06. Febbraio 2008 · Commenti disabilitati su boicottare Israele? direi di sì… · Categorie:attivismo, blog news, nel sociale · Tag:, , , ,

conosco personalmente e stimo Aharon Shabtai: pochi mesi fa eravamo insieme a San Francisco invitati da Jack Hirschman. Credo che sia importante, in questo momento in cui si discute del boicottaggio di Israele al Salone del libro, ascoltare la sua voce.
Ho preso
l’intervista fatta da Michelangelo Cocco per il Manifesto e la riporto qui integralmente.

«È un’occasione di propaganda, per questo io, israeliano, non sarò al Salone di Parigi» – Il poeta Aharon Shabtai declina l’invito a partecipare all’evento culturale francese e accusa la deriva di destra del suo paese, che solo un intervento dell’Europa potrà arginare
Per le sue traduzioni dei Tragici, dal greco classico all’ebraico moderno, gli fu attribuito nel 1993 il Premio del primo ministro israeliano. Era il periodo del processo di pace di Oslo e Aharon Shabtai credeva che il governo fosse intenzionato a fare la pace con i palestinesi. Accettò l’ambìto riconoscimento. Qualche settimana fa invece il poeta, uno dei più famosi nello Stato ebraico, ha declinato l’invito rivoltogli a partecipare al Salone del libro di Parigi. Nato nel 1939 a Tel Aviv, autore di una ventina di raccolte di poesie e conosciuto all’estero soprattutto per «J’accuse» – in cui si scaglia contro il governo e la società del suo paese – è uno dei più radicali nella pattuglia di intellettuali «dissidenti». Secondo Shabtai, che ha risposto al telefono alle domande del manifesto, lo Stato ebraico sarebbe in preda a una deriva di destra che potrebbe essere arginata solo da un intervento dell’Europa, il Continente dei Lumi che dovrebbe aiutare «l’apartheid israeliana» a compiere una svolta come quella impressa al Sudafrica dall’ex presidente De Klerk.

Aharon Shabtai, perché ha rifiutato l’invito di Parigi a partecipare al Salone del libro?
Perché ritengo che si tratti di un’occasione di propaganda, in cui Israele si metterà in mostra come uno Stato con una cultura, dei poeti, ma nascondendo che in questo momento sta compiendo dei terribili crimini contro l’umanità. Lo stesso presidente Shimon Peres, responsabile del massacro di dieci anni fa a Kfar Kana (in Libano), parteciperà. Per me sarebbe stato impossibile andare a leggere i miei testi a Parigi.

Qual è l’immagine dell’altro – del palestinese – riflessa dalla letteratura israeliana?
Nel sionismo – uno dei frutti del nazionalismo dell’800 – c’erano elementi positivi: l’idea che gli ebrei, reduci dalle persecuzioni in Europa, venissero qui in Israele acquistando libertà e indipendenza. Ma ora ci siamo trasformati in uno stato coloniale, con i giornali che fanno propaganda razzista contro gli arabi e i musulmani. Siamo un popolo avvelenato da questa propaganda. La maggior parte della letteratura «mainstream» è completamente egocentrica: non è interessata all’altro, rappresenta la vita della borghesia e si occupa di problemi psicologici. La nostra letteratura non ha a cuore i problemi morali cruciali di questo momento storico. Si configura soprattutto come intrattenimento borghese. In questo contesto la maggior parte degli scrittori si dichiara in termini generali «per la pace», ma quando c’è da prendere una decisione per fare qualcosa di «aggressivo» si schiera col governo, come durante l’ultima guerra in Libano, quando Yehoshua, Grossman e Oz hanno scritto sui giornali che si trattava di un conflitto giusto. All’estero dipingono l’immagine di un Israele liberale, ma sono parte integrante del sistema.

