Riporto la notizia e il commento INTERAMENTE da Gianluca Martino (@gianlucamart1) su twitter. Chi scrive è lui. La mia unica considerazione è che se ancora nel mondo esiste il nazismo, oggi uno dei suoi interpreti è il sionismo. E non ci sia qualcuno che stupidamente mi accusa di antisemitismo. Mentre pubblico questo intervento, penso ai miei cari amici intellettuali, scrittori e poeti israeliani e a quelli palestinesi, e soffro ugualmente per tutti loro. Penso a Mahmoud Darwish, poeta che ho nel cuore. RESTIAMO UMANI
LA STORIA DEI 40 BAMBINI DECAPITATI
di Gianluca Martino
Com’è andata realmente la storia dei 40 bambini decapitati e perché la maggioranza dei politici e dei media è un’accozzaglia di razzisti e pressappochisti. La notizia è partita da questi due fenomeni: David Zion e Nicole Zedek.
Il soldato israeliano David Ben Zion, intervistato dalla giornalista tv Nicole Zedek, dice che ci sono i corpi decapitati di 40 bambini. La giornalista, anche lei presente sul posto, invece di verificare, “spara” la notizia alla tv i24 news con il seguente commento: “I palestinesi sono degli animali, ma questo già lo sapevamo”.
La notizia viene ripresa dalla CNN e a ruota da tutti i media del mondo, arrivando a miliardi di persone. Scoppia l’indignazione “I palestinesi vanno puniti. Hanno fatto bene a bombardarli” dicono.
Passano ore e ore ma nessun giornalista pensa di andare a verificare. Un giovane giornalista israeliano, Oren Ziv, twitta timidamente (in sintesi) “Guardate che anch’io sono sul posto, non ho visto bambini decapitati. Qui i soldati e gli ufficiali dell’esercito non sanno nulla”.
Come se non bastasse il danno provocato dai media, scende in campo la classe politica più scarsa e ignorante dai tempi di Romolo Augustolo. La dichiarazione più indecente e pericolosa arriva da Biden che afferma di aver visto e verificato le foto dei bambini decapitati.A New York e altre città USA scendono in piazza per chiedere un genocidio, in India chiedono al proprio governo di intervenire militarmente in Palestina. In Italia, cani rabbiosi della politica e dei media di destra e di sinistra chiedono allegramente la Soluzione Finale.
Intanto veri giornalisti israeliani, come quelli di Haaretz e altri, pretendono le prove, pressano insistentemente lo stato maggiore dell’esercito che comunica di non avere elementi a riguardo. Intervistano il soldato David Ben Zion che ora dichiara di non aver visto personalmente i corpi decapitati ma che gli è stato riferito da alcuni commilitoni a lui sconosciuti.
Scoprono che il soldato è un fanatico estremista di destra, fomentatore d’odio che da anni incita, anche sui social, allo sterminio dei palestinesi.
Il danno è ormai irreparabile. Come se non bastasse l’avvio del genocidio interno, si registrano numerosi casi di aggressioni a palestinesi residenti in occidente, mentre i media italiani continuano senza pudore a dare la notizia falsa omettendo di rettificarla.
ecco la compilation per sostenere Gaza (anche economicamente) – è molto bella e ricca, eterogenea – fra tutti gli altri, io partecipo con Marco Colonna.
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non aggiungo una sola parola: ha detto tutto lui, Norman Finkelstein
Ho tradotto un articolo di Brahim Senouci, blogger, giornalista e saggista algerino, per avere qui una voce “altra”, con parametri non dettati dall’Occidente. Mi pare davvero molto interessante e chiarificatore il parallelo con la nascita del colonialismo. Ringrazio l’autore. Buona lettura.
E, per chi volesse, qui l’articolo originale in francese.
