Oggi non riesco a non pensare a Jack, il mio caro amico che se n’è andato il giorno del compleanno di mio figlio Giordano Bruno, che per lui era proprio un nipotino.
Pubblico qui un ricordo della prima chitarrina che gli regalò (oggi Giordano è un vero musicista).
Tre mesi fa cominciammo una campagna di raccolta fondi per il #RAWA, l’Associazione delle donne Afghane.
Siamo stati travolti dai likes, ma dopo un periodo di sporadiche (e generose) adesioni, tutto si è spento… fermato… Cosa è successo? Le donne Afghane non hanno più bisogno? I talebani hanno finalmente concordato per un sistema che rispetti le donne e dia loro il ruolo che meritano? I regimi teocratici stanno per scomparire? Finalmente le bambine potranno andare a scuola, le donne al cinema e ai concerti, potranno lavorare e ci sarà un presidente donna?
Niente di tutto questo. La situazione non è cambiata, anzi… ora che si sono spenti i fari dei media e azzerati i LIKES, tutto è come prima. Anzi PEGGIO perché ormai l’opinione pubblica è distratta da altre cose. Pensavate che con un Like si risolvesse la situazione? No… è solo servito a scuotervi la coscienza per pochissimi secondi. A me il vostro “mi piace” non sposta nulla, anzi… ho pure il fastidio di dover pensare e pubblicare i post anche quando non ne avrei voglia. Alle donne Afghane invece la vostra offerta cambia molto.
NON CERCHIAMO LIKES MA SOSTEGNO CONCRETO
– – – CLICCATE E DONATE ! – – –
All’indirizzo https://bit.ly/sosrawa è possibile sostenere il RAWA (Revolutionary Association of Women from Afghanistan) aderendo ad un’azione artistica condivisa.
Tramite una donazione minima di 10 € otterrai una doppia opera comprendente:
– Il libro “Taliban” di Alberto Masala (introduzione di Jack Hirschman e copertina di Fabiola Ledda, in quattro versioni: Italiano, Inglese, Francese, Spagnolo);
– L’opera “L’ombra dei suoi passi” di Marco Colonna, da lui eseguita al clarinetto con Giulia Cianca (voce), Mario Cianca (contrabbasso), Ivo Cavallo (percussioni).
Come per l’edizione di vent’anni fa, niente andrà agli autori.
Collegandoti al link, potrai scaricare l’opera – libro e disco insieme – cliccando su “Buy Digital Album” e il ricavato delle donazioni sarà versato interamente al RAWA.
Aiutiamo la resistenza delle donne, sostieni il RAWA.
Oggi è il compleanno di Jack Hirschman. Il mio amico Jack avrebbe compiuto 88 anni. Il dolore per la sua scomparsa è intatto, profondo, grande.
La sera, dopo le letture e la cena, arrivati ai giri di grappe e vodka, cantavamo sempre a squarciagola e lui, che amava molto le canzoni di Theodorakis, era contento di avere in me un complice.
Ho scritto il testo che consiglio di ascoltare nel file sonoro:
ο Καημός – per Jack
Non siamo gli autori del nostro dolore, ma solo spettatori passivi e sofferenti.
Negli ultimi anni sono mancati molti tra i miei amici più cari. Scrittori, poeti, musicisti, con cui ho vissuto parti importanti della vita. Ogni tanto qualcuno mi chiama a ricordarli. E ogni volta che tento di farlo, rinnovo in me l’intero dolore della loro mancanza. Per questo non lo faccio volentieri.
Ma il mio silenzio ha anche altri motivi.
La morte impedisce che la parola di chi vi dimora possa tornare a emergere. A risuonare. Ostruisce per sempre gli interstizi che fino a poco prima erano attraversati dalla voce. Nell’oscurità della morte non risuona più nessun dettaglio, nessuna sfumatura del suono, nessuna risata. Tutto resta solo nella memoria. Finché potremo.
Perciò non si può parlare con la morte. Non si riesce a parlare con il caro amico. Le domande che continuiamo a rivolgergli non si trasformano più in dialogo. Resteranno per sempre senza risposta.
