nutria

Caro direttore Marco Damilano,

mi concedo il “caro” perché, da convinto fan dello Spiegone, per me lei è come uno di famiglia.

Dopo questa premessa, subito al punto: la spropositata intervista a Michela Murgia, ospitata da L’Espresso. Spropositata, oltre che culturalmente immeritata e filosoficamente immotivata, nei contenuti e nella rilevanza che si offre ad un pensiero sostenuto in maniera superficiale.

Il meccanismo è facile da individuare: lanciarne una sempre più grossa che scavalchi nelle dimensioni e nella portata quella precedente. Un congegno mediatico già ben descritto da Benjamin fin dal 1936 nel suo saggio L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, e poi da Guy Debord in La società dello spettacolo (1967). Niente di nuovo: sorprendere con azioni o affermazioni per passare poi, di shock in shock, attraverso un superamento progressivo che orienta sempre il livello dell’attenzione, mediatica e culturale, su sé stessi.

Questa è la tecnica in cui l’operosa Michela Murgia, nessuno glielo nega, è nota. Ottima interprete di ruoli, perfetta sollevatrice di polveri che poi ricoprirà con il polverone successivo. Sostanza? nessuna… solo apparenza, che necessita di un Narciso abnorme capace di spingere l’Ego senza limiti in tutte le direzioni. Una Vanitas incontenibile che porta a rubacchiare, sgraffignare, grattare, carpire, arraffare… appropriarsi impunemente e spudoratamente di concetti e idee che non le appartengono in nessun modo. Fin qui niente di preoccupante: tutti noi abbiamo assunto idee da pensatori che ci hanno preceduto. Io per primo ho enormi debiti con numerose menti del passato, ma con almeno il buon gusto di non spacciarle per pensiero originato dalla “mia brillante intuizione” e, soprattutto, di approfondirle e non indossarle volta per volta a seconda della sbalordita audience.

E passi… avrei potuto anche tacere su questa ennesima appropriazione indebita di un materiale talmente effimero ed etereo come il pensiero da non poter essere in nessun modo difeso se non dal pensiero stesso. Compito arduo, dato che oggi la rapidità dei processi non si sofferma sull’intelligenza o sull’analisi, ma produce soltanto opinione in sintesi talmente ambigue da lasciar intravedere tutto e il suo stesso contrario. E la Murgia in questo è davvero maestra. Nel suo ormai noto stile bisogna riconoscere grandi doti da Sibilla.
Stringere i concetti in sentenze compresse e non argomentate è una tecnica dell’opinionista che poi, davanti ad eventuali opposizioni, spinge verso il battibecco, la battuta, il sarcasmo, la discussione anche fino alla rissa. Tecnica da Talk-show. Le sentenze possono restare nella superficialità più compatta e completa: Ibis, redibis non morieris in bello (andrai, ritornerai non morirai in guerra). Dove sarà la seconda virgola? Dopo ritornerai o dopo non? Basta non metterla e tutto si sistema. Questa l’antica tecnica dell’ambiguità e della superficialità contemporanea.

Chiarisco:

– Ora non sto parlando di antifascismo, una coperta talmente vasta sotto la quale chiunque può trovare accoglienza. È il mio ambito dagli anni ’60 del secolo scorso e i miei percorsi non l’hanno mai nemmeno minimamente smentito. E devo sforzarmi un bel po’ per restarci persino con la ex-collaboratrice di Adinolfi …  Benvenuta anche lei, che a spintoni occupa sempre il centro del letto. Io resto al margine della coperta (nonostante il suo tessuto appartenga storicamente molto più a me) e cerco di non farmi sfiorare.

– Non sto parlando di visibilità, condizione dove chi pensa secondo quei beceri paradigmi vorrà subito ricondurmi. Sto defilato. Non ho obiettivi né carriere oltre a quella interiore del percorso del mio pensiero e della scrittura che ne segue. Non vendo niente. Non devo “piazzarmi”. Sto altrove e ci sto bene. Chi mi conosce lo sa. E Michela Murgia mi conosce abbastanza per saperlo.