Israele è il nuovo Cortés, incaricato far rispettare la legge dell’Occidente su questa terra ripulita della sua popolazione col massacro o l’addomesticamento. Essere solidali con la Palestina oggi, significa battersi contro questa prospettiva e sostenere una democrazia mondiale nella quale l’uguaglianza fra gli uomini, tutti gli uomini, divenga la regola…
Nel 16mo secolo, la potenza spagnola è al suo apogeo. Le sue navi attraversano l’Atlantico, conquistano l’Eldorado americano, e fanno man bassa delle straordinarie ricchezze che contiene. Le popolazioni indigene facilitano il loro lavoro. Loro non conoscono le armi e, a dispetto del loro numero, finiscono per sottomettersi ad un piccolo distaccamento spagnolo condotto da Hernan Cortés.
Dei coloni s’installano in quelle regioni e accumulano fortune considerevoli ricavate dallo sfruttamento di terre immense e da una manodopera costituita da schiavi poco inclini a ribellarsi.
I nuovi padroni ne approfittano per infliggergli lavori estenuanti, esercitare su di loro sevizie sessuali e torture che possono arrivare fino all’uccisione.
Ci sono anche degli Spagnoli che si commuovono per la sorte di quei poveretti e che vanno a lamentarsi con la Chiesa. In propria difesa, i coloni sostengono che, a fronte dei loro costumi «barbari», quegli indigeni non meritano d’appartenere alla specie umana e che, per questo, è lecito trattarli come semplici animali. Sorge un dibattito che sfocia nella famosa controversia di Valladolid. Vengono sono interpellate numerose personalità, religiosi, filosofi. È così che nel 1550 ha luogo quello che la Storia riterrà come il primo dibattito sui diritti dell’uomo.
La questione posta è semplice: «Gli Indiani hanno un’anima?». Il confronto si cristallizza rapidamente tra padre Bartolomé de Las Casas e Ginés de Sepúlveda, amico di Hernan Cortés, canonico di Cordoba. La tesi di quest’ultimo è semplice: Dio ha dato alla Spagna dei regni inferiori su cui estendere il suo potere per la propria gloria. In questo contesto, gli Indiani sono «animali» nati per stare sotto il giogo degli Spagnoli. Dall’altro lato, padre Bartolomé de Las Casas, 27 anni, chiede rispetto per la loro dignità, arrivando fino a contrastare giuridicamente i conquistadores e imporre loro un territorio protetto, senza schiavi, senza violenza. E vince la scommessa! Il destino degli Indiani è così un pochino raddolcito. Tuttavia, devono convertirsi al cristianesimo con la forza.
L’epilogo della controversia è molto più scuro. I coloni, avendo perso la massa di operai docili e schiavi alla loro mercé di cui disponevano, si mettono alla ricerca di «carne fresca». L’Africa gliela fornisce. È così che nasce il sinistro commercio triangolare, tragedia dei Neri che ha arricchito trafficanti senza scrupoli, la cui fortuna è esposta negli splendide dimore di Nantes e Bordeaux, palazzi i cui frontoni sono adornati, ancora oggi, da una «testa di negro»…
È TANTO LONTANO IL 16mo SECOLO? LE COSE SONO MOLTO CAMBIATE DA ALLORA… DAVVERO?
