Marco Colonna, da lui eseguita al clarinetto con Giulia Cianca (voce), Mario Cianca (contrabbasso), Ivo Cavallo (percussioni).

Come per l’edizione di vent’anni fa, niente andrà agli autori.

Collegandoti al link, potrai scaricare l’opera – libro e disco insieme – cliccando su “Buy Digital Album” e il ricavato delle donazioni sarà versato interamente al RAWA.

Aiutiamo la resistenza delle donne, sostieni il RAWA.

Partecipa: https://bit.ly/sosrawa

Licenza Attribuzione di Creative Commons (riutilizzo consentito)

In tempo di COVID, con prudenza e amore, si va comunque avanti.
Sabato 24 ottobre alle 19 sarò a ROMA, parco Sangalli, per il festival Medintorpigna. Ma per me la cosa più bella è che lavorerò di nuovo con NOISE OF TROUBLE in un concerto dedicato a Luís Sepulveda.

ALBERTO MASALA + NOISE OF TROUBLE

MED in torpigna _ 2nda edizione
💥Sab. 24 ottobre / ore 19
🏵️#ParcoSangalli #torpignattara
🎊INGRESSO GRATUITO

Alberto Masala – testi, voce

Marco Colonna – ance

Luca Corrado – chitarra baritono

Cristian Lombardi – batteria

UNA PAROLA PER LUIS
Incontro avvenuto per la prima volta nel 2012 quello fra un poeta Alberto Masala e il gruppo Noise of Trouble, per una serie di concerti dedicati a Pasolini e Gramsci. Per Questo incontro si decide di omaggiare la figura di Luis Sepulveda in linea di continuità con il nuovo lavoro della band “Mis sueños son irrenunciables, obstinados, testarudos y resistentes” e come testimonianza di un amicizia reale e forte fra due poeti. Un modo per mantenere il contatto con una delle figure cardine della letteratura cilena contemporanea, e vittima del COVID 19.

na©Asuni_Logos

LOGOS : ASUNI

27 aprile 2019 – alle 21

pratza de cresia

Per raccontare l’evento potrei ricorrere alle solite formule “da comunicato stampa” indicando luogo, giorno e ora, e la presenza degli artisti che sono coinvolti. Oltre, naturalmente, ai necessari accenni ai promotori e patrocinatori. Niente di male né di sbagliato, ma la comunicazione mancherebbe degli elementi fondamentali che ne caratterizzano la sua reale portata: il concetto etico che l’ha generato e il lato umano che ne favorisce la realizzazione.

Sarà un concerto. E mai come in questo caso la parola “concerto” si estende al suo significato originario e più ampio travalicando l’aspetto strettamente musicale per arrivare al senso sostanziale di intesa, azione comune. Insomma: sarà un vero procedere insieme.

I primi protagonisti sono certamente gli abitanti di Asuni, paese all’interno della Sardegna. Se ne contano 344, ma i veri residenti sono forse un centinaio di meno.

Resistenza, capacità di accoglienza e ammirevole senso della comunità sono le doti umane che andranno in scena. Senza dimenticare la preziosa opera di volontariato che ne sostiene concretamente la realizzazione.

E a questo punto possono entrare anche gli altri protagonisti dell’opera:

composizione ed esecuzione: Marco Colonna

Ha composto il canovaccio musicale attingendo alle suggestioni sonore del territorio e della tradizione. Suonerà i suoi clarinetti in “solo” sviluppando dal vivo l’improvvisazione sul suo stesso schema.

immagini e proiezioni: Nanni Angeli

Ha cercato i volti degli abitanti e i vuoti delle case abbandonate dall’emigrazione. Volti e vuoti in immagini fotografiche che saranno poi scenografia montata in film e proiettata durante il concerto.

testi e voce: Savina Dolores Massa

Scrittrice che è nata e vive nel territorio oristanese. Ha composto il testo ascoltando le parole degli abitanti. Con la propria voce lo farà risuonare pronunciando così la voce del luogo.

ideazione e regia: Alberto Masala

a dieci anni dall’ultima edizione del Festival di Letteratura e delle Arti da me diretto, torno ad Asuni con Logos, un progetto di ampio sguardo che, con l’azione culturale, affronta i temi dello spopolamento in Sardegna.