Dunque perché ora scrivo? Per difendere un concetto contenuto nell’intervista che mi tocca nel profondo, dato che mi riguarda personalmente: quello dell’appartenenza in alternativa al concetto di identità.

Nel 2012 è uscito un mio facile saggio intitolato Geometrie di libertà in cui, attraverso alcuni dialoghi avvenuti nell’arco di 20 anni con giovani intelligenti, analizziamo insieme il rapporto dell’arte e della cultura col sociale. Come agisce il sistema repressivo, quali strumenti utilizza per operare il controllo del pensiero, a cosa serve l’arte, e cose simili…

A questo libretto la Murgia (e non solo lei, ne ho le prove, ma qui non voglio aprire altri files) ha variamente e sfacciatamente attinto senza mai nemmeno citare la fonte.
La prima volta che capitò le dissi personalmente la mia amarezza, e lei, in un dialogo privato inumidito dalle sue lacrime, si scusò come infantilmente fa un bambino che ruba la marmellata. La riparazione apparente avvenne tramite una sua amica che, in un molto marginale convegno di paese, mi chiese di chiarire quei concetti. Lo feci rapidamente e, per non annoiare il pubblico, passai al vero tema dell’incontro. Si chiuse lì con una sua promessa di non ricascarci. Ho il cuore tenero e non sono capace di odio né rancore, però non dimentico mai.

Ora perché insisto? Potrei non rivendicarne la matrice. Continuerei a vivere nel mio felice silenzio, a non dover sopportare il fastidio di mostrarmi, a coltivare la mia difficile condizione quotidiana che riceve un appagamento soltanto dall’inutile dignità che la sostiene.

Perché intervengo pur sapendo che ogni polverone le fa gioco (purché se ne parli…) e continua ad alimentare e amplificare quella sua eccezionale capacità polemica?

Parlo perché vedo quelle mie idee abusate, alleggerite fino alla banalità, diminuite in una piatta mediocrità. Parlo perché le ho pensate e soffro a non difenderle. Parlo per non consentire mai più a nessuno di costruire la propria immagine millantando idee non proprie e riducendole all’inconsistenza. Parlo perché se non lo facessi, vorrebbe dire che quel sistema ha preso anche me.

È il disperato appello della sostanza, perdente nel mondo contemporaneo, perché schiacciata dall’apparenza. Il vero dramma non sta in chi appare e pronuncia, ma nello spazio e l’utenza concessi all’imbonitore senza che si attivi mai una coscienza critica sulle sue strombazzate affermazioni. Panta rei? Oh, no… Non è vero che tutto scorra impunemente, se scorrendo lascia graffi incurabili sulla pelle di altri.

Come si conduce l’operazione? si arraffano le idee di qualcuno non troppo visibile nel sistema mediatico e si confida nel fatto che non reagirà, o che, se lo farà, sarà talmente fragile nei riguardi del consenso da non avere alcuna possibilità di opporsi, di essere visto e creduto. E così si va avanti, con la faccia tosta e l’arroganza che sono parte fondamentale dell’armamentario dello scalatore.

Ora vengo alla fonte: è nell’introduzione – da pag. 13 a pag. 23 – al mio già citato libretto del 2012. Lì si tratta dell’appartenenza (guarda caso, proprio in chiave antifascista!) e più avanti nel libro si parla della patria, concetto che rifiuto nella sua rigidità e che poi risolvo affermando: “Se avessi una patria, questa sarebbe nella mia lingua”, e parlo di lingua madre. Idee che, in un rovesciamento artificioso e funzionale, la Murgia preda abilmente (lo riconosco) e riadatta maldestramente. Ma avesse almeno rispettato i concetti! Forse avrei taciuto.