Certo, la schiavitù e le conversioni forzate sono scomparse. Gli indigeni di ieri vivono in grande maggioranza in paesi liberi. Gli Occidentali infatti hanno finito per sottomettersi alla volontà d’indipendenza dei popoli che hanno per lungo tempo asservito. È chiaro, tuttavia, che questa nuova configurazione del mondo non ha portato al diffuso benessere economico, resta più o meno circoscritta alla sfera occidentale. Soprattutto, la liberazione dei popoli è rimasta in larga misura teorica. La maggior parte di loro sono ancora in un testa a testa impari con le ex potenze coloniali che continuano a dettare le loro linee politiche e persino influenzano la scelta dei loro leaders! L’esempio di Françafrique la dice lunga sulla artificialità dell’indipendenza di molti paesi africani e sul mantenimento della loro subordinazione nei confronti degli interessi degli ex dominatori. Se necessario, all’Occidente non ripugna ricorrere alla buona vecchia diplomazia delle cannoniere. Spesso si fa in nome di principi morali che ci spiega essere fondamento della sua politica. Si tratta, proclama, di cacciare dei dittatori e di offrire a dei popoli asserviti la prospettiva di un orizzonte di libertà e di democrazia. il risultato di questo interventismo è là, sotto i nostri occhi. L’Iraq e la Libia si liquefanno sotto lo sguardo indifferente dei loro «salvatori». L’effetto domino si propaga fino alla Siria, votata senza dubbio a trasformarsi in un conglomerato di sultanati regionali in incessante stato di guerra …
Scartiamo l’ipotesi di un accecamento dell’Occidente che l’avrebbe condotto a disconoscere gli effetti dei propri interventi. Sarebbe come accreditargli una dose d’imbecillità senza nesso con la realtà. Scartiamo allo stesso modo la tesi di una buona azione che degenera in effetti perversi. Chi potrebbe immaginare che Blair e Bush, perdendo il sonno a causa della situazione del popolo iracheno gemente sotto lo stivale di Saddam, siano arrivati a mentire spudoratamente per poter volare in suo soccorso? Questa guerra condotta contro l’Iraq è una dimostrazione della realtà del paradigma occidentale, che subordina il futuro del mondo al suo esclusivo interesse. Poco importa che interi popoli siano coinvolti nella tempesta, poco importa che centinaia di migliaia di bambini muoiano per gli effetti del lungo embargo che ha preceduto l’invasione dell’Iraq, poco importa che il futuro stesso della Terra sia compromesso da un inquinamento disastroso generato da uno stile di vita follemente consumistico. La supremazia dell’Occidente deve essere mantenuta a qualunque prezzo. Non si accontenta di far cadere i proiettili. Riveste le proprie truppe di un discorso morale, democratico, di rispetto dei diritti umani. Vuole conservare non soltanto la sua superiorità militare ma anche il monopolio dell’universalismo. I valori che promuove, affrancandosene, sono valori universali. Non ce ne potrebbero essere altri. La «comunità internazionale», è lui. Il resto del mondo non è che un fornitore di materie prime, di manodopera a buon mercato, presidiato da governanti disponibili e attenti ai desideri di colui che gli assicura di mantenerli sul trono. Ecco dunque l’immensa zona grigia alla quale apparteniamo, nella quale coloro che presiedono ai nostri destini non rispondono al proprio popolo, ma a coloro ai quali devono la loro posizioni. Riguardo all’Occidente, c’è un «loro e noi». Loro, sono quelli la cui umanità è discutibile, o negata. Anche questa negazione fa parte della matrice occidentale. È grazie a ciò che li ha potuti massacrare su larga scala, e torturare, senza che la propria coscienza e l’inossidabile fede in se stesso ne siano significativamente alterate. Massu, il Massu della battaglia d’Algeri, spiegava che la tortura sarebbe stata possibile solo per il fatto che i soldati che la praticavano avevano fra le mani non degli esseri umani ma dei «bicots», dei «ratons», dei «bougnoules»[1]. Consideriamo che la Repubblica francese non ha avuto bisogno di modificare la sua costituzione per instaurare il codice nero in Africa o il codice nativo in Algeria. Le popolazioni che li subivano formavano il «corpo d’eccezione», composto da soggetti che non hanno vocazione ad essere dei cittadini. Questa attitudine non veniva da una minoranza razzista. Era condivisa dalla maggioranza degli artisti, intellettuali, personalità politiche dell’epoca. mai rivisitata, mai formalmente rimessa in causa, la matrice essenzialista continua ad essere la bussola dell’Occidente!