Coordinamento: Sandro Sarai e Laura Sanna

Tutto questo avverrà grazie al MEA (Museo dell’Emigrazione di Asuni) agli inizi di un’attività che si preannuncia importante ben oltre il territorio in cui risiede, e all’Amministrazione Comunale sempre attenta e decisa nelle imprese di valorizzazione della comunità.

Ma soprattutto la Comunità, appunto… gli abitanti di questo piccolo paese che ancora lotta per esistere, resiste con coraggio e continua a sperare. Perché tutto si fa davvero grazie a loro.

Dunque: grazie soprattutto a loro, gli Asunesi.

na©Asuni_Logos

e alla fine ecco una bella intervista fatta da Salvatore Taras

https://www.facebook.com/AlbertoMasala.official/posts/10156992181578400

 

 

 

mi preparo a un bel Settembre tutto Sardo

– Subito a PalauIsole che Parlano. Un bel ritorno dopo tanti anni. E insieme a Marco Colonna per l’evento di chiusura del festival: il saluto al mare!
– Poi a Tempio, per la prima edizione di un nuovo evento, Bookolica, che già promette benissimo. Visiterò il carcere insieme alla cara Savina Dolores Massa. Poi sarò io stesso a presentarla nel festival. Farò anche una mia lettura. Lì incontrerò l’amico Domenico Brancale e, fra gli altri, anche Antonio Moresco.
– Segue il centro sociale Res Publica. Un luogo prezioso e necessario, a cui tengo molto, visto il mio legame col sociale. E con Alghero fin dalla nascita.
– Ancora a Cagliari, al festival Parole spalancate, di nuovo con Marco Colonna.
– e, per finire, ad Ales, sempre col grande Marco Colonna, nella Casa Natale di Antonio Gramsci in un progetto che dedichiamo a Gramsci e Pasolini.

qui sotto il CALENDARIO con i links per approfondire

 

nutria

Caro direttore Marco Damilano,

mi concedo il “caro” perché, da convinto fan dello Spiegone, per me lei è come uno di famiglia.

Dopo questa premessa, subito al punto: la spropositata intervista a Michela Murgia, ospitata da L’Espresso. Spropositata, oltre che culturalmente immeritata e filosoficamente immotivata, nei contenuti e nella rilevanza che si offre ad un pensiero sostenuto in maniera superficiale.

Il meccanismo è facile da individuare: lanciarne una sempre più grossa che scavalchi nelle dimensioni e nella portata quella precedente. Un congegno mediatico già ben descritto da Benjamin fin dal 1936 nel suo saggio L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, e poi da Guy Debord in La società dello spettacolo (1967). Niente di nuovo: sorprendere con azioni o affermazioni per passare poi, di shock in shock, attraverso un superamento progressivo che orienta sempre il livello dell’attenzione, mediatica e culturale, su sé stessi.

Questa è la tecnica in cui l’operosa Michela Murgia, nessuno glielo nega, è nota. Ottima interprete di ruoli, perfetta sollevatrice di polveri che poi ricoprirà con il polverone successivo. Sostanza? nessuna… solo apparenza, che necessita di un Narciso abnorme capace di spingere l’Ego senza limiti in tutte le direzioni. Una Vanitas incontenibile che porta a rubacchiare, sgraffignare, grattare, carpire, arraffare… appropriarsi impunemente e spudoratamente di concetti e idee che non le appartengono in nessun modo. Fin qui niente di preoccupante: tutti noi abbiamo assunto idee da pensatori che ci hanno preceduto. Io per primo ho enormi debiti con numerose menti del passato, ma con almeno il buon gusto di non spacciarle per pensiero originato dalla “mia brillante intuizione” e, soprattutto, di approfondirle e non indossarle volta per volta a seconda della sbalordita audience.