A prova delle mie affermazioni, pubblico qui l’introduzione (non tutto il libro) e la metto a disposizione di chiunque voglia scaricarla. Se avrete voglia, leggetela, e, comunque, lasciatemi in pace. Non voglio sostituirmi a Michela nella vanitosa scalata all’apparenza. Lei però eviti ogni rumore nelle mie vicinanze, mi lasci pensare e scrivere in pace come ha fatto con me negli ultimi anni. Continui a stendere quel silenzio che nei miei confronti è l’unica arma che possiede. E, poiché si fa chiamare scrittrice, che intanto fornisca prova di esserlo, ma ricordando sempre che nessuno è autorizzato a fregiarsi di alcun titolo se non gli sarà conferito dall’ambito di appartenenza. E che dovrà continuamente meritarlo per non essere destituita dal carico di portarlo. Non venda idee come quel famoso bottegaio di libri che riuscì a costruire un enorme business senza averne mai letto uno. Questo signore era noto per scorrere rapidamente solo le quarte di copertina. Ma ne vendeva tanti e costruì un impero! Libri o prosciutti era lo stesso. Bastava non approfondire.

Suggerisco un’ultima boutade:

Michela propone il termine Matria in sostituzione di Patria. E lo fa senza alcun fondamento filologico o etimologico. Se si dovesse ragionare come lei, gli abitanti della provincia di Nuoro potrebbero cantare inni alla Nutria. Spero che il localismo non porti mai a questo.
Un consiglio: usi il termine Filtria. Indica meglio la nostra vera posizione su ogni terra, che è destinata ai nostri figli – filii – ed appartiene a loro prima che alle madri o ai padri.

Orsù, leviamo insieme inni alla Filtria, capace di estrarci dalle pastoie di una definizione morale ed aprirci a un sguardo etico sul mondo.

duo
sabato 8 aprile h 22:30

Ventotto-28DiVino Jazz Club
via Mirandola 21, 00182 Roma

Una delle voci poetiche più potenti del Mediterraneo incontra il suono di una delle identità più creative del jazz in Italia. Collaborazione di lungo corso che finalmente approda a Roma fra le mura del piu’ anarchico dei jazz club… Poesia, lotta, canto degli ultimi e dei margini per riscoprire la propria appartenenza alla bellezza.

sepAlberto Masala : canto poetico
Marco Colonna : fiati

sep

domenica 9 aprile h 18:00
BUSHIDO

FonteRossa Day#3
via Franceschi 13, Pisa

Fonterossa day

Hommage à Paris et à la France pour le 13 de Novembre

de Robert Schumann: Les Deux Grenadiers (Die beiden Grenadiere), Op.49 n°1
cello: Giordano Bruno Màsala (8 ans)

Per questo 8 marzo mi è stato chiesto di riportare alla luce un lavoro di quindici anni fa, che avrebbe dovuto essere già vecchio e invece, con la recrudescenza degli integralismi nel mondo, si dimostra ancora drammaticamente attuale: TALIBAN, i 32 precetti per le donne (notizie e storia sul libro sono qui).

8 MARZO 2015 – alle 17,30
TEATRO ASTORIA di FIORANO (Modena)

TALIBAN in concerto

ALBERTO MASALA (testo e voce)
MARCO COLONNA (ance)

l’ingresso è gratuito

foto di Fabiola Ledda

foto di Fabiola Ledda

logo circolo Fiorano      logo Fiorano Modenese
circolo Nuraghe                  Comune di Fiorano

non aggiungo una sola parola: ha detto tutto lui, Norman Finkelstein

Comunicato Stampa

HATING IN A WORLD OF DESIRE!

Action’s Urban Wild Art

Londra, 28 ottobre 2013, Old Street. Il collettivo artistico AZ.NAMUSN.ART sceglie il giorno dell’uragano, il St Jude’s Day Storm, per avviare il nuovo ciclo di azioni urbane ad alto impatto sociale economico, politico e ambientale, Ball(oons) Experience Series.

