>
una bella ricostruzione del percorso del centro-sinistra sui fatti di Genova sintetizzata da Wu Ming 1 sul sito di Carmilla
la resistenza è un'arte
>
una bella ricostruzione del percorso del centro-sinistra sui fatti di Genova sintetizzata da Wu Ming 1 sul sito di Carmilla
>
Quella ferita, inferta così violentemente il 20 e 21 luglio, ha lasciato un’ennesima macchia di sangue nelle pagine della storia del nostro paese, il sangue di migliaia di giovani umiliati, malmenati e torturati da coloro che sarebbero stati addetti a preservarne la sicurezza; la vita rubata al giovane Carlo Giuliani, vittima sacrificale di una mattanza indistinta.
La ferita dei giorni di Genova è rimasta aperta e dolorante nelle coscienze di tanti italiani e italiane che ancora s’interrogano sulle responsabilità politiche e materiali di quei gravi fatti, di chi si chiede come mai a cinque anni di distanza ancora non si sia fatta chiarezza sulla linea di comando, sulle inadempienze, sugli abusi di potere, sugli occultamenti di prove o sulla loro invenzione.
Subito dopo quegli avvenimenti fu istituita una Commissione di indagine conoscitiva bicamerale dotata di poteri d’indagine limitati. La natura stessa della Commisione, nonché il breve tempo in cui si svolsero i lavori (conclusi il 20 settembre 2001) denotano la volontà del governo di centrodestra di chiudere velocemente la faccenda, auto-assolvendosi agli occhi del Paese. Tale Commissione ha conseguentemente prodotto solo una sommaria e lacunosa ricostruzione dei fatti accaduti a Genova, senza arrivare ad una ricostruzione puntuale degli avvenimenti.
Anche i successivi eventi processuali (a cominciare dalla archiviazione dell’omicidio di Carlo Giuliani) sono risultati viziati dalla stessa logica: chiudere la “pratica Genova” nel più breve tempo possibile. Si sono dunque banalizzati i fatti, riconducendoli ad una logica di “manifestanti violenti” contrapposti a “sporadici eccessi delle forze dell’ordine”. Tutto questo col risultato di non poter vedere la precisa linea di repressione del dissenso di cui Genova ha costituito l’episodio più grave, seguito da altri meno noti ma non per questo meno inquietanti. Seguendo il solco ideale del disinteresse tracciato dalla Commissione parlamentare, possiamo leggere non solo le vicende processuali, ma anche la grave distrazione dei maggiori media italiani, che stanno lasciando scivolare i processi in corso per i fatti di Genova nella più completa apatia.
Se il nuovo governo vuole imprimere una svolta democratica al nostro paese, da qui deve cominciare, perché non può esserci futuro democratico laddove una macchia così grave viene lasciata alle spalle, perché non può esservi saldezza di diritti in un paese in cui rimangono troppi dubbi sull’omicidio di un giovane ad una manifestazione.
Il giorno dell’insediamento del nuovo governo è stato ripresentato al Senato un disegno di legge sostenuto da 60 senatori e senatrici che prevede l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui giorni del G8 che abbia gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, che possa cioè utilizzare tutti gli strumenti utili ad acquisire informazioni necessarie al raggiungimento della verità. Analoga iniziativa è in corso alla Camera dei deputati, con la possibilità quindi di ottenere una Commissione bicamerale, che avrebbe ancora più peso politico. E’ urgente che questo disegno di legge venga discusso al più presto dal Parlamento per essere approvato e l’inchiesta possa rapidamente partire.
E’ necessario che tutti e tutte coloro che in questi anni hanno condiviso la lotta per ottenere verità e giustizia si impegnino a far si che ciò avvenga. Bisogna insistere affinché ogni parlamentare si senta in dovere di assolvere una richiesta forte proveniente dal paese: nessuna lungaggine burocratica, nessun ostacolo dovrà frapporsi questa volta all’istituzione di un organismo, realmente aperto all’ascolto di tutti i soggetti che hanno faticosamente lavorato in questi anni alla ricostruzione dei fatti, e che possa dunque far luce sul black out di civiltà che ha investito il nostro paese nel luglio del 2001.
