Pubblico qui un ricordo della prima chitarrina che gli regalò (oggi Giordano è un vero musicista).
Qui sotto il ricordo di un compleanno con lui
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e del primo compleanno senza di lui
Mando un pensiero dolce alla cara Aggie.
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Non siamo gli autori del nostro dolore, ma solo spettatori passivi e sofferenti.
Negli ultimi anni sono mancati molti tra i miei amici più cari. Scrittori, poeti, musicisti, con cui ho vissuto parti importanti della vita. Ogni tanto qualcuno mi chiama a ricordarli. E ogni volta che tento di farlo, rinnovo in me l’intero dolore della loro mancanza. Per questo non lo faccio volentieri.
Ma il mio silenzio ha anche altri motivi.
La morte impedisce che la parola di chi vi dimora possa tornare a emergere. A risuonare. Ostruisce per sempre gli interstizi che fino a poco prima erano attraversati dalla voce. Nell’oscurità della morte non risuona più nessun dettaglio, nessuna sfumatura del suono, nessuna risata. Tutto resta solo nella memoria. Finché potremo.
Perciò non si può parlare con la morte. Non si riesce a parlare con il caro amico. Le domande che continuiamo a rivolgergli non si trasformano più in dialogo. Resteranno per sempre senza risposta.
Jack era uno dei miei amici più cari. Per una trentina d’anni abbiamo condiviso momenti di poesia e di vita. Io ho presentato il suo primo libro italiano, “Quello che conta” tradotto per Mongolfiera da Bruno Gullì. La mia casa era un suo punto fermo. Era la sua casa. Con lui ho condiviso letture per decenni. Lui ha tradotto due miei libri e ne ha curato amorevolmente un terzo.
Ma non userò la sua morte per parlare di me, per apparire. E chiedo scusa alla cara Aggie, a tutti gli amici di Jack se taccio. Voi fate bene a parlare. La profondità del vostro amore è evidente. Però cercate di capirmi: oltre il mio sentire, tacere è anche parte della mia formazione culturale. Fino a cinquant’anni fa, nella cultura sarda, alcune donne erano pagate per piangere pubblicamente cantando il dolore. Mia madre, quando morì mio padre, finché gli estranei venivano per le condoglianze, si chiuse in una stanza. Non uscì per molti giorni. Disse che non doveva dare spettacolo con il suo pianto.
Per questo il mio dolore tace. Ogni mio dolore tace e non riesce a contenere l’eccesso di parole.
Jack, seduto nel mio cuore, lo sa. E ancora cantiamo ο Καημός.
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We are not the authors of our pain, but only passive and suffering spectators.
In recent years I have missed many of my closest friends. Writers, poets, musicians, with whom I lived important parts of my life. Every once in a while they call me to remember them. And every time I try to do so, I renew in myself the whole pain of their lack. That’s why I don’t like it.
But my silence has others more reasons.
Death prevents that the word of those who live there can come back to emerge. To resonate. Death obstructs forever the interstices that until recently were crossed by voice. In the darkness of death, no more details resound, no nuance of sound, no laughter. All this will remain only in the memory. As long as we can. Therefore, we cannot speak with the death. We cannot speak with our dear friend. The questions we continue to ask him are no longer transformed into dialogue. They will remain forever unanswered.
Jack was one of my closest friends. For about thirty years we shared moments of poetry and life. I was the one who presented his first Italian book, “Quello che conta” translated for Mongolfiera by Bruno Gullì. My home was his home. I shared public readings with him for decades. He translated two of my books and lovingly edited a third.
But I will not use his death to talk about me, to appear. And I apologize to dear Aggie and all of Jack’s friends for that. You are right to speak. The depth of your love for Jack is evident. But try to understand me: besides my feeling, being silent is also part of my cultural formation. Until fifty years ago, in Sardinian culture, women were paid specifically to cry publicly singing the pain. My mother, when my father died, locked herself for many days in a room; she didn’t leave until people came with condolences. She said she didn’t have to put on a show with her crying.
That is why my pain is silent. My every pain is silent and cannot contain the excess of words.
Jack, sitting in my heart, this knows. We are still singing ο Καημός.
Alberto Masala
Jack’s birthday – 2021
In Afghanistan è riapparso il terrore. Si torna indietro. Una volta aboliti i modesti progressi compiuti negli ultimi vent’anni, ancora una volta le donne vivranno nella paura, recluse, prede di stupri, lapidate, uccise. I talebani hanno già le liste di quelle da eliminare o vendere come schiave del sesso. Le bambine non torneranno più a scuola per paura di essere intimorite o perfino uccise, e, quelle che cresceranno, lo faranno senza libri, cinema, televisione, musica, destinate ad essere rinchiuse dentro il buio di un burqa, la loro definitiva tomba dove si potrà solo immaginarle vive. Brutalmente sottomesse al mehram (padre, fratello, marito) che scandirà il passo di tutta la loro esistenza.
Quel dominio maschile sarà totalitario. Avrà una marca omosessuale. E non mi si fraintenda: sto parlando dell’atroce deformazione patriarcale di un’omosessualità assolutista e omofoba, propria dei sistemi politico-religiosi che, anche in Islam, ha comunque tratto radici dalla nostra cultura cristiano-giudaica: feroce, maniacale, furiosamente oppressiva e violentemente escludente per le donne. La stessa delirante patologia che origina i femminicidi anche in Occidente. Talmente dolorosa per l’umanità da non meritare spazio per la comprensione né per alcuna giustificazione, e che si situa nello stesso orribile luogo del genocidio.