Ma il governo israeliano è ufficialmente impegnato in colloqui di pace con l’Autorità nazionale palestinese e ammette l’urgenza di dare ai palestinesi uno stato, anche se solo in una parte del 22% della Palestina storica.
Il problema non è lo Stato, ma la terra. Qui i giornali ne parlano apertamente, ogni giorno, molto più che in Italia e in Europa: gli insediamenti, la confisca di territorio, il controllo dell’acqua da parte delle autorità israeliane aumentano di giorno in giorno. Questi sono i fatti, molto diversi dalla propaganda utilizzata dal governo: i palestinesi non hanno più un territorio.

Che significato ha per lei il 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico?
Dopo sessanta anni ci troviamo di fronte a un bivio: o continuare a essere uno stato coloniale e proseguire con la guerra, mettendo seriamente in pericolo il futuro d’Israele perché – non dobbiamo dimenticarlo – viviamo in Medio Oriente, non in California. L’alternativa è fare come (l’ex presidente sudafricano) De Klerk: invertire la rotta e provare a dare ai palestinesi pieni diritti sulla loro terra, cercando di creare un uovo sistema di pace. Altrimenti non sopravvivremo né da un punto di vista morale, né come stato, perché la guerra si espanderà a tutto il Medio Oriente.

Alcuni gruppi della sinistra italiana sono pronti a boicottare la Fiera del libro di Torino, mentre la sinistra istituzionale si oppone perché, sostiene, il boicottaggio va contro i principi stessi della cultura, provoca reazioni negative e gli intellettuali non sono responsabili delle azioni dei loro governi.
Quello che affermano è assurdo: durante il periodo hitleriano o durante l’apartheid intellettuali come Brecht e tanti altri si univano per combattere il fascismo e il segregazionismo. Gli intellettuali, assieme alle organizzazioni di base, contribuirono alla fine dell’apartheid. Gli intellettuali – che devono essere liberi – dovrebbero partecipare al boicottaggio. Un aiuto dall’Europa, che boicotti Israele non in quanto tale, ma in quanto establishment politico militare che sostiene l’occupazione, è l’unica possibilità di salvare i palestinesi e noi, gli ebrei d’Israele.

Da dieci anni, dal tramonto del movimento pacifista, siete fermi a un migliaio di «dissidenti» che manifestano contro la guerra. Perché non riuscite a raggiungere un’audience più ampia?
Perché in Israele tutte le televisioni e tutti i giornali educano la gente al nazionalismo, con un lavaggio del cervello quotidiano. Ora sono seduto, qui nel mio appartamento, e posso sentire distintamente il mio vicino che sta dicendo: «Gli arabi non sono un popolo, sono barbari, avremmo dovuto colpirli con la bomba atomica». Quello che afferma l’ha imparato dai mass media, che creano panico e rabbia mentre i politici collaborano con l’establishment militare. Viviamo in una situazione orwelliana: ogni giorno la tv ripete quanto sia terribile vivere a Sderot, dove quasi nessuno viene ucciso. A due passi dalla cittadina israeliana c’è l’inferno di Gaza, che è diventata un ghetto.

Ma cosa possiamo augurarci in un futuro prossimo?
Io spero nell’aiuto degli europei, che i discendenti di Voltaire e Rousseau aiutino Israele, perché Israele non finirà l’occupazione fin quando l’Europa non gli dirà «basta», perché Israele dipende dall’Europa e dagli Stati Uniti. Solo una pressione da parte dei paesi civili e democratici può cambiare la situazione e riportarci la felicità. La situazione attuale – in cui a dettar legge è l’esercito – non può essere cambiata dall’interno. Per i valori di cui è portatrice, l’Europa non può continuare a collaborare con Israele. Io spero che in un anno o due l’Europa possa cambiare rotta.

 

solo le donne devono avere voce e autorità sulla 194

ormai siamo alla follia pura, al nazismo esplicito, all’integralismo più retrivo che afferma un potere arbitrario basato su false percentuali di consenso e di appartenenza

una volta per tutte: con quale autorità un monarca assoluto di uno stato inesistente, basato solo sul potere e l’arroganza, si permette di parlare in mio nome? come si permette di pronunciare per me la parola spirito… la parola amore… la parola vita…?

affidereste i vostri migliori sentimenti, le vostre più profonde tensioni spirituali alla gestione di un millantatore sessuofobo e misogino? alla sua organizzazione capillare di loschi affari? a dei mentitori che, prendendoci per cretini, ci minacciano con l’inferno?