Chiediamo a tutti e tutte di impegnarsi attivamente affinché si possa finalmente in questo Paese, almeno su questa vicenda, restituire alle parole verità e giustizia il loro significato.
PER ADESIONI SCRIVERE A: commissioneg8@yahoo.it
COMITATO SARDO GETTIAMO LE BASI
La partecipazione di Emidio Casula, sottosegretario alla Difesa, ai macabri festeggiamenti del poligono della morte “Salto di Quirra” e’ una ferita bruciante alla sensibilita’ della stragrande maggioranza del popolo sardo e un funesto segnale di continuita’ con la politica dell’insabbiamento dei “morti scomodi” e del potenziamento della struttura di guerra perseguita dai precedenti governi di centrodestra e centrosinistra.
Il poligono della morte Salto di Quirra e’ l’esempio peggiore della colonizzazione militare selvaggia inflitta all’isola, fondata sulla rapina delle risorse, della salute e della vita della popolazione. Ricordiamo le cifre della strage in atto, emerse fin dal gennaio 2001 (governo D’Alema): Poligono Interforze Salto di Quirra, 15 militari affetti da tumore; Quirra, 150 abitanti, 20 persone colpite da tumori emolinfatici; Escalaplano, 2.500 abitanti, 14 bambini con gravi alterazioni genetiche.
Il sottosegretario tenta goffamente di coprire l’oscenità con la foglia di fico dell’ennesima promessa di improbabili ricerche sull’uranio impoverito (sarebbe l’indagine numero 9!) “dimenticando” che:
1) il proseguimento dell’indagine sull’uranio impoverito (DU), avviata dal Senato nella passata legislatura, e’ atto dovuto;
2) il DU e’ solo uno dei tanti veleni, noti e non noti, sparsi a piene mani dalle multinazionali delle armi e dalle forze armate di mezzo mondo nel corso dei 50 anni di vita del poligono della morte.
Il sottosegretario, in rispetto del suo ruolo istituzionale, si attivi affinche’ il nuovo Governo non si renda complice della strage, ponga fine all’illegalità permanente e si adegui alle norme internazionali, sottoscritte dall’Italia, che sanciscono l’obbligo degli Stati di osservare il principio di precauzione. Da questo DOVERE discende la necessita’ urgente di sospendere tutte le attivita’ del poligono, almeno fino a quando non siano stati individuati e isolati gli agenti killer e il territorio sia stato decontaminato.
Solo dopo aver attivato la procedura di moratoria delle devastanti attivita’ belliche si puo’ parlare e discutere d’indagini e accertamenti. Il miraggio di “indagini scientifiche” e’ stato usato troppo a lungo come oppio per narcotizzare l’allarme sociale.
Il sottosegretario DICA:
1) a quanto ammontano le risorse finanziarie che ministero della Difesa e Governo intendono stanziare per indagini e bonifica. Secondo le stime condivisibili del Procuratore militare di Cagliari Carlo Rosella effettuate per la sola area a terra del poligono di Capo Teulada, il costo equivale a quello di una manovra finanziaria;
2) come intendano reperire i fondi e in quale capitolo di spesa intendano iscrivere i costi ingenti. Noi diamo un’indicazione: dirottamento delle risorse finanziarie sperperate per le disumane missioni di guerra in Irak e Afghanistan.
3) a quanto ammontano le risorse stanziate, stando agli impegni del precedente Governo, per bonificare il tratto di mare prossimo alla costa del poligono di Capo Teulada. Lo studio commissionato dal precedente ministro alla Difesa al CNR indica “costi astronomici”.
E’ del tutto ovvio che ad indagini da due soldi corrispondano risultati a credibilita’ zero, a bonifica a costo zero corrisponde una decontanimazione zero.
Invitiamo i sindaci che hanno partecipato alla festa della morte ad attenersi al loro dovere istituzionale di garanti dell’incolumita’ e della salute dei loro cittadini.