AZ.NAMUSN.ART, con l’ausilio di scale e impalcature presenti in loco, verso le 4:00 del mattino ha raggiunto il tetto di un edificio nei pressi della stazione di Old Street, su cui da Aprile è posizionato un enorme pallone da spiaggia, del diametro di oltre 10 metri. Sotto l’alibi dell’installazione di arte pubblica, opera di Morag Myerscough, si nasconde in realtà una subdola operazione di marketing della società immobiliare Derwent London. Secondo la società, l’edificio in costruzione (15 piani per circa 228.000 metri quadrati, valore immobiliare intorno ai 200 milioni di sterline), grazie a un particolare sistema d’isolamento termico ed efficienza energetica, vedrebbe ridotta del 20% la bolletta energetica. Ogni anno, l’equivalente dell’abbattimento delle emissioni di CO2 riempirebbe circa 180 palloni della stessa dimensione del Land Marker sul tetto dell’edificio.

AZ.NAMUSN.ART, dopo aver reciso i punti di ancoraggio e aver installato un GPS sul pallone, lo lascia libero, in balia dell’uragano. Grazie al satellite, però, si traccia una mappa urbana arbitraria, affidata esclusivamente alla forza della natura, che porta a compimento il processo e, quindi, l’opera-azione in forma di Action’s Urban Wild Art.

Il titolo, Hating in a World of Desire, è un riferimento diretto all’opera Loving in a World of Desire di Damien Hirst, che vede un pallone da spiaggia sospeso su un getto d’aria che fuoriesce dal basamento dell’opera stessa.

AZ.NAMUSN.ART sottolinea ironicamente come il caos generato dalla forza devastante della natura accomuna la creazione dell’opera e quella del mondo, smascherando al contempo la vulnerabilità delle nuove tecnologie che, seppur create e manovrate dall’uomo, risultano non controllabili. E così, il valore simbolico del “monumento”, corrotto dalla strumentalizzazione della società immobiliare, si riscatta attraverso la riappropriazione fatta dai fenomeni atmosferici. Pertanto, è la natura che lo trasforma da opera oggettuale in un’allegoria effimera, ma dal forte contenuto etico, che travalica il principio estetico, dilagando nella realtà. Hating in a World of Desire, quindi, è un’anti-pubblicità, una contro-campagna di sensibilizzazione, sui cambiamenti climatici e le emissioni di CO2. Infine, è un monumento-memento alle sperequazioni dell’economia globale. Nonostante la conclamata attenzione alle tematiche ambientali, infatti, l’opinione pubblica sembra anestetizzata davanti al totale delle azioni dei combustibili fossili della Borsa di Londra, che stime al ribasso quantificano in circa 900.000.000.000 di sterline!

AZ.NAMUSN.ART ringrazia tutte le persone che hanno collaborato al progetto, diffondendo in rete, dalle prime luci del mattino del 28/10/2013, alcuni video still di Hating in a World of Desire, sui più popolari social network, come twitter e facebook.

www.aznamusnart.org

English version

Press Release

HATING IN A WORLD OF DESIRE!
Action’s Urban Wild Art

28th October 2013, Old Street, London. AZ.NAMUSN.ART is back in action on St Jude’s Day, they are starting a new cycle of urban actions with high social impact: Ball(oons) Experience Series.

AZ.NAMUSNART, a Sardinian art collective, keeps dealing with economic, political and environmental issues in a new residential context.

AZ.NAMUSN.ART, climbed onto the roof of a building near the Old Street Station; where a huge beach ball has been displayed since April 2013; using ladders and scaffolding already set up on-site, at around 4:00am. Disguised as installation of public art, Morag Myerscough’s work, is basically an insidious Derwent London’ marketing operation. According to the company’s theory, the building under construction (15 floors for about 228,000 square feet, the value is around £200 million) is being built using a special thermal insulation and energy efficiency system, which should be able to reduce energy bills by 20% every year, thus reducing CO2’s emissions by the equivalent amount – 180 filled beach balls of the same size as the Land Marker on the roof of the building.