Humana ante oculos foede cum vita iaceret
in terris oppressa gravi sub religione
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans…

 

un gesto civile:
sbattezzarsi, uscire dalla chiesa, non alimentare lo share


e questo blog

che guarda il cielo senza mediatori
forte della propria coscienza etica
con consapevole autonomia spirituale
condanna il papa e i suoi loschi compari

 

 

 

ho trovato questo post su SORELLE D’ITALIA – sito intelligente che consiglio davvero
e sul blog di Giuliana Dea queste indicazioni che si prega di seguire scrupolosamente

 

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Afghanistan – 13.12.2007

Le donne di Kandahar hanno dato vita a un movimento pacifista nazionale

Le donne afghane escono allo scoperto in pubblico per chiedere la pace, la fine della guerra e della violenza che da trent’anni insanguina il loro paese. Un evento epocale per l’Afghanistan, dove le donne non hanno mai osato schierarsi pubblicamente.

“Siamo stanche della morte”.

Ieri, migliaia di donne si sono riunite contemporaneamente in sei diverse province afghane per pregare per la pace. L’iniziativa, denominata ‘Preghiera nazionale delle donne per la pace‘, è stata coordinata da un gruppo di donne di Kandahar. “E’ la prima volta nella storia dell’Afghanistan che le donne si organizzano a livello nazionale per chiedere la pace”, dice Rangina Hamidi, una delle organizzatrici. Siamo stanche della morte e vogliamo urlarlo forte. Per farlo abbiamo scelto la religione. Trattandosi di una cosa religiosa i nostri mariti non si sono opposti a questa iniziativa di preghiera”.

Il debutto delle donne per la pace era avvenuto circa un anno fa, con una giornata di preghiera che interessava solo le province di Kandahar e Helmand. “Con l’estendersi delle violenze in tutto il Paese, anche le donne di altre province hanno sentito la necessità di unire le loro voci alle nostre per chiedere la pace”, ha spiegato Hamidi. “La preghiera di ieri è stata solo l’inizio di un vero movimento nazionale: il nostro obiettivo è di estenderlo a tutte le trentaquattro province afghane”.

www.rawa.org

dal sito di Gianni Minà questo articolo di Gennaro Carotenuto

Cosa succederebbe in Italia se un pregiudicato romeno ubriaco investisse sulle strisce una signora italiana con due bambini e la riducesse in fin di vita? La risposta è facile, diverrebbe in un lampo prima notizia su tutti i media e molti sciacalli sarebbero pronti a organizzare fiaccolate, a chiedere mano dura, espulsioni e a fare passeggiate vestiti come Humphrey Bogart. Cosa succede se avviene il contrario? Questa settimana ne abbiamo avuto una ATROCE dimostrazione pratica. E i media italiani ne escono in maniera vergognosa.
La storia, nella sua crudezza, è semplice. Il giorno 20 novembre in pieno giorno, nella città di Roma, la cittadina rumena Marinela Martiniuc, 28 anni, attraversava sulle strisce nei pressi di una scuola. Spingeva una carrozzina con suo figlio Elias di appena quattro mesi e teneva per mano sua nipote Adina di 12 anni.

Sono stati spazzati via da un’auto guidata da un cittadino italiano, in evidente stato di ebbrezza, e appena uscito di galera. Il neonato è stato sbalzato a 20 metri di distanza, la piccola Adina ha avuto multiple lesioni alle gambe. La signora Martiniuc è stata per 24 ore incosciente ed in pericolo di vita. Tutt’ora è ricoverata in condizioni critiche.