Comitato sardo Gettiamo le Basi
tel 338 6132753.
>
Federico Aldrovandi, 18 anni, muore il 25 settembre 2005 durante un controllo di polizia. Stava rientrando a casa dopo una serata di fine estate con gli amici.
Alle versioni, fornite dalla Questura di Ferrara, che parlavano di malore dovuto all’uso di sostanze, si è giunti, dopo cinque mesi e mezzo, all’iscrizione nel registro degli indagati di quattro agenti della Polizia per omicidio preterintenzionale.
Ciò è stato possibile grazie al costante e coraggioso impegno della madre e della famiglia del ragazzo che, per mezzo di un BLOG, ha diffuso l’evento denunciando le tante ombre di questa vicenda.
Qui l’articolo del Manifesto del 17 giugno
CASO ALDROVANDI
«Lo hanno immobilizzato e preso a calci». Anne Marie Tsague e suo figlio, camerunensi, hanno visto tutto dal balcone di casa. «Avevo paura di testimoniare per non perdere il permesso di soggiorno. Ma don Bedin mi ha convinta a fidarmi della legge» Cinzia Gubbini – Ferrara
Un pestaggio in piena regola. Violento, immotivato e purtroppo fatale. Così ieri, durante un lunghissimo interrogatorio in incidente probatorio, la teste chiave del caso Aldrovandi ha descritto la morte di Federico, il diciottenne ferrarese deceduto durante un intervento di polizia lo scorso 25 settembre. Anne Marie Tsague, 35 anni, camerunese, quella mattina alle sei era sul balcone del suo appartamento al primo piano di via dell’Ippodromo.
Era stata svegliata da strani rumori, e dai lampeggianti delle volanti. Si è affacciata alla finestra e, sconvolta, ha assistito all’ultima parte di una strana «colluttazione» in cui un ragazzo solo viene manganellato da quattro poliziotti, che lo atterrano con facilità e continuano a prenderlo a calci anche quando ormai è completamente immobilizzato.
Anne Marie arriva per prima, ieri mattina, al tribunale di Ferrara, scortata da due agenti di polizia. E’ sola. Sfoglia il quotidiano free press City e finisce sempre sulla pagina delle previsioni del tempo. Poco dopo arrivano Patrizia Moretti e Lino Aldrovandi, i genitori di Federico, accompagnati dall’avvocato Fabio Anselmo. Patrizia e Lino non hanno mai visto Anne Marie, ma ne hanno sentito molto parlare. Si scambiano solo una rapida occhiata, per i genitori di Federico dalle sue parole dipende la possibilità di sapere la verità su come è morto il figlio. L’aula del tribunale si riempie velocemente: quattro avvocati per gli Aldrovandi, altrettanti per i quattro poliziotti. Arrivano anche il pm Nicola Proto e Severino Messina, il procuratore capo (di cui si ricordano le conferenze stampa per dire che le botte dei poliziotti non hanno ammazzato Federico). A Proto, che ha sostituito il pm Guerra, si deve l’iscrizione (a marzo) degli agenti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio preterintenzionale e la richiesta di incidente probatorio per sentire la testimonianza di Tsague e di suo figlio che, essendo stranieri, potrebbero perdere il soggiorno e essere espulsi. Il figlio di Anne Marie, ancora minorenne, ieri però non c’era: è in Camerun, dove la madre lo ha prontamente spedito a finire la scuola pochi giorni dopo la morte di Federico. Ma sta per tornare. Il 25 luglio verrà interrogato dal gip Silvia Giorgi.
Aveva paura Anne Marie, paura di «mettersi contro i poliziotti». Lo ha spiegato ieri al giudice, ai pm e agli avvocati. «Il mio permesso scade a settembre, non volevo mettermi nei guai. Poi ho detto tutto in confessione a Don Bedin, e lui mi ha convinto a non avere paura. Così ho deciso di parlare, e sono contenta perché sennò stavo male». La donna ha raccontato tutto rispondendo colpo su colpo alle domande degli avvocati della difesa.