AZ.NAMUSN.ART, cut the anchor points and installed a GPS on the giant beach ball, in the hands of the hurricane. Through the use of the satellite, AZ.NAMUSNART is able to draw an arbitrary urban map exclusively assigned to the power of nature, which completes the process and the work in form of Action’s Urban Art Wild.

The title Hating in a World of Desire is a direct reference to the work Loving in a World of Desire by Damien Hirst formed by the beach ball floating in an airflow ejected by the sculpture’s base.

AZ.NAMUSN.ART emphasizes, ironically, how chaos is caused by devastating power of nature; they join together the idea of the creation of the work and the idea of the creation of the world and at the same time show up the vulnerability of new technologies which, even if created and operated by human beings, are not controllable. So the symbolic value of the “monument”, corrupted by these instruments of the real estate company, redeems itself through the re-appropriation made by weather events. Therefore the power of nature turns the objectivity of the work into an ephemeral allegory – with a strong ethical content which goes beyond aesthetic principles, flooding into reality.

Hating in a World of Desire is an anti- advertising work, an anti-advertising campaign aims to raise awareness about climate change and CO2 emissions. This work is also a monument memento dedicated to waste in the global economy. Despite a proclaimed interest in environmental issues, public opinion seems anesthetized with regards to the total number in shares of fossil fuel companies held on the London Stock Exchange. The value of those share are approximately £900,000,000,000!

AZ.NAMUSN.ART would like to thank all contributors who from early in the morning of 28/10/13, they posted images from video still of Hating in a World of Desire in the most popular social-networks, such as Twitter and Facebook.

www.aznamusnart.org

Partecipo a questo bel festival sulle montagne di Aritzo, in Sardegna. Vi invito tutti dal 25 al 29 luglio.

Ma se non potete esserci, date almeno un’occhiata al programma… qui
o prendete informazioni sul sito di Opìfice

Passaggi per il bosco su facebook
e sul sito della casa lettrice malicuvata

 


da un’idea di Fabiola Ledda e Ryta Kes
thanks for the LOGO to Ronny Pushpin

#ArtistsForResIstanbul

Direnişi ile dayanışma içinde sanat projesi Gezi Parkı

  Progettu de arte pro solidaridade cun sa resistentzia de su Parcu Gezi
      Projecte d’art en solidaritat amb la resistència del Parc Gezi
         Progetto d’arte in solidarietà con la resistenza di Gezi Park
            Art project in solidarity with the resistance of Gezi Park
               Kunstprojekt – Solidarität mit dem Widerstand der Gezi Park
                  Proyecto de arte en solidaridad con la resistencia del Parque Gezi
                     Πρόγραμμα Τέχνης – αλληλεγγύη με την αντίσταση του Gezi Πάρκο
                        Art projet en solidarité avec la résistance du parc Gezi


#ArtistForResIstanbul #direngezi #occupygezi #resIstanbul #OpTurkey #occupyturkey #direntürkiye #duranadam #delilimvar #polisevinedön #direntaksim #direnkızılay #direnali #uyantürkiye #bubirsivildireniş #şiddeteson #receptayyiperdoğan #YunusEmre #direnduranadam #durankadin #kızıldayanışma #direndersim #boykot #direnankara #direnizmir #direncarsı #direnadana #direneskişehir #hepmizçarşıyız #Mevlana #direnbursa #direnlobna

Devrimci 90 KusagiInternational solidarity with OCCUPY GEZI T.C Çapulcular

#ArtistsForResIstanbul è su Facebook
#ArtistsForResIstanbul e #ArtistForResIstanbul sono su Twitter

intervista di Laura Fois per L’Universale (ripresa anche da Informazione Libera e da Informare Per Resistere) il 7 novembre 2011. “Questo modello politico non tollera l’intelligenza”. Il poeta spazia dall’arte alla situazione della cultura e della politica in Italia, mettendo due generazioni a confronto…

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intervista radiofonica di Tore Cubeddu in sardu pro Jannaberta. Lastima pro sos ki non bi cumprendhen. Una bella intervista per una bella trasmissione. Mi dispiace per chi non la capisce. Registrata per Radio RAI Sardegna il 13 dicembre 2010.