Jack era uno dei miei amici più cari. Per una trentina d’anni abbiamo condiviso momenti di poesia e di vita. Io ho presentato il suo primo libro italiano, “Quello che conta” tradotto per Mongolfiera da Bruno Gullì. La mia casa era un suo punto fermo. Era la sua casa. Con lui ho condiviso letture per decenni. Lui ha tradotto due miei libri e ne ha curato amorevolmente un terzo.
Ma non userò la sua morte per parlare di me, per apparire. E chiedo scusa alla cara Aggie, a tutti gli amici di Jack se taccio. Voi fate bene a parlare. La profondità del vostro amore è evidente. Però cercate di capirmi: oltre il mio sentire, tacere è anche parte della mia formazione culturale. Fino a cinquant’anni fa, nella cultura sarda, alcune donne erano pagate per piangere pubblicamente cantando il dolore. Mia madre, quando morì mio padre, finché gli estranei venivano per le condoglianze, si chiuse in una stanza. Non uscì per molti giorni. Disse che non doveva dare spettacolo con il suo pianto.
Per questo il mio dolore tace. Ogni mio dolore tace e non riesce a contenere l’eccesso di parole.
Jack, seduto nel mio cuore, lo sa. E ancora cantiamo ο Καημός.
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We are not the authors of our pain, but only passive and suffering spectators.
In recent years I have missed many of my closest friends. Writers, poets, musicians, with whom I lived important parts of my life. Every once in a while they call me to remember them. And every time I try to do so, I renew in myself the whole pain of their lack. That’s why I don’t like it.
But my silence has others more reasons.
Death prevents that the word of those who live there can come back to emerge. To resonate. Death obstructs forever the interstices that until recently were crossed by voice. In the darkness of death, no more details resound, no nuance of sound, no laughter. All this will remain only in the memory. As long as we can. Therefore, we cannot speak with the death. We cannot speak with our dear friend. The questions we continue to ask him are no longer transformed into dialogue. They will remain forever unanswered.
Jack was one of my closest friends. For about thirty years we shared moments of poetry and life. I was the one who presented his first Italian book, “Quello che conta” translated for Mongolfiera by Bruno Gullì. My home was his home. I shared public readings with him for decades. He translated two of my books and lovingly edited a third.
But I will not use his death to talk about me, to appear. And I apologize to dear Aggie and all of Jack’s friends for that. You are right to speak. The depth of your love for Jack is evident. But try to understand me: besides my feeling, being silent is also part of my cultural formation. Until fifty years ago, in Sardinian culture, women were paid specifically to cry publicly singing the pain. My mother, when my father died, locked herself for many days in a room; she didn’t leave until people came with condolences. She said she didn’t have to put on a show with her crying.
That is why my pain is silent. My every pain is silent and cannot contain the excess of words.
Jack, sitting in my heart, this knows. We are still singing ο Καημός.
Per sostenere il RAWA (Revolutionary Association of Women from Afghanistan) offriamo un’azione artistica condivisa:
Alberto Masala, col libro Taliban(a questo link la sua storia) introduzione di Jack Hirschman e copertina di Fabiola Ledda, in quattro versioni (Italiano, Inglese, Francese, Spagnolo).
Marco Colonna, che ha composto l’opera L’ombra dei suoi passi, da lui eseguita al clarinetto con Giulia Cianca (voce), Mario Cianca (contrabbasso), Ivo Cavallo (percussioni).
Come per l’edizione di vent’anni fa, niente andrà a noi. Voi scaricate l’opera, libro e disco insieme, noi versiamo il ricavato al RAWA
In Afghanistan è riapparso il terrore. Si torna indietro. Una volta aboliti i modesti progressi compiuti negli ultimi vent’anni, ancora una volta le donne vivranno nella paura, recluse, prede di stupri, lapidate, uccise. I talebani hanno già le liste di quelle da eliminare o vendere come schiave del sesso. Le bambine non torneranno più a scuola per paura di essere intimorite o perfino uccise, e, quelle che cresceranno, lo faranno senza libri, cinema, televisione, musica, destinate ad essere rinchiuse dentro il buio di un burqa, la loro definitiva tomba dove si potrà solo immaginarle vive. Brutalmente sottomesse al mehram (padre, fratello, marito) che scandirà il passo di tutta la loro esistenza.