«Quando sono andata alla finestra ho visto due macchine della polizia, una accanto all’altra». Siamo quindi nella seconda fase: Federico ha già dovuto affrontare la prima volante che era intervenuta dopo la chiamata allarmata di un’abitante di via dell’Ippodromo, preoccupata dalla presenza in strada di un ragazzo «agitato». Poi Anne Marie vede anche Federico, che va verso i poliziotti «con passo deciso». Si trova in mezzo ai quattro agenti e tenta «una specie di sforbiciata con le gambe» che però non riesce a colpire nessuno. La reazione degli agenti è immediata, e violenta. Iniziano a manganellarlo in quattro, uno lo tira per i capelli per farlo cadere a terra. A quel punto lo bloccano in tre: un agente (la donna) gli tiene le caviglie, un altro le ginocchia e un terzo il petto. Il quarto sta in piedi all’altezza della testa e lo prende a calci, ogni tanto si allontana verso la macchina (probabilmente per comunicare con la centrale) e a tratti torna indietro per prenderlo ancora a calci. Anne Marie sente la donna dire anche
«Apri il baule». E un«altra frase: «C’è tanto sangue», «Mica siamo stati noi, è la roba». Quando i legali degli agenti obiettano che dal suo balcone non poteva vedere con precisione se i calci erano diretti alla testa, lei risponde: «E’ chiaro che glieli dava in testa, a meno che non scalciasse nel vuoto».
Gli avvocati dei poliziotti per ora rimangono molto abbottonati (gli agenti si avvalgono della facoltà di non rispondere). Giovanni Trombini lamenta di nuovo «la decisione di iscrivere i poliziotti nel registro degli indagati in una fase avanzata delle indagini» ma sullo svolgimento dell’incidente probatorio si limita a dire: «Ora sappiamo cosa dice di aver visto e sentito la signora». Cosa abbia causato, in ultima analisi, la morte di Federico dovrà stabilirlo però la perizia della Procura: ieri sono stati nominati due periti , un medico legale e un tossicologo che dovranno fare il punto sulle ferite riscontrate sul corpo del ragazzo e sulle sostanze stupefacenti che aveva assunto quella sera. «Sono agghiacciata, è stato un racconto cruento.
Ma sono anche grata a questa donna eccezionale», dice all’uscita Patrizia Moretti. Molto scosso Lino Aldrovandi: «Vorrei vedere in faccia i quattro poliziotti. Cosa deve fare un cittadino per sapere la verità? Nessuno è mai venuto a spiegarmi niente». «Anne Maire dà una lezione di senso civico a tutti», dice l’avvocato Anselmo. In molti probabilmente hanno visto, ma per ora solo Anne Marie ha lanciato un’accusa precisa . Nonostante il permesso di soggiorno in scadenza.
Immigrazione incarcerata, neoliberismo e carcerizzazione dell’esclusione sociale, sistema-carcere come regolatore del conflitto sociale in Italia e nell’occidente capitalistico.
“… e intanto scrivo sulle sbarre della gabbia
una speranza a scoppio ritardato…”
la libreria è a cura di MODO INFOSHOP INTERNO/4
il Barrio – Rassegna di arte, musica e spettacoli
Italian Billionaire Renato Soru
|
Da Sandro Martis ricevo una lettera che dice: “Soru ha messo in vendita Naracauli. Per farci alberghi, centri benessere, campi da golf. Tra quelle miniere abbandonate e quei bellissimi ruderi risuonano ancora i colpi di piccone dei nostri nonni. Mi sconforta pensare che diverranno saune per miliardari.
Soru sta scherzando e crede che la beviamo… Che interesse abbiamo a risanare un’area di enorme valore storico-ambientale per poi consegnarla a un miliardario ed i suoi pochi amici? Perché questo regalo? Perché non possiamo godere di un bene che ci appartiene e “ancora risuona dei colpi di piccone dei nostri nonni?” Quali umiliazioni ci aspettano dopo la cosiddetta Costa Smeralda? Che nomi daranno alla nostra prossima servitù? L’elemosina di un milionario, ammesso che paghi, è lo sviluppo sostenibile che ci emanciperà dalla nostra cultura millenaria? Etica? Cultura? Manca solo che ci riporti i Savoia!
