Il 14 dicembre, da Marcello Fois, ho ricevuto l’appello che metto qui in immagine. Ho pensato di aderire, ma anche di rispondere. Ecco qui sotto la mia risposta.
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A Marcello.
“nella vita spirituale si agisce, sì, da affaristi,
ma per antica tradizione si parla da idealisti”
(Musil)
Il tuo appello, conoscendoti da circa 40 anni, non giunge inaspettato. Di te ho visto tutto fin dall’inizio: percorsi, evoluzioni, cammino e passi. Grande generosità materiale in contrappeso ad altrettanta prudente accortezza intellettuale.
E stavolta ho avuto tre diverse reazioni:
“Ma neppure rispondo!” (No… Sarei sgarbato, apparirei presuntuoso… non è da me… in fondo sarebbe come non rispondere a un saluto. E non si fa).
“Firmo e taccio. Lascio perdere. Sto zitto”. (Eh no! Caspita! Tacere su quello che mi muove da mezzo secolo! La mia visione etica, la mia appartenenza… Io sono ancora Sardo).
“Firmo o non firmo, non importa… ma almeno rispondo”. (Negli anni te le ho lasciate passare tutte, davvero troppe, senza dire mai niente).
Per carità… l’appello è legittimo, giusto e condivisibile. Lo firmo senz’altro. Ma… tu non hai lo spessore etico per condurlo. Bisogna contestualizzarlo.
La chiamata, apparentemente generosa e patriottica, si colloca in un percorso che potrei descrivere nei particolari. È il procedere indefesso di una Mouche du coche, mirabilmente narrata da La Fontaine e ancor prima da Fedro. La famosa mosca cocchiera di cui parlavano Gramsci e Turati o, in letteratura, Carducci, riferendosi agli epigoni del Manzoni.
Da quando ti conosco, per te c’è sempre stato un cocchio su cui saltare, un cavallo da pungere all’orecchio, un atteggiarsi a questa nobile funzione.
Nessuno ha interpretato meglio questo ruolo. Fin dagli albori, quando sostenevi e diffondevi l’appello per un Assessore alla Cultura, socialista, sul quale ho un parere strettamente politico: il peggiore della storia di Bologna da tutti i tempi. Ma non posso fartene una colpa: arrivasti in città da giovane militante del PSI e quella rete ben attrezzata fu tua da subito, testa bassa e senso del dovere. Scendendo poi dal cocchio rapidamente, con un mirabile colpo di reni, appena prima che Craxi e Mani Pulite lo conducessero a schiantarsi in un precipizio. Era il cocchio sbagliato, e tu eri dotato di ancora giovani ali. Hop…! Un opportuno salto e via…
Il cocchio successivo era più stabile. Più cooperativo. Largo e solidissimo fin dal dopoguerra, e qui in Emilia ancora regge nonostante le evoluzioni e i cambi di modello della Ditta.
Il coraggio dell’arroganza fu sdoganato quando un democristiano, il miglior interprete di quelle attitudini, ne diventò il risolutivo Amministratore Delegato. A lui, almeno spiritualmente, ti riconosco ancora fedele. Mi colpì molto la tua rabbiosa difesa dei suoi referendum al tavolo di un’osteria. Da manzoniano convinto e militante, hai accolto i Renzi come modello, eleggendo nel percorso tutte le diverse Lucie (non importa di che sesso, non prendermi alla lettera) secondo l’utilità. Si passava risolutivamente dal “tengo famiglia” al più spietato “da ora finalmente va così, e così sarà”.
Tutto questo mentre la nostra terra intanto avanzava verso un disastro di entità terminale. Oggi, con la piena complicità politica espressa dal silenzio anche tuo, la mia Sardegna si conferma:
La zona d’Europa su cui (in rapporto al territorio) sono le più estese e invadenti basi militari di tutta Europa.
La maggiore vittima di pericolose e inquinanti esercitazioni (Teulada).
E se non bastasse, la colonia italiana (tale è) invasa dal turismo più becero e arrogante. Una terra cui si possono perfino cambiare i nomi dei luoghi senza suscitare reazioni. Per capirci ora immagina che l’Emilia, senza colpo ferire, sia ribattezzata col nome del suo supermercato più rappresentativo: COOPlandia. Così è successo in Costa Smeralda. È come vendersi la madre.
Ne deriva che le prospettive per i giovani, come in ogni colonia, sono soltanto quelle di servire i colonizzatori diventando loro guardiani, giardinieri o camerieri. I più svegli, se va bene, saranno gli chef che tu inviti a sottoscrivere l’appello. Niente da dire… mestieri dignitosissimi e perfino belli per chi li sceglie, ma a patto che non resti l’unica strada possibile. A proposito… Non ho capito perché insieme agli chef non inviti i grandi falegnami sardi, o i pastori (fra i migliori del mondo), o le progettiste di meravigliosi tappeti, e così via…
Marcello, non ti ho mai sentito denunciare questa situazione. Al contrario, in luogo di usare la parola COLONIA, ti sei reso profondamente complice con le tue chiamate alla Patria italiana. Non hai fatto altro che consolidare inesistenti radici per un popolo al quale erano imposte con la forza. Hai affiancato il colonizzatore e, casomai, gli hai spesso dato consigli per potersi mascherare meglio.