Gaza ne fornisce oggi una nuova illustrazione. Tutto è stato detto sull’orrore che conosce questa piccola striscia di terra, sottomessa a un blocco inumano da 8 anni. Non c’è bisogno di aggiungere nulla, tranne qualcosa di essenziale. Tutto il mondo ha costatato il sostegno unanime dell’Occidente ad Israele, o piuttosto la reiterazione di questo sostegno che dura in realtà da quando Israele esiste. Tutto il mondo ha constatato la singolare mancanza di empatia dell’Occidente con le vittime palestinesi, le scarsa sensibilità davanti alle morti di bambini o di neonati. A volte scivola una parola di compassione, ma seguita immediatamente da un reportage fortemente empatico con la «sofferenza» degli Israeliani che non possono stare tranquillamente su una spiaggia, darsi al surf o alla degustazione di gelati. È la matrice essenzialista che parla. I Palestinesi non hanno ontologicamente gli stessi diritti dei loro carnefici. La loro morte è nell’ordine delle cose. Quella degli Israeliani al contrario fa scandalo. Le barriere politiche cessano d’essere rilevanti quando l’essenziale, cioè la preminenza del «Noi» sul «Loro», è in gioco. La sinistra di governo francese vola in soccorso dell’estrema destra israeliana. Obama, Merkel, Hollande, Cameron, e la quasi totalità di dirigenti occidentali, ad eccezione di alcuni paesi come la Svezia o la Norvegia, dimentichino le loro divergenze per comunicare nel loro amore per Israele. Dimenticano perfino di tentare di cambiare differenziando le loro infiammate dichiarazioni dalla solfa abituale sulla necessità di trovare un accordo. Hollande arriva anche ad accusare Hamas di far naufragare il processo di pace.. Nessuno ha avvertito che non esisteva più?
Che l’Occidente getti alle ortiche il suo discorso morale abituale a vantaggio della difesa incondizionata di un dei suoi non sorprende. Lo farà sempre di più, man mano che la sua leadership fin qui incontestata farà delle crepe con l’arrivo di nuovi attori. Plus desolante, invece, è l’attitudine di alcuni nostri compatrioti (algerini) che adottano gli argomenti favoriti dei sionisti. E denunciano come l’antisemitismo sarebbe ciò che alimenta le manifestazioni contro il massacro di Gaza. Allo stesso modo, insorsero contro una sorta di solidarietà automatica con la Palestina che si esercitasse a scapito del sostegno per il popolo siriano, dell’aiuto ai berberi mozabiti di Ghardaïa e, più in generale, li distogliessero dalla lotta per instaurare la democrazia nel nostro paese. Cukierman e Prasquier, dirigenti del CRIF, non dicono altro. Loro sono in pieno servizio. I nostri, invece, malgrado la loro evidente buona fede, giocano contro il loro campo. È abbastanza strano, visto le immagini atroci di corpi smembrati di bambini, immaginare che non sia contro questi assassini che i manifestanti gridano la loro collera ma che lo facciano per un antisemitismo che sarebbe inscritto nei loro geni. Questo si chiama “processo alle intenzioni” particolarmente mal riuscito dal momento in cui popolazioni senza difesa sono sotto le bombe. Ci sono anche quelli che adottano come proprio la barzelletta di “scudi umani” di cui si servirebbe Hamas per proteggersi. È l’argomento favorito d’Israele… serve a giustificare i crimini che sta commettendo. Un’altra lamentela ricorrente: “Se gli Algerini sono solidali con i Palestinesi, è per un riflesso tribale arabo-islamico”. Perché dovremmo impedirci di solidarizzare con un popolo col quale abbiamo tante cose in comune? Perché dovremmo obbedire alle ingiunzioni di chi ci ordina di disfarci di questi «arcaismi» che ci portano verso coloro che ci somigliano, soprattutto se la giustizia è dalla loro parte? Gli autori di queste critiche hanno qualcosa da ridire sul fatto che 26 dei 27 paesi dell’Unione Europea hanno voluto includere la dimensione cristiana dell’Europa nel progetto di Costituzione? Trovano normale che la Turchia, sebbene laica, sia dichiarata non gradita nell’UE perché musulmana? Niente da dire sulla solidarietà fra paesi ortodossi o fra paesi cattolici? Ultima cosa per coloro che rimproverano ai manifestanti il loro tropismo palestinese: li invito a leggere l’opera di Alain Gresh «Da cosa viene il nome della Palestina?». Vi si ritrovano le ragioni della centralità della causa palestinese, che oltrepassa la semplice questione del condividere alcuni ettari di terreno, e che ha molto a che fare con la mappa del Medio Oriente che viene ridisegnato davanti ai nostri occhi nel sangue