Anche a me viene da piangere.
E poi… come se non bastasse, i maledetti campi da golf !!!
Rifiutati da tutti, condannati dall’UE (sentenza contro l’Austria del 29/1/04, Corte di Giustizia Europea, Sez.II), altamente inquinanti (in un anno un campo “mangia” da 750 a 1500 kg di fitofarmaci, diserbanti, pesticidi) ed ogni 24 ore si “beve” 2.000 metri cubi d’acqua, ovvero il consumo di un paese da 9.000 persone. Per far giocare quattro ricchi spensierati.
Intanto si convoca il Forum mondiale sull’acqua, principale problema del pianeta, patologico in Sardegna. Recentemente a Sassari abbiamo girato disperatamente per far fare la pipì a due bambine… perché? I bar della città erano da due giorni senz’acqua.
L’investimento si aggira intorno ai 10-12 miliardi di lire. Si stima che venga recuperato in 42 anni. E la gestione non copre le spese: almeno trecentomila euro l’anno. Chi paga?
Cosa si può fare per aiutare questi poveretti? Laspeculazione edilizia perbacco! Perché non ci avevamo pensato? Il fallimento di Is Molas non ci ha insegnato niente. Chiediamo un parere ai 6.500 creditori, tra loro panettieri e artigiani, che attendono pagamenti arretrati. Andiamo ad intervistare il proprietario del golf di Stintino. Forse è ancora in galera per bancarotta fraudolenta, truffa e frode fiscale.
Signor Presidente, mi ascolti: è un gioco pericoloso… i campi da golf, specie in Italia, confinano quasi sempre con la speculazione, la truffa, e la galera…
Basta. Per informazioni più approfondite e precise rimando alla stessa fonte da cui ho attinto. Una fonte fresca e senza pesticidi: la ricerca di Andrea Atzori e quest’altro sito antigolf.
Insomma, Presidente, inquinamento, privatizzazione becera ed improduttiva, speculazioni, regali ai miliardari. Peggio non poteva pensare. Ma andiamo per logica ed eliminiamo i dubbi:
Non posso credere che abbia debiti personali con loro. Non userebbe il bene pubblico per saldarli. Non penso che voglia entrare nel Club dei Parvenus. Troppo intelligente per mescolarsi con certa gente. Comunque tolga subito queste ombre dalla sua luminosa figura. Restano gli interessi privati, ma non ci crederò mai: Lei è sardo, non di Arcore!
A scanso di guai propongo che, come per malasanità o errori giudiziari, d’ora in poi siano gli stessi firmatari della delibera a RISPONDERE ECONOMICAMENTE e PENALMENTE di eventuali disastri. Accetta queste condizioni?
Assuma nobilmente le responsabilità e non le lasci in eredità ai nostri discendenti. Si distingua dai politici che l’hanno preceduta. Confermi che non è un padrone ma un rappresentante del popolo, dell’interesse collettivo. O sarà la sua intelligenza politica a non risplendere.
Una volta, durante una discussione, un’amica uscì sbattendo la porta. Un’ora dopo ricomparve e disse: “E sappiate che se mi faccio un’opinione è perché so di poterla cambiare”. Le chiediamo di avere la stessa dignità: cambi opinione e aumenterà nella nostra stima.
>ANCORA UN ATTO DI RAZZISMO
solo che questa volta ne è vittima lo scrittore e giornalista di origine senegalese Pap Khouma e, appunto per questo, almeno si viene a sapere.
Ieri pomeriggio in pieno centro a Milano è stato aggredito poi picchiato dai controllori dell’ATM (l’azienda di trasporti) perché si era rifiutato di esibire la sua tessera di abbonamento mentre era SUL MARCIAPIEDE in attesa dell’autobus!
Nella rabbia per l’accaduto e con la solidarietà per uno di noi, c’è anche la consapevolezza del fatto che questo costituisce solo la punta di un iceberg, di una montagna ghiacciata di soprusi quotidiani in questo paese e in questo occidente sempre più razzista, militarizzato, vigliacco.