Hai fatto furbi outings (“Ho tradito”) che niente cambiavano del continuare a tradire. Senza vergognarti hai serialmente recitato in ruoli di menzogna (ne potrei citare una lunga collana, ultimo il tuo inesistente bilinguismo: “penso in sardo e devo tradurre in italiano”), avendo capito che per atteggiarsi basta mentire in luoghi dove nessuno può smentirti o rubacchiare un pochino le idee di quelli che, come me, non hanno voglia di smentirti. Una lezione questa che ha fatto scuola anche in altre/altri dopo di te.
Intanto il cocchio corre. E le mosche, ronzando con la bocca a tromba, con un ennesimo coup de théatre incitano il cavallo. Che faranno nelle soste? Riposeranno su ciò che il cavallo depone?
Anch’io dico sacrosanto ribellarsi, ma da 50 anni lo faccio con ben altri argomenti, quelli che tu non hai mai nemmeno sfiorato. Lo faccio, come sempre, perfino sotto il tuo sguardo di sufficienza per le donchisciottesche battaglie che io perdo e tu, prudentemente, non combatteresti mai.
Ora ti dedico alcune meritate citazioni che riportano il discorso alla sua oggettività. Ho tralasciato Gramsci e messo Turati che, da socialista, capisci molto meglio…
(…) Ma le mosche, per altro, le mosche cocchiere sono pur le male bestie e noiose! Si fermano alla prima osteria e van ronzando negli orecchi alla gente (Carducci 1897).
(…) una propaganda, che fa appello esclusivamente ai romanticismi impulsivi dei sofferenti, forse traduce, più che altro, la favola della “mosca cocchiera”, che presume di guidare, in codesto duplice solco, l’aratro della sedizione (Turati 1913).
Perciò sappi che, même si tu joues la mouche du coche, tu ne peux pas me tromper.
La favola del piccolo Mustafà e le fabbriche di bombe di Benigno Moi
“Noi però gli facciamo le protesi”, si potrebbe affermare (parafrasando il titolo dell’ottimo e recente libro di Francesco Filippi sul colonialismo italiano (1), osservando il trasporto con cui le tv e i giornali italiani hanno raccontato, quasi “autocelebrandosi come comunità di italiani”, la storia dell’arrivo in Italia del piccolo Mustafà al-Nazzal, il bambino siriano nato senza arti a causa dei gas sprigionati dalla bomba che ha colpito il mercato di Idlib, nella Siria nordoccidentale, dove quel giorno del 2016 si trovavano anche Munzir e Zeynep, i genitori del bambino. A causa di quel bombardamento il padre perse una gamba e la madre, incinta di Mustafà, rimase gravemente intossicata, tanto che è stata attribuita proprio a quell’evento l’origine della rarissima e terribile tetramelia di cui soffre il bambino.
Tanto di cappello, ovviamente, ai veri protagonisti di questa storia, dall’autore della straordinaria foto che ha fatto conoscere la storia di Mustafà e di suo padre Munzir, a quelli del Siena Awards Festival, che non si sono accontentati di premiare la foto ma hanno promosso la raccolta fondi necessaria a trasformare la voglia di vita testimoniata da padre e figlio in speranza concreta; dalla Arcidiocesi di Siena che ospita Mustafà e la sua famiglia allo straordinario staff del Centro Protesi Vigorso di Budrio, nel bolognese, che cercherà di ridare gambe e braccia a Mustafà, come fa da decenni in maniera encomiabile.
Ciò che infastidisce è la mancanza della relazione fra effetto e causa, la quasi unanime amnesia degli organi di stampa che non riescono ad indagare sulle cause che provocano le ferite e le mutilazioni dei tanti Mustafà che ogni giorno vengono colpiti, nella nostra sostanziale indifferenza.
Gli stessi giornali che ci mostrano il sorriso straordinario e contagioso di Mustafà sono magari finanziati dalle Banche armate (2) o accolgono nelle loro pagine la pubblicità di chi quelli ordigni di morte li produce (3). Quando banche armate o produttori non sono direttamente i loro editori.
Proprio nelle stesse ore in cui Mustafà si preparava a partire per l’Italia, e mentre l’ISIS si sta riprendendo parti delle regioni curde liberate anni fa nella nostra quasi totale indifferenza, (https://ilmanifesto.it/l-isis-assalta-il-carcere-prigionieri-in-rivolta-nel-rojava-e-battaglia/) a mettere un importante tassello nella necessità di saper collegare cause-effetto anche rispetto al dramma della famiglia di Mustafà, e a ricordarci che siamo parte della causa, è stata una fonte d’informazione non italiana, Jazeera English, la sezione in lingua inglese della tv del Qatar, col documentario di Lisa Camillo (4)“The Sardinian Factory of Death”, che fa raccontare direttamente a chi da anni vi si oppone cosa fa la fabbrica RWM di Domusnovas in Sardegna.
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