E passi… avrei potuto anche tacere su questa ennesima appropriazione indebita di un materiale talmente effimero ed etereo come il pensiero da non poter essere in nessun modo difeso se non dal pensiero stesso. Compito arduo, dato che oggi la rapidità dei processi non si sofferma sull’intelligenza o sull’analisi, ma produce soltanto opinione in sintesi talmente ambigue da lasciar intravedere tutto e il suo stesso contrario. E la Murgia in questo è davvero maestra. Nel suo ormai noto stile bisogna riconoscere grandi doti da Sibilla.
Stringere i concetti in sentenze compresse e non argomentate è una tecnica dell’opinionista che poi, davanti ad eventuali opposizioni, spinge verso il battibecco, la battuta, il sarcasmo, la discussione anche fino alla rissa. Tecnica da Talk-show. Le sentenze possono restare nella superficialità più compatta e completa: Ibis, redibis non morieris in bello (andrai, ritornerai non morirai in guerra). Dove sarà la seconda virgola? Dopo ritornerai o dopo non? Basta non metterla e tutto si sistema. Questa l’antica tecnica dell’ambiguità e della superficialità contemporanea.

Chiarisco:

– Ora non sto parlando di antifascismo, una coperta talmente vasta sotto la quale chiunque può trovare accoglienza. È il mio ambito dagli anni ’60 del secolo scorso e i miei percorsi non l’hanno mai nemmeno minimamente smentito. E devo sforzarmi un bel po’ per restarci persino con la ex-collaboratrice di Adinolfi …  Benvenuta anche lei, che a spintoni occupa sempre il centro del letto. Io resto al margine della coperta (nonostante il suo tessuto appartenga storicamente molto più a me) e cerco di non farmi sfiorare.

– Non sto parlando di visibilità, condizione dove chi pensa secondo quei beceri paradigmi vorrà subito ricondurmi. Sto defilato. Non ho obiettivi né carriere oltre a quella interiore del percorso del mio pensiero e della scrittura che ne segue. Non vendo niente. Non devo “piazzarmi”. Sto altrove e ci sto bene. Chi mi conosce lo sa. E Michela Murgia mi conosce abbastanza per saperlo.

Dunque perché ora scrivo? Per difendere un concetto contenuto nell’intervista che mi tocca nel profondo, dato che mi riguarda personalmente: quello dell’appartenenza in alternativa al concetto di identità.

Nel 2012 è uscito un mio facile saggio intitolato Geometrie di libertà in cui, attraverso alcuni dialoghi avvenuti nell’arco di 20 anni con giovani intelligenti, analizziamo insieme il rapporto dell’arte e della cultura col sociale. Come agisce il sistema repressivo, quali strumenti utilizza per operare il controllo del pensiero, a cosa serve l’arte, e cose simili…

A questo libretto la Murgia (e non solo lei, ne ho le prove, ma qui non voglio aprire altri files) ha variamente e sfacciatamente attinto senza mai nemmeno citare la fonte.
La prima volta che capitò le dissi personalmente la mia amarezza, e lei, in un dialogo privato inumidito dalle sue lacrime, si scusò come infantilmente fa un bambino che ruba la marmellata. La riparazione apparente avvenne tramite una sua amica che, in un molto marginale convegno di paese, mi chiese di chiarire quei concetti. Lo feci rapidamente e, per non annoiare il pubblico, passai al vero tema dell’incontro. Si chiuse lì con una sua promessa di non ricascarci. Ho il cuore tenero e non sono capace di odio né rancore, però non dimentico mai.

Ora perché insisto? Potrei non rivendicarne la matrice. Continuerei a vivere nel mio felice silenzio, a non dover sopportare il fastidio di mostrarmi, a coltivare la mia difficile condizione quotidiana che riceve un appagamento soltanto dall’inutile dignità che la sostiene.