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video di Christian Mascheroni per Ti racconto un libro: due poeti protagonisti del festival Isola delle Storie di Gavoi: il sardo Alberto Masala e il polacco Tomasz Różycki. Due concezioni della poesia molto differenti: è un fatto privato o voce rappresentativa di una comunità?

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intervista su Argonline sul rapporto in scrittura con la mia lingua madre, il sardo, e con le altre lingue che utilizzo.


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intervista di Elisabetta Marino – “Il poeta è la voce che ha visto le voci” – incontro con Alberto Masala. – In Limine, n°3, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2008, pp. 149-158 – ottobre 2008.

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In questa intervista di Paolo Piras sull’Unione Sarda del febbraio 2007 – mi ha divertito, rileggendolo a distanza di tre anni, il dibattito con una lettrice (tale “una di passaggio, italia”) che, inizialmente, avevo cortesemente preso sul serio…

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Intervista di Dimitri Papanikas del febbraio 2005 in cui per la prima volta emerge il concetto del “condominio della poesia” che oggi è per me un fondamentale punto fermo.

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Intervista online di Davide Bregola: La letteratura italiana ha/a più voci – maggio 2004 sulla letteratura della migrazione.

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intervista di Valentina Mmaka in Migrare… Migrando – Riflessioni a margine del 3° Convegno di Culture e letteratura della Migrazione. Ferrara, 26/28 Marzo 04

 

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Intervista di Franca Rita Porcu per “L”Unione Sarda” del 8 dicembre 2003 – si parla di tre lavori: Proveniamo da estremi, Nella casa del boia, Taliban.

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Le voci della luna ­ – marzo 2002 – intervista a cura di Loredana Magazzeni

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L’Unione Sarda – maggio 1998 – “Il rischio di trasformare le radici in folklore” di Franca Rita Porcu

 

dedicato alla grande dignità di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi

Dedico a te, Patrizia, al tuo coraggio e alle tue lacrime di dignità, questo testo ispirato dalla Ballata delle madri di Pier Paolo Pasolini (leggetela qui) . S’intitola “Domandati che madri abbiano avuto”. Ricalco la stessa struttura della poesia di Pasolini per riscriverlo, rispondendogli e riattualizzando il canto, e così portarlo ai giorni nostri. Per pudore e riservatezza in tanti anni non avevo mai pubblicato un mio testo poetico su questo blog. Ma l’indignazione e le tue lacrime mi hanno spinto a farlo. Chiedo comprensione…

domandati che madri abbiano avuto

A Pier Paolo Pasolini

In ricordo di Carlo Giuliani, Francesco Lorusso, Giorgiana Masi, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi …

Quaggiù nell’assenza dei poeti
in queste strade a loro sconosciute
mi sto adattando agli ultimi presagi.
Solo. Finisco i versi. Ascolta il suono…
il grido del nemico nell’orecchio.

Ascolta… guarda…
quando evoca i riflessi di tragedie
non ha colpe lo sguardo…

Quaggiù nell’assenza dei poeti
il potere è vigliacco nella storia.
Poliziotti che corrono sfrenati
senza una pausa, per frenesia infinita.

Che vista hanno negli occhi?
Da dove sono nati? Hanno una madre?
Tu ne cantavi la semplicità.
Dimmi… lo chiedo a te…

La povertà
ne malediva le generazioni, tu
li chiamavi ragazzi
con accorata tenerezza cieca.

La rabbia è la paura di miseria…
È soggezione d’ignoranza…

Cresciuti in spazi stretti
nel nulla imprigionato che si scontra
con le pareti del suo stesso nulla,
costretti in repressioni familiari
di città epilettiche e razziste,
di dottrina dell’ordine e bisogno,
di religione e fanatismo ostile.
La radice cristiana mai estirpata
in loro sta, pietrificata, inerte.

