dedicato alla grande dignità di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi
Dedico a te, Patrizia, al tuo coraggio e alle tue lacrime di dignità, questo testo ispirato dalla Ballata delle madri di Pier Paolo Pasolini (leggetela qui) . S’intitola “Domandati che madri abbiano avuto”. Ricalco la stessa struttura della poesia di Pasolini per riscriverlo, rispondendogli e riattualizzando il canto, e così portarlo ai giorni nostri. Per pudore e riservatezza in tanti anni non avevo mai pubblicato un mio testo poetico su questo blog. Ma l’indignazione e le tue lacrime mi hanno spinto a farlo. Chiedo comprensione…
domandati che madri abbiano avuto
A Pier Paolo Pasolini
In ricordo di Carlo Giuliani, Francesco Lorusso, Giorgiana Masi, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi …
Quaggiù nell’assenza dei poeti
in queste strade a loro sconosciute
mi sto adattando agli ultimi presagi.
Solo. Finisco i versi. Ascolta il suono…
il grido del nemico nell’orecchio.
Ascolta… guarda…
quando evoca i riflessi di tragedie
non ha colpe lo sguardo…
Quaggiù nell’assenza dei poeti
il potere è vigliacco nella storia.
Poliziotti che corrono sfrenati
senza una pausa, per frenesia infinita.
Che vista hanno negli occhi?
Da dove sono nati? Hanno una madre?
Tu ne cantavi la semplicità.
Dimmi… lo chiedo a te…
La povertà
ne malediva le generazioni, tu
li chiamavi ragazzi
con accorata tenerezza cieca.
La rabbia è la paura di miseria…
È soggezione d’ignoranza…
Cresciuti in spazi stretti
nel nulla imprigionato che si scontra
con le pareti del suo stesso nulla,
costretti in repressioni familiari
di città epilettiche e razziste,
di dottrina dell’ordine e bisogno,
di religione e fanatismo ostile.
La radice cristiana mai estirpata
in loro sta, pietrificata, inerte.
Hanno avuto una madre?
Madri vili…
i volti modellati da un destino
che così può sfamare le apparenze
del giudizio che avanza confortante
e che valuta e impone la misura.
Madri mediocri…
i volti oppressi, addestrati a ubbidire,
a spostare all’indietro le parole,
soffocare l’urgenza di irruzioni
ed espellere i resti dell’amore.
Madri servili…
Volti d’argilla, quando il tempo è un velo
che acceca nella triste assuefazione
la noncuranza per chi è condannato
o sia infettato da un semplice male.
Madri feroci…
Volti domati, schierati sullo sfondo
della scena, tra squilli di fanfare,
che ripetono insulti ad alta voce
e sparano agli estranei, e invocano la legge.
Vili, mediocri, servi… feroci
i loro figli colpiscono altri figli
come orda di bestie
come branco famelico che sbrana
ogni preda isolata.
Quando vanno trionfanti a devastare
saziati dalla loro stessa lingua
livida di fascismo e manganello…
domandati che madri abbiano avuto.
Qui ancora ci illudiamo in ribellioni
bisbigliando la stessa cantilena
con litanie imprudenti, che da anni
cominciamo da capo all’infinito
mentre qualcosa di finale pesa,
risuona e batte sulla città Superba
a cui lavarsi non pulirà le tracce.
Il suo paesaggio ne riascolta il suono
Genova, incancellabile per sempre.
Qui non ho vie di fuga: resto
visibile… evidente… differenza…
Ancora non ci siamo allontanati.
Il mio scrivere si getta sulla vita.
Vengo dalla terra di Gramsci.
Proprio lui ci ha insegnato che la lotta
può somigliare alla felicità
e l’incertezza rivoluzionaria
ci nutre i dubbi dell’intelligenza.
Oggi
è coperta di sale questa terra
dove anche gli operai
si son fatti traditi e traditori.
Quaggiù, nell’assenza dei poeti
resto, sospinto da inverse traiettorie.
Un poeta bastardo, o con la schiena rotta,
non si riscalda al loro conformismo.
Resto: sebbene quel pensiero ti abbia ucciso
uccidendoti ancora.
Nel tribunale
col crocefisso della legge al muro
lo chiameranno equivoco, il futuro.
Bologna, 19 ottobre 2012