Perché intervengo pur sapendo che ogni polverone le fa gioco (purché se ne parli…) e continua ad alimentare e amplificare quella sua eccezionale capacità polemica?

Parlo perché vedo quelle mie idee abusate, alleggerite fino alla banalità, diminuite in una piatta mediocrità. Parlo perché le ho pensate e soffro a non difenderle. Parlo per non consentire mai più a nessuno di costruire la propria immagine millantando idee non proprie e riducendole all’inconsistenza. Parlo perché se non lo facessi, vorrebbe dire che quel sistema ha preso anche me.

È il disperato appello della sostanza, perdente nel mondo contemporaneo, perché schiacciata dall’apparenza. Il vero dramma non sta in chi appare e pronuncia, ma nello spazio e l’utenza concessi all’imbonitore senza che si attivi mai una coscienza critica sulle sue strombazzate affermazioni. Panta rei? Oh, no… Non è vero che tutto scorra impunemente, se scorrendo lascia graffi incurabili sulla pelle di altri.

Come si conduce l’operazione? si arraffano le idee di qualcuno non troppo visibile nel sistema mediatico e si confida nel fatto che non reagirà, o che, se lo farà, sarà talmente fragile nei riguardi del consenso da non avere alcuna possibilità di opporsi, di essere visto e creduto. E così si va avanti, con la faccia tosta e l’arroganza che sono parte fondamentale dell’armamentario dello scalatore.

Ora vengo alla fonte: è nell’introduzione – da pag. 13 a pag. 23 – al mio già citato libretto del 2012. Lì si tratta dell’appartenenza (guarda caso, proprio in chiave antifascista!) e più avanti nel libro si parla della patria, concetto che rifiuto nella sua rigidità e che poi risolvo affermando: “Se avessi una patria, questa sarebbe nella mia lingua”, e parlo di lingua madre. Idee che, in un rovesciamento artificioso e funzionale, la Murgia preda abilmente (lo riconosco) e riadatta maldestramente. Ma avesse almeno rispettato i concetti! Forse avrei taciuto.

A prova delle mie affermazioni, pubblico qui l’introduzione (non tutto il libro) e la metto a disposizione di chiunque voglia scaricarla. Se avrete voglia, leggetela, e, comunque, lasciatemi in pace. Non voglio sostituirmi a Michela nella vanitosa scalata all’apparenza. Lei però eviti ogni rumore nelle mie vicinanze, mi lasci pensare e scrivere in pace come ha fatto con me negli ultimi anni. Continui a stendere quel silenzio che nei miei confronti è l’unica arma che possiede. E, poiché si fa chiamare scrittrice, che intanto fornisca prova di esserlo, ma ricordando sempre che nessuno è autorizzato a fregiarsi di alcun titolo se non gli sarà conferito dall’ambito di appartenenza. E che dovrà continuamente meritarlo per non essere destituita dal carico di portarlo. Non venda idee come quel famoso bottegaio di libri che riuscì a costruire un enorme business senza averne mai letto uno. Questo signore era noto per scorrere rapidamente solo le quarte di copertina. Ma ne vendeva tanti e costruì un impero! Libri o prosciutti era lo stesso. Bastava non approfondire.

Suggerisco un’ultima boutade:

Michela propone il termine Matria in sostituzione di Patria. E lo fa senza alcun fondamento filologico o etimologico. Se si dovesse ragionare come lei, gli abitanti della provincia di Nuoro potrebbero cantare inni alla Nutria. Spero che il localismo non porti mai a questo.
Un consiglio: usi il termine Filtria. Indica meglio la nostra vera posizione su ogni terra, che è destinata ai nostri figli – filii – ed appartiene a loro prima che alle madri o ai padri.

Orsù, leviamo insieme inni alla Filtria, capace di estrarci dalle pastoie di una definizione morale ed aprirci a un sguardo etico sul mondo.