Nessun giornale o gr o tg ha ritenuto opportuno diffondere la notizia. Questa è stata diffusa oggi, cinque giorni dopo, solo in una lettera inviata da Anna Maffei, presidente dell’Unione cristiana evangelica battista italiana, pubblicata dal quotidiano Il Manifesto.

Maffei invita a una riflessione sul ruolo dei media nella costruzione del clima di insicurezza e di crescente intolleranza e xenofobia fra la gente comune. Ha ragione: i media mainstream oramai formano un compatto partito del pregiudizio e utilizzano il loro sterminato potere per diffonderlo ad arte. Per un’elementare regola giornalistica infatti, se i romeni e solo i rumeni (o i rom che per il giornalista medio è lo stesso) sono tutti stupratori, assassini, ladri, autisti ubriachi, l’ennesimo cane che morde l’uomo non deve far notizia. Ma se è l’uomo italiano (pregiudicato e ubriaco) a mordere la cagna rumena, questa non dovrebbe essere una notizia più del suo stereotipato opposto? Non dovrebbe causare scandalo e vergogna che un nostro connazionale abbia ridotto in fin di vita una donna straniera e due bambini?

Sarebbe un triste paradosso, ovviamente, se solo per questo i media facessero un buon servizio all’informazione. La Maffei centra perfettamente il punto. Oggi i media mainstream, manipolando e scegliendo le notizie in maniera intenzionale, rappresentano un generatore di insicurezza sociale, intolleranza e xenofobia. E i giornali italiani che strillano l’investimento (o lo stupro, o l’omicidio) di una cittadina italiana da parte di un cittadino straniero, ma nascondono il caso opposto e sminuiscono sistematicamente i crimini dei quali gli stranieri sono vittime, vanno definiti per quel che sono: razzisti.

Per turpi fini (politici o commerciali che siano) si stanno prestando a mettere in pericolo la convivenza civile in questo paese e stanno giocando con la nostra democrazia. E’ tempo che chi ha a cuore la convivenza civile in questo paese chieda sistematicamente loro conto delle loro intenzioni e malintenzioni. Un altro giornalismo è possibile.

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la miglior commemorazione di Pavarotti – fuori dal coro, lontana dal rimbombo oppiaceo dei media e delle istituzioni – è firmata da Giordano Montecchi, l’ho trovata sull’Unità e vale la pena di leggerla

mi è piaciuta perché rende giustizia al Pavarotti cantante d’opera (1960/1980 circa) e non si lascia incantare dal Pavarotti successivo (dal 1980 in poi), quello mediatico, che, poverino, aveva quasi smesso di cantare… o, comunque, non lo faceva più sul serio.

volete un esempio? eccolo con la Sutherland in “che mi frena in tal momento” dalla Lucia di Lamermoor



nella foto Luciano Pavarotti, Joan Sutherland, Spiro Malas
in “la Figlia del Reggimento” di Gaetano Donizetti (1966)

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IL GOVERNO DELLE RUSPE

una mattina d’estate, nella città vuota e silenziosa, le ruspe di cofferati hanno appiattito il CRASH, uno degli ultimi spazi di sopravvivenza a bologna

questa città è un cimitero

del pensiero
del gesto
della socialità
dell’amore

bologna, con i suoi governanti, sta morendo: è un caso evidente di accanimento terapeutico

bologna la mediocre, la superficiale, l’astiosa, l’arrogante…

bologna che millanta cultura e chiude gli unici spazi dove ancora si respira

bologna con i suoi ‘artisti’… i suoi ‘scrittori’…
ben aggrovigliati al proprio ego abnorme…

giovanilisti di quartiere, comici da salotto, indignati da dopo-strage, poeti da tavolino, avanguardie autoproclamate del nulla…
dove siete? in quale piazza state cospirando? in quale sotterraneo organizzate la resistenza? a quali ferite esponete il vostro prezioso corpo? a quale dolore il vostro spirito? dove siete? in quale festival dell’unità, con quale aperitivo, state confortando la vostra vergogna?