Quel dominio maschile sarà totalitario. Avrà una marca omosessuale. E non mi si fraintenda: sto parlando dell’atroce deformazione patriarcale di un’omosessualità assolutista e omofoba, propria dei sistemi politico-religiosi che, anche in Islam, ha comunque tratto radici dalla nostra cultura cristiano-giudaica: feroce, maniacale, furiosamente oppressiva e violentemente escludente per le donne. La stessa delirante patologia che origina i femminicidi anche in Occidente. Talmente dolorosa per l’umanità da non meritare spazio per la comprensione né per alcuna giustificazione, e che si situa nello stesso orribile luogo del genocidio.
Non ha un centro la tenebra: difficile trovare parole capaci di raccontarla.
Già vent’anni fa l’ho fatto con voce e parola di donna. Ancora una volta affermo che, quando scrivo, trasvivo oltre me stesso per trasformarmi in ciò che sto scrivendo. Importa il risultato.
Impressionato dalla follia del sistema talebano, scrissi questi testi nell’aprile del 2001 con l’obiettivo di ricavare fondi per il RAWA, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan attiva fin dal 1978, che clandestinamente ha assistito e sostenuto le donne con libri, medicine e aiuti di ogni genere. Eroicamente, a rischio delle loro vite.
Negli anni niente è cambiato.
Le parole di allora sono drammaticamente attuali, cambia solo lo scenario. Mentre scrivo, termina una guerra. Come ogni guerra mi ha visto distante dalle sue assurde motivazioni. Si preparano anni di dolore. Continueranno a cadere vittime innocenti. E follie religiose o idee di supremazia etnica ancora percorrono il mondo. Con gli stessi criminali che hanno consumato la terra, estirpato le foreste, contaminato i mari. Dietro queste idee si occulta il denaro del mercato dell’oppio, un oleodotto, i traffici delle mafie multinazionali, lo sfruttamento di un capitalismo assassino senza scrupoli. Questo è il potere del patriarcato.
Ma attenzione: non sono folli. Stanno soltanto freddamente difendendo il loro profitto.
Ho un senso di rifiuto e distanza verso il dolore “pubblico”. È morto Jack Hirschman, grande poeta del mondo. Mio fondamentale amico e compagno di strada da oltre 30 anni. Tra le sue risate, dicevo sempre che dovevamo ringraziarlo per aver permesso alla poesia americana di chiudere il secolo con i suoi Arcani, togliendo questo carico appena in tempo a tutti gli altri. Con lui ho vissuto molti dei passaggi più importanti e felici della mia vita. Ci eravamo sentiti recentemente. Non mi aspettavo la sua morte improvvisa, che, almeno, è avvenuta nel sonno.
insieme a Sarajevo – foto Fabiola Ledda
Ci siamo voluti bene fin dal nostro primo incontro a Bologna. Già l’anno prima, in sua assenza, con Benn Posset (altro mio caro amico che non c’è più) avevo presentato il suo libro “Quello che conta” edito da Mongolfiera. Era il 1990 e solo due o tre persone in Italia avevano sentito parlare di Jack Hirschman.
Da allora abbiamo condiviso una vita fatta di letture, amicizie, lotte, amore, viaggi, esistenza… Ho cento foto che ci ritraggono, e in ognuna c’è una parte di noi.
Ora molti mi scrivono o pubblicano ricordi. Molti si aspettano che io scriva. Ringrazio tutti, ma ho voglia solo di tacere per un po’. Mi tengo il mio dolore. Non ne faccio un evento. Vi chiedo scusa per questo non sapendo se è bene o male.
Taccio. Mi distanzio dal dolore “social-mediatico”. So soltanto che è quello che davanti alla morte mi viene sempre di fare. Un abbraccio dolcissimo alla cara Aggie.