Hanno avuto una madre?

Madri vili…
i volti modellati da un destino
che così può sfamare le apparenze
del giudizio che avanza confortante
e che valuta e impone la misura.

Madri mediocri…
i volti oppressi, addestrati a ubbidire,
a spostare all’indietro le parole,
soffocare l’urgenza di irruzioni
ed espellere i resti dell’amore.

Madri servili…
Volti d’argilla, quando il tempo è un velo
che acceca nella triste assuefazione
la noncuranza per chi è condannato
o sia infettato da un semplice male.

Madri feroci…
Volti domati, schierati sullo sfondo
della scena, tra squilli di fanfare,
che ripetono insulti ad alta voce
e sparano agli estranei, e invocano la legge.

Vili, mediocri, servi… feroci
i loro figli colpiscono altri figli
come orda di bestie
come branco famelico che sbrana
ogni preda isolata.

Quando vanno trionfanti a devastare
saziati dalla loro stessa lingua
livida di fascismo e manganello…
domandati che madri abbiano avuto.

Qui ancora ci illudiamo in ribellioni
bisbigliando la stessa cantilena
con litanie imprudenti, che da anni
cominciamo da capo all’infinito
mentre qualcosa di finale pesa,
risuona e batte sulla città Superba
a cui lavarsi non pulirà le tracce.
Il suo paesaggio ne riascolta il suono
Genova, incancellabile per sempre.

Qui non ho vie di fuga: resto
visibile…   evidente…     differenza…
Ancora non ci siamo allontanati.
Il mio scrivere si getta sulla vita.

Vengo dalla terra di Gramsci.
Proprio lui ci ha insegnato che la lotta
può somigliare alla felicità
e l’incertezza rivoluzionaria
ci nutre i dubbi dell’intelligenza.

Oggi
è coperta di sale questa terra
dove anche gli operai
si son fatti traditi e traditori.

Quaggiù, nell’assenza dei poeti
resto, sospinto da inverse traiettorie.
Un poeta bastardo, o con la schiena rotta,
non si riscalda al loro conformismo.
Resto: sebbene quel pensiero ti abbia ucciso
uccidendoti ancora.

Nel tribunale
col crocefisso della legge al muro
lo chiameranno equivoco, il futuro.

Bologna, 19 ottobre 2012

risposta del giorno dopo ai discorsi del giorno dopo

Eh, no… signora Cancellieri! Non sono parole in libertà! Quelli sono fascisti. Come la grandissima maggioranza degli appartenenti alle forze dell’ordine, di qualsiasi tipo, genere, ordine e grado. Fascisti veri e molto pericolosi, che, vigliaccamente tutelati da una divisa, agiscono con la mentalità da ultrà, da banda organizzata, da cosca, da squadraccia. E lo sono perché così sono stati selezionati, arruolati, addestrati da 65 anni a questa parte. Lo sono perché sono abituati all’impunità dell’arroganza, della prevaricazione, della violenza. Lo sono perché calpestano le leggi, ignorano la costituzione, stanno per definizione dalla parte dei padroni e mai degli umili. Potrei portarle centinaia di testimonianze personali che mi inducono a pensare così. Lei li copre, minimizza, li protegge. Come da sempre ha fatto il Potere in questa Italia così reazionaria. Se sono così è perché li avete voluti così.

E se qualcuno tra loro non fosse così… bene, sia il benvenuto, onore e rispetto a loro ed al  prezioso lavoro che svolgono onestamente. Spero sinceramente che diventino sempre di più e caratterizzino diversamente il loro servizio. Hanno la mia solidarietà. Questo discorso non è rivolto a loro, dunque non devo nemmeno delle scuse. Ma lei, per favore, spinta dal suo entusiasmo istituzionale, non venga a raccontarci fole insostenibili … non è credibile.

e per non dimenticare…