in africa, ogni vecchio che muore è una biblioteca che brucia
a bologna, ogni spazio che chiude distacca un tubo d’ossigeno a questa città morente

solidarietà attiva (se c’è bisogno… un fischio) e passiva (interiore) al crash

Perché siamo favorevoli ai matrimoni tra cattolici

 

Siamo completamente favorevoli al matrimonio tra cattolici.
Ci pare un’ingiustizia e un errore cercare di impedirlo: il cattolicesimo non è una malattia.
I cattolici, nonostante a molti non piacciano o possano sembrare strani, sono persone normali e devono possedere gli stessi diritti della maggioranza, come fossero – per esempio – informatici o omosessuali.
Siamo coscienti che molti comportamenti e aspetti del loro carattere – come l’attitudine a patologicizzare il sesso – possono sembrarci strani. Sappiamo che inoltre a volte potrebbero emergere questioni di sanità pubblica, come il loro pericoloso e deliberato rifiuto dei preservativi. Sappiamo anche che molti dei loro costumi, come l’esibizione pubblica di immagini di torturati, può dare fastidio. Ma questa attitudine, più mediatica che reale, non è una buona ragione per impedire l’esercizio del matrimonio.
Alcuni potrebbero argomentare che un matrimonio tra cattolici non è un vero matrimonio, perché per loro si tratta di un rito e di un precetto religioso assunto davanti a Dio, anziché di una unione tra due persone.
Inoltre, dato che i figli nati fuori dal matrimonio sono pesantemente condannati dalla Chiesa, qualcuno potrebbe considerare che permettere ai cattolici di sposarsi incrementerebbe il numero di matrimoni perché «la gente mormora» o per la semplice ricerca di sesso, proibito dalla loro religione fuori dal matrimonio, andando così ad aumentare i casi di violenza familiare e il numero delle famiglie problematiche.
D’altra parte bisogna ricordare che questo non riguarda solo le famiglie cattoliche e che, dato che non possiamo metterci nella testa degli altri, non possiamo giudicare le loro motivazioni.
Infine, dire che non si dovrebbe chiamarlo matrimonio, ma in un’altra maniera, non è che una forma, invero un po’ meschina, di sviare il problema su questioni semantiche, del tutto fuori luogo. Anche se tra cattolici, un matrimonio è un matrimonio e una famiglia è una famiglia!

E con questa allusione alla famiglia, passiamo all’altro tema incandescente, che speriamo non sia troppo radicale: siamo anche favorevoli a che i cattolici adottino bambini.
Qualcuno si potrà scandalizzare. Probabile che si risponda con un’affermazione del tipo «Cattolici che adottano bambini?? I bambini potrebbero diventare a loro volta cattolici!». A fronte di queste critiche, possiamo replicare che è ben vero che i bambini figli di cattolici hanno molte probabilità di diventare a loro volta cattolici (a differenza degli omosessuali o degli informatici), ma abbiamo già detto che i cattolici sono gente come tutti gli altri.
Nonostante le opinioni di qualcuno e alcuni indizi, non ci sono tuttavia prove che dimostrino che i genitori cattolici siano meno preparati di altri a educare dei figli, né che l’ambiente religiosamente orientato di una casa cattolica abbia un’influenza negativa sul bambino. Inoltre i tribunali per i minori esprimono pareri sulle singole situazioni, ed è precisamente il loro compito determinare l’idoneità dei possibili genitori adottivi. In definitiva, nonostante le opinioni di alcuni settori, crediamo che bisognerebbe permettere anche ai cattolici di sposarsi e adottare dei bambini.

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Una importante e chiarificatrice lettera aperta di Mauro Manno, ebreo antisionista italiano, a Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana.

Signor Presidente,
da quanto leggo su televideo lei avrebbe dichiarato:

No all’antisemitismo anche quando esso si travesta da antisionismo“.
Antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele“.