ENGLISH VERSION
I have a sense of rejection and distance from “public” pain.
Jack Hirschman, the world’s great poet, died. My fundamental friend and fellow traveler for over 30 years. Amid his laughter, I always said that we had to thank him for allowing American poetry to close the century with his Arcanes, removing this load just in time from everyone else.
With him I have lived many of the most important and happy passages of my life.
We had spoken recently. I didn’t expect his sudden death of him, which, at least, happened in his sleep.
We loved each other right from our first meeting in Bologna.
Already the year before, in his absence, with Benn Posset (another dear friend of mine who is no longer here) I presented his book “What matters” published by Mongolfiera. It was 1990 and only two or three people in Italy had heard of Jack Hirschman.
Since then we have shared a life of reading, friendships, struggles, love, travel, existence …
I have a hundred photos that portray us, and in each one there is a part of us.
Now many write to me, or publish memories. Many expect me to write. I thank everyone, but I just want to be quiet for a while. I keep my pain. I don’t make it an event.
I apologize for this not knowing if it is good or bad.
I am silent. I distance myself from the “social-media” pain.
I only know that this is what I always do in the face of death.
A sweetest hug to dear Aggie.
Gli piaceva essere chiamato Lorenzo. Era fiero e felice delle sue origini italiane.
Ora tanti ricordi…
Su tutti l’ultima visita in Italia.
Laura Zanetti mi aveva chiesto di tradurlo (Underwear) e accompagnarlo a Roma per affiancarlo nella lettura dei suoi testi in italiano. Lì ebbi una lezione di vita che non dimentico.Con Laura eravamo nella hall del suo albergo al centro di Roma, poco prima di andare al Campidoglio dove gli avrebbero concesso la cittadinanza onoraria. Aspettavamo che venissero a prenderlo. Io stavo in un angolo col muso lungo e soprappensiero, preda dei miei problemi di coscienza. Avevano appena eletto Gianni Alemanno a sindaco di Roma, il quale ereditava dalla precedente amministrazione Veltroni le pratiche già in corso. Fra queste, appunto, la cittadinanza a Ferlinghetti. “Io non vado da un sindaco fascista, non ci riesco” dissi a testa bassa senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Ma non volevo essere un problema né un fastidio, né tantomeno mettere ombra sulla contentezza di Lawrence, che si vedeva italianizzato e riconosciuto da quella che considerava la sua vera patria d’origine. Per lui questo evento era una festa grande e molto importante. “Ti accompagno lì e ti aspetto fuori. Quando hai finito mi trovi sulla porta”. Lui mi guardò fisso con i suoi occhi di cielo e, con la sua voce velata e tranquilla, mi disse: “Io non vado a parlare con un sindaco, vado ad incontrare i romani”. Ecco smontate le mie stupide rigidità dalla sua dolce sicurezza e determinazione. Non avevo parole.
Entrai nella sala riempita da un centinaio di giornalisti che, come da sempre vedevo fare con i Beats, erano alla ricerca della nota di colore o in attesa della stranezza. Ferlinghetti si comportò con la solita eleganza di gesti che lo distingueva. Dopo una patetica introduzione di Alemanno, che aveva acrobaticamente preso a pretesto la Beat generation per parlare di Pound e dei campi Hobbit che avevano formato la sua gioventù, ci fu il suo discorso che cominciava così: “Da giovane ero anarchico, poi contro la guerra in Vietnam e col movimento del sessantotto, poi col Che Guevara, infine col comandante Marcos. Adesso sono Zapatista”.
A quell’affermazione dalla schiera dei cento giornalisti si levò limpida una voce che ne definiva inesorabilmente la caratura: “Nel senso di Zapatero?”. L’improvvido giornalista si era consegnato all’eternità insieme al suo degno sindaco. Era il compendio che mi ripagava di tutti i precedenti dubbi: era stato giusto essere lì e poter vedere fino in fondo.