Basta con l’italia fascista dei CPT e della Bossi-Fini.
L’episodio è gravissimo e non va taciuto.
Sono disponibile ad azioni pubbliche perché la cosa non passi sotto silenzio ed i responsabili paghino. Chiedo lo stesso a tutti voi
a Pap (eccolo nella foto sopra alla redazione della rivista ‘el Ghibli’ di cui è direttore) esprimo tutta la mia fraterna solidarietà con un forte abbraccio
anche voi potete mandare messaggi di solidarietà al suo indirizzo mail: papkhouma@libero.it
INTERVISTA AD ORESTE SCALZONE su:
AMNISTIA – CARCERI – LA RIVOLTA FRANCESE – BERLUSCONISMO – NO AL SOSPETTO SI ALLA CRITICA – gli argomenti che in parte si trovano sul nuovo libro VADEMECUM – pubblicato dalla casa editrice IMMAGINAPOLI.
l’intervista (molto lunga) è in audio mp3 – per prelevarla vai su questa pagina web – e poi clicca sull’immagine di ORESTE SCALZONE – poi sui titoli – salva il file e successivamente apri con un qualsiasi programma per mp3 – mediaplayer.
l’autore chiede anche di rispondere (la sua email è nella pagina web), di fargli sapere se sei d’accordo o meno per l’amnistia e le altre sue riflessioni – NAMIR sta raccogliendo firme per SOSTENERLA – quindi se pensi che sia giusto applicarla – cosi’ come la grazia a SOFRI – invia tuo nome e cognome a questa email – come sempre NAMIR la pubblicherà.
>da Liberazione di domenica 23 aprile 2006
Travaglio, simpatico reazionario e un giudice che fu eversore…
di Piero Sansonetti
Vorrei brevemente, e senza eccessiva malizia, raccontarvi la storia di un mio vecchio amico, e poi polemizzare con un altro mio amico più recente. I nomi di queste due persone sono da un po’ di tempo alla ribalta della cronaca: il giudice Paolo Giovagnoli di Bologna e Marco Travaglio.
Cominciamo con la polemica, che è con Marco Travaglio. Giornalista di grande bravura, arguto, pieno di informazioni, forte di una memoria d’acciaio, polemista di notevoli capacità (maturate alla scuola pungente e molto aggressiva di Indro Montanelli) ma – da sempre (come del resto il suo maestro) – di idee alquanto reazionarie. Travaglio è un liberale di stampo asburgico. Ed è un personaggio un po’ originale, non per le sue posizioni – che io trovo quasi abominevoli, lo dico con affetto, e tuttavia sono legittimissime e molto lineari – ma perché gli scherzi della vita lo hanno collocato, nella geografia della politica e della intellettualità italiana in un luogo a lui del tutto inadatto: a sinistra.
Da diversi anni Marco è diventato quasi un idolo di un “pezzo” di sinistra italiana, ed è stato leader indiscusso del cosiddetto movimento dei “girotondi”, e cioè anche di ragazzetti – orrore, orrore – che indossavano magliette col volto di Che Guevara o che portavano al collo la kefiah di Arafat. Eppure lui, onestamente, non lo ha mai negato: «Sono di destra – dice spesso -, lo giuro, sono di destra».
Come è successo questo fraintendimento? Colpa di Berlusconi. Travaglio, liberale e asburgico, è molto legalitario, e non sopporta l’illegalismo berlusconiano. Questo ha spinto tutti all’equivoco. Ma Travaglio non ce l’ha mai avuta con Berlusconi – come succede a noi – perché Berlusconi è ricco e reazionario: ce l’ha avuta e ce l’ha con Berlusconi, e non lo molla di un centimetro, perchè Berlusconi gabba la legge. E se la legge la gabba un poveretto, un bimbo rom, uno studente ribelle, o una nonna povera, per Travaglio (un po’ come per Cofferati) è esattamente la stessa cosa. E grida: «In prigione, in prigione…».
Ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, Marco si è indignato per le proteste avanzate della sinistra bolognese contro il giudice Giovagnoli, cioè quello che ha incriminato per eversione alcuni studenti che si erano autoridotti il costo del pranzo alla mensa universitaria.
E’ inammissibile – ha detto Travaglio-: «la legge è legge, deve essere uguale per tutti, per Previti e per gli studenti». Non si possono fare favoritismi. E’ una protesta curiosa: Travaglio saprà – perché, appunto, ha un archivio molto ricco – che le carceri sono strapiene di poveracci, specialmente di giovanetti e di migranti, e sono quasi prive di ospiti altolocati – avvocati, medici o ricconi – se si fa l’eccezione del povero Ricucci. E dunque la sua polemica è un po’ stonata: stia tranquillo, perché è raro che la magistratura chiuda un occhio a favore del disgraziato per accanirsi sul potente. E’ raro, è molto raro.
Ma chi è questo giudice Giovagnoli che sospetta che quei ragazzi di Bologna volessero sovvertire le istituzioni e prendere illegittimamente il potere (eversione, se ho capito bene, più o meno vuol dire questo…)?
Lo conosco Giovagnoli, e tanti anni fa eravamo amici, andavamo all’università insieme, spesso anche a prendere la pizza (a San Lorenzo, a Roma, costava 500 lire, compresa la birra), e militavamo nella sezione universitaria del Pci. Ci occupammo, qualche volta, anche della mensa universitaria, che si trovava alla casa dello studente, a via de Lollis, e dove il pasto completo costava 300 lire. Mi ricordo che una volta, insieme, e insieme a molti altri compagni della sezione, bloccammo la mensa e imponemmo il prezzo politico di 100 lire. Arrivò la polizia, ci fu un po’ di bordello.
Non vorrei adesso avere messo nei guai Paolo, con questo racconto, che è quasi una confessione. E non vorrei neanche avere messo nei guai me stesso.
Però sono passati quasi trent’anni, e io penso che – specie dopo la legge Cirielli – sia scattata la prescrizione. Ammenochè – mi viene improvvisamente il sospetto – un reato grave come quello di eversione non sia escluso dai benefici della prescrizione. Se è così ho fatto un bel guaio…
Puoi scaricare la registrazione completa della conferenza stampa per l’accusa di eversione intentata dalla procura di Bologna ad un gruppo di persone protagoniste dell’autoriduzione alla mensa universitaria del 19/04/05
audio: MP3 at 7.8 mebibytes
>In coincidenza con la diffusione di nuove immagini di torture inflitte da militari statunitensi a prigionieri iracheni, il 20 marzo è iniziato a Ginevra il 62° periodo di sessioni della Commissione dei Diritti Umani dell’ONU.
Gli Stati Uniti ed i loro alleati dell’Unione Europea hanno impedito ripetutamente a tale Commissione di pronunciarsi contro le massicce e sistematiche violazioni dei diritti umani promosse in nome della cosiddetta guerra contro il terrorismo.
I governi dell’Unione Europea si sono rifiutati di riconoscere le testimonianze e le prove presentate da cittadini dei loro stessi paesi che hanno patito diverse forme di tortura nella base navale di Guantanamo. Hanno permesso, inoltre, il transito di aerei della CIA che trasferivano prigionieri verso centri illegali di detenzione nella stessa Europa e in altre regioni.
I firmatari del presente documento chiamano gli intellettuali, gli artisti, gli attivisti sociali e gli uomini e le donne di buona volontà ad unirsi alla loro richiesta: la Commissione dei Diritti Umani, od il Consiglio che la sostituirà, deve esigere la chiusura immediata dei centri di detenzione arbitraria creati dagli Stati Uniti e la cessazione di tutte queste flagranti violazioni della dignità umana.
L’appello ha ottenuto sin ora più di mille adesioni, fra cui numerosi intellettuali.
Per adesioni:
www.derechos-humanos.com
www.derechos-humanos.info
www.droits-humains.info
www.hhrr.info