Non ha un centro la tenebra: difficile trovare parole capaci di raccontarla.
Già vent’anni fa l’ho fatto con voce e parola di donna. Ancora una volta affermo che, quando scrivo, trasvivo oltre me stesso per trasformarmi in ciò che sto scrivendo. Importa il risultato.
Impressionato dalla follia del sistema talebano, scrissi questi testi nell’aprile del 2001 con l’obiettivo di ricavare fondi per il RAWA, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan attiva fin dal 1978, che clandestinamente ha assistito e sostenuto le donne con libri, medicine e aiuti di ogni genere. Eroicamente, a rischio delle loro vite.Negli anni niente è cambiato.
Le parole di allora sono drammaticamente attuali, cambia solo lo scenario. Mentre scrivo, termina una guerra. Come ogni guerra mi ha visto distante dalle sue assurde motivazioni. Si preparano anni di dolore. Continueranno a cadere vittime innocenti. E follie religiose o idee di supremazia etnica ancora percorrono il mondo. Con gli stessi criminali che hanno consumato la terra, estirpato le foreste, contaminato i mari. Dietro queste idee si occulta il denaro del mercato dell’oppio, un oleodotto, i traffici delle mafie multinazionali, lo sfruttamento di un capitalismo assassino senza scrupoli. Questo è il potere del patriarcato.
Ma attenzione: non sono folli. Stanno soltanto freddamente difendendo il loro profitto.
Io non combatterò per loro.
Alberto Masala – 2021
ENGLISH VERSION
I have a sense of rejection and distance from “public” pain.
Jack Hirschman, the world’s great poet, died. My fundamental friend and fellow traveler for over 30 years. Amid his laughter, I always said that we had to thank him for allowing American poetry to close the century with his Arcanes, removing this load just in time from everyone else.
With him I have lived many of the most important and happy passages of my life.
We had spoken recently. I didn’t expect his sudden death of him, which, at least, happened in his sleep.
We loved each other right from our first meeting in Bologna.
Already the year before, in his absence, with Benn Posset (another dear friend of mine who is no longer here) I presented his book “What matters” published by Mongolfiera. It was 1990 and only two or three people in Italy had heard of Jack Hirschman.
Since then we have shared a life of reading, friendships, struggles, love, travel, existence …
I have a hundred photos that portray us, and in each one there is a part of us.
Now many write to me, or publish memories. Many expect me to write. I thank everyone, but I just want to be quiet for a while. I keep my pain. I don’t make it an event.
I apologize for this not knowing if it is good or bad.
I am silent. I distance myself from the “social-media” pain.
I only know that this is what I always do in the face of death.
A sweetest hug to dear Aggie.
Alphabet of streets – translated by Jonathan Richman – edited by Jack Hirschman
cc Marimbo press, Berkeley CA USA – ISBN 978-1-930903-86-3
Questo testo può apparire debole e rinunciatario – ma rappresenta la mia condizione di impotenza attuale rispetto a come l’occidente sta gestendo l’arroganza e la falsità delle tesi israeliane: un regime teocratico e sanguinario, violento e determinato allo sterminio, che non ha nessuna opposizione da parte dei governi “occidentali”. Davanti a ciò che succede a Gaza sono disperato e impotente: oggi non potevo scrivere un testo differente da questo, anche se avrei voluto farlo.
Un film indipendente di Ronen Berelovich è la storia del sionismo e dell’applicazione pratica di questa ideologia nella creazione dello stato di Israele. La pulizia etnica, il colonialismo e l’apartheid usati verso la popolazione palestinese per produrre uno stato ebraico demograficamente “puro”. Ronen Berelovich è un cittadino israeliano e ha fatto anche parte dell’esercito israeliano come riservista, esperienza che gli ha mostrato l’occupazione in prima persona.
Taliban non finisce mai… mentre ero sotto la doccia suona il corriere con i pacchi delle copie del libro appena ristampato negli USA da Marimbo. I libri erano imballati con una copia accartocciata del 31 dicembre 2013 del San Francisco Chronicle and Bay Area, così posso anche leggermi un po’ di notizie da laggiù…
nel retro c’è scritto:
To give voice to words is of Sardinian essence. And Masala has always allowed that essence to be essential to the way he looks at life and expresses himself. Thus, combining Sardinian esprit, Italian brilliance and a culturally political awareness at home and abroad, it’s little wonder he should have chosen to engage the situation involving the Taliban. The prohibitions that precede each of the 32 short poems read like a litany of horrible decrees. The poems which follow each prohibition are almost dialectic responses to the decrees, whether in fear of them, or submission or resistance to them. (Jack Hirschman from the Introduction)
L’immagine di copertina è stata scattata in un bosco di Mostar, in Bosnia, da Fabiola Ledda.
Una discarica di ciabatte da donna in stile turco (quindi musulmane) dopo la pulizia etnica.
TALIBAN, The 32 Precepts for the Women
translated by Jack Hirschman with Raffaella Marzano
$ 14