Chiudo questo discorso ricordandone la generosità…
A Lawrence Ferlinghetti devo molta riconoscenza: mi ha sempre sostenuto in tanti modi con quella sua leggerezza che non chiedeva mai niente in cambio.
A San Francisco, grazie alle traduzioni e alla cura del caro Jack Hirschman, ho pubblicato tre libri. Appena uscivano, trovavano immeritatamente posto nella vetrina di City Lights insieme ai prestigiosi titoli italiani di Dante, Calvino e Pasolini, suoi amori mai assenti. Mi emozionano ancora le foto che mi spediva Jack… Così In the Executioner’s house,Alphabet of Streets, ma soprattutto Taliban (in due diverse edizioni)… che si esaurì in poco tempo. E da quella stessa libreria partirono gli assegni delle mie vendite a sostegno del RAWA, l’associazione delle donne afghane per cui l’avevo scritto….
A lui, oltre alla pubblicazione (tra gli altri) di Kerouac e Burroughs, il merito di aver combattuto e, dopo essere finito in prigione, aver vinto in tribunale per Howl, il grandissimo capolavoro di Allen Ginsberg, l’Urlo simbolo di un’intera generazione che è arrivato a noi grazie alla sua fermezza.
E come dimenticare che, quando Gregory (Corso) abitava a casa mia, era sempre lui il santo a cui si rivolgeva per ogni difficoltà? E che puntualmente lui rispondeva spedendogli soldi (insieme a qualche libro per me).
Un vecchio andava tutte le sere a cantare il tramonto in una grotta in cima alla montagna. E tutte le sere un bambino lo seguiva per osservarlo a distanza. Un giorno il bambino gli domandò: «Canti da solo. La tua gente è dispersa, disgregata, sterminata dall’alcool, la fatica, la fame, le droghe, il carcere… Ormai parlano solo la lingua dell’impero e non sono nemmeno in grado di capirti… ridono di te… perché continui a cantare? Sei rimasto solo.» Il vecchio rispose: «Se non cantassi vorrebbe dire che hanno preso anche me.»
(da Geometrie di Libertà, di Alberto Masala)
a Jack Hirschman, Jonathan Richman, Aggie Falk, Randy Fingland
alla loro solida resistenza, grazie.
Finalmente è arrivato!
Alphabet of Streets, il mio terzo libro americano, dopo Taliban e In the Executioner’s house, tradotti da Jack Hirschman, è arrivato proprio il giorno dell’elezione di Donald Trump. Voglio considerarlo un piccolo messaggio di resistenza a quel lato arrogante e razzista dell’America che oggi viene ancora una volta trasportata in una dimensione estremamente pericolosa per il mondo intero. Un libro, sebbene sia una minima cosa, resta sempre un segnale resistente, e non solo mio, ma sopratutto degli intellettuali americani come Jack Hirschman, che ne ha curato l’edizione, Jonathan Richman, che ne ha fatto l’ottima traduzione, Agneta Falk, che ne ha illustrato la copertina con la riproduzione di un suo bel dipinto, e Randy Fingland, l’eroico e preziosissimo editore, oltre che poeta anche lui. Tutti artisti ed intellettuali che danno forti segnali di differenza in un’America che oggi si mostra appiattita sull’ignoranza e la paura. Questo loro lavoro per me è bello ed importante. Con questo libro, come il vecchio sulla montagna, continuiamo a cantare il tramonto. Resistendo ancora.
La nota introduttiva di Jack Hirschman:
Sono onorato – in quanto traduttore di due libri di Alberto Masala – Taliban, e In the Executoner’s House – di poter dire due parole su Jonathan Richman, il traduttore di questo libro, una selezione di poesie di Masala, anche se Jonathan scriverà egli stesso alcune note di prefazione, così come l’autore, prima che si dia avvio ai testi.