Se questo è realmente il suo pensiero, e naturalmente mi auguro che non lo sia, mi lasci dire che queste sono affermazioni errate e gravi e mi auguro che suscitino, da parte di numerosi italiani, una reazione calma e ragionata ma ferma.
(…)

leggi tutta la lettera (download)


rieccoli!

nel momento in cui si discute di liberare la Sardegna dalle servitù militari, nel momento in cui si crea un PACIFICO movimento d’opinione, eccoli di nuovo!
Due quasi-bombe a due quasi-ministri la cui azione, da questo momento in poi, verrà santificata. Come è successo da sempre quando si vuol far passare un’opzione più repressiva (se in Sardegna più di così fosse possibile…), un’ipotesi santificata dall’emergenza…

Dunque, eliminate subito dal sospetto le vittime (pur non credendo nella loro politica, davvero credo nella loro buona fede), chi rimane?

Da miscredente, ateo e pacifista, da sempre sostengo che il miglior sistema per rafforzare la FEDE sia quello di creare un contro/altare che si presti al gioco. La Chiesa Romana crea il demonio, lo Stato Romano crea il demone del terrorismo.

Allora i casi sono due:

1 – i terroristi esistono, e fanno spudoratamente il gioco della repressione con un’utilissima e fondamentale azione di ‘riscaldamento’ del clima. In questo caso sono solo degli imbecilli – utili e ben utilizzabili – che, se non in malafede perché stipendiati dal potere (il passato ci ha fornito luminosi esempi), sono certo carenti dal punto di vista umano ed intellettivo. E sono più ‘amici’ dell’altra parte che nostri.

2 – i terroristi non esistono, sono inventati dai servizi, e allora bisogna cercare lì, come sempre. Ma chi può indagare? i servizi stessi? Non fateci ridere: come per la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, Gladio, la P2, solo per citarne alcuni…

In ogni caso non siamo ancora del tutto rincretiniti… lasciateci almeno il sospetto: tutto è sempre così perfetto e funzionale… al punto ed al momento giusto.

L’antica saggezza della nostra gente ci ha trasmesso un atteggiamento che consiglio sempre a tutti quelli che, senza porsi troppe domande come la maggior parte dei giornalisti, assimilano immediatamente le analisi e le versioni ‘ufficiali’ dei fatti:

Chi ci guadagna?
Tutti coloro che voglio conservare lo ‘status quo’, lo stato delle cose. Chi vuole una Sardegna militare, sottomessa e rassegnata, turistica quel che basta per alimentare il bisogno di ‘selvaggio’ degli zombies costieri. Mentre in Quirra si pensa di potenziare il ‘supermarket’ delle armi ed a Teulada appare lo spettro di un ‘passo indietro’ sulla liberazione dell’area.

Chi ci rimette?
La Sardegna ed i Sardi… gli arrestati dell’11 luglio a cui spero arriverà giustizia e risarcimento… gli abitanti delle zone ‘occupate’… le inchieste sull’uranio impoverito… sui tumori… un’ipotesi di contrattazione differente con uno Stato oppressivo ed arrogante. Ci rimettiamo tutti noi: i divergenti, i non-omologati, i pacifisti, le persone che attivano il cervello e lo spirito.

Queste bombe, per fortuna senza vittime, hanno solo un aspetto positivo: ancora una volta ci costringono a pensare… e dunque, da spiriti liberi, anche a dubitare

Auguro in tutti i casi, a chiunque le abbia confezionate, ki ancu sas manos si lis sikken’ ke-a su Milesu, ki contaiat s’arantzu cun su pé. (Traduzione: Che gli si possano seccare le mani come al Milese, che contava le arance con i piedi – ovvero… come a quel signore di Milis che al mio paese vendeva arance, ma non aveva le mani e le contava con i piedi).
E speriamo che funzioni, così scopriamo chi è stato.

Alberto Masala

p.s.
a proposito, un giorno dopo aggiungo l’intervista di Giorgio Pisano dell’Unione Sarda con Erricu Madau, portavoce di A manca pro s’indipendentzia.
Irbarriatikéla (download)comitato 11 luglio