Io non sapevo che Jonathan fosse un cantautore e un performer conosciuto in campo internazionale (in effetti avevo sentito in giro che aveva scritto “uno dei migliori pezzi di rock&roll di tutti i tempi”, cioè “Roadrunner”). Lui e la sua compagna Nicole erano tra gli amici di Matt Gonzalez, il coraggioso candidato del Green Party che nel 2003 ispirò la più bella elezione cittadina per un sindaco fin dalla seconda guerra mondiale; furono invitati al mio matrimonio con la poetessa e pittrice svedese Agneta Falk, che ebbe luogo nel giardino di Matt nel quartiere Mission di San Francisco il 5 giugno 1999.
Da allora in poi Jonathan ed io diventammo amici. Appresi che era un appassionato della lingua italiana e che ci saremmo incontrati al Caffè Trieste dove sarebbe venuto dopo aver rinfrescato il suo italiano nei corsi dell’Istituto Italiano di Cultura qui nel North Beach.
Quando Alberto Masala mi spedì il suo Alfabeto di strade, pubblicato in Italia, lo lessi con piacere per i testi che abbracciavano tutta una serie di poesie di Masala fino ad allora per me sconosciute: omaggi a Pasolini, per esempio, e a Majakovskij. Passai il libro a Jonathan che, poco tempo dopo, espresse un tale entusiasmo per le poesie di Masala che gli suggerii di mettersi alla prova nella traduzione dell’intero libro. Lo avrei assistito come editor delle traduzioni, e Alberto, che ha tradotto qualche poeta americano come Jack Kerouac, naturalmente avrebbe anche lui partecipato alla stesura finale.
Per quelli che non hanno familiarità con il lavoro di Masala, mi si lasci dire che lui è fra i migliori poeti italiani contemporanei. Il suo libro Taliban, composto sui 32 precetti dei Talebani destinati a sottomettere le donne, ad ognuno dei quali Alberto, assumendo le voci delle donne, risponde con splendide brevi poesie.
In questo libro, la portata e la profondità della visione della vita di Masala si manifestano in poemi di eccezionale genialità e immaginazione, includendo il lavoro che comprende non soltanto l’italiano, ma il francese ed il suo amato sardo, la lingua della sua Sardegna nativa.
Mentre negli USA l’essere anarchico spesso si riduce a cose come farsi delle canne (marijuana), in Europa questo emerge con una coscienza di classe che spesso è notevolmente vicina alle lotte del comunismo. Masala è uno di questi anarchici che sono molto vicini a una dimensione Marxista, ed ecco perché gli omaggi a Pasolini e Majakovskij sono così vicini al suo cuore.
Con Masala al timone italiano e Richman che porta l’italiano alla riscrittura traduttiva con una virtuosità linguistica molto ben disposta verso la coscienza poetica americana, il lettore certamente riconoscerà che questo è un capolavoro della poesia italiana contemporanea.
Jack Hirschman, Laureato Poeta Emerito di San Francisco
english version
An old man went every night to sing the sunset in a cave on the mountain top. And every night a child followed him to observe him from a distance. One day the child asked: «You sing alone. Your people are scattered, broken up, exterminated by alcohol, fatigue, hunger, drugs, prison… Now only they speak the language of the empire, and are not even able to understand you … they laugh at you … why do you continue to sing? You’re left alone…». The old man replied: « If I do not sing would mean that they also took me ».
From “Geometrie di libertà” of Alberto Masala
to Jack Hirschman, Jonathan Richman, Aggie Falk, Randy Fingland
to their solid resistance, thanks.
… Alphabet of Streets, my third American book, after Taliban and In the Executioner’s house, all translated by Jack Hirschman, it came just the day of the election of Donald Trump. I want to consider this like a small message of resistance to the arrogant and racist side of America which today is once again transported in an extremely dangerous dimension for the whole world. A book, although it is a little thing, always remains a strong signal, and not only mine, but above all of those American intellectuals like Jack Hirschman, who took care of the edition, Jonathan Richman, who made the excellent translation, Agneta Falk, who illustrated the cover with a reproduction of one of his beautiful painting, and Randy Fingland, the heroic and precious publisher, as well a poet, too. All artists and intellectuals who give strong signals of difference in an America that now seems to be flattened on ignorance and fear. Their work to me is beautiful and important. With this book, like the old man on the mountain, we continue to sing the sunset. Still resisting.
Alphabet of streets – translated by Jonathan Richman – edited by Jack Hirschman cc Marimbo press, Berkeley CA USA – ISBN 978-1-930903-86-3
Questo testo può apparire debole e rinunciatario – ma rappresenta la mia condizione di impotenza attuale rispetto a come l’occidente sta gestendo l’arroganza e la falsità delle tesi israeliane: un regime teocratico e sanguinario, violento e determinato allo sterminio, che non ha nessuna opposizione da parte dei governi “occidentali”. Davanti a ciò che succede a Gaza sono disperato e impotente: oggi non potevo scrivere un testo differente da questo, anche se avrei voluto farlo.
This text may appear weak and renunciative – but it represents my current state of helplessness with respect to how Western civilization is managing the arrogance and falsity of the Israeli thesis: a theocratic bloody regime, violent and determined to exterminate, which has no opposition on the part of Western governments. Before what is happening in Gaza I’m desperate and helpless: today I couldn’t write a text different from this one, even if I wanted to.
Alberto Masala: testo e voce
Marco Colonna: clarinetto basso e FX
questo film racconta la terribile storia del sionismo molto bene
The zionist story sottotitolato in italiano
Un film indipendente di Ronen Berelovich è la storia del sionismo e dell’applicazione pratica di questa ideologia nella creazione dello stato di Israele. La pulizia etnica, il colonialismo e l’apartheid usati verso la popolazione palestinese per produrre uno stato ebraico demograficamente “puro”. Ronen Berelovich è un cittadino israeliano e ha fatto anche parte dell’esercito israeliano come riservista, esperienza che gli ha mostrato l’occupazione in prima persona.
Taliban non finisce mai… mentre ero sotto la doccia suona il corriere con i pacchi delle copie del libro appena ristampato negli USA da Marimbo. I libri erano imballati con una copia accartocciata del 31 dicembre 2013 del San Francisco Chronicle and Bay Area, così posso anche leggermi un po’ di notizie da laggiù…
nel retro c’è scritto:
To give voice to words is of Sardinian essence. And Masala has always allowed that essence to be essential to the way he looks at life and expresses himself. Thus, combining Sardinian esprit, Italian brilliance and a culturally political awareness at home and abroad, it’s little wonder he should have chosen to engage the situation involving the Taliban. The prohibitions that precede each of the 32 short poems read like a litany of horrible decrees. The poems which follow each prohibition are almost dialectic responses to the decrees, whether in fear of them, or submission or resistance to them. (Jack Hirschman from the Introduction)
L’immagine di copertina è stata scattata in un bosco di Mostar, in Bosnia, da Fabiola Ledda.
Una discarica di ciabatte da donna in stile turco (quindi musulmane) dopo la pulizia etnica.
TALIBAN, The 32 Precepts for the Women
translated by Jack Hirschman with Raffaella Marzano
$ 14
Jack Hirschman, uno dei più importanti poeti del mondo, autore di Arcanes, ha compiuto ottant’anni.
Siamo amici e compagni di strada da più di vent’anni, forse trenta, condividendo libri, letture e festivals in Italia, Germania, Bosnia, Iraq, USA, e non ricordo dove ancora… Jack mi sorprende sempre, e anche stavolta ci è riuscito: quando l’ho cercato per fargli gli auguri e dirgli quanto gli voglio bene, è stato lui a precedermi facendomi il regalo. Ecco qui sotto la mail che mi ha spedito per dirmi che negli USA è uscito ancora Taliban (con la sua traduzione e introduzione). Un piccolo libro, ma molto resistente: tra USA, Francia e Italia è ormai la quinta volta che viene stampato…
GRAZIE JACK. AUGURI, Abbracciebaci a te e Aggie!
“Bravo, caro Alberto—-Good words to me and good words on you,and here’s the third good: Taliban came out yesterday with Fabi’s photo BIG on the cover!!
Wait’ll you both see it.
25 copies are in the mail to you. Complementi! Abbracciebaci—Jack and from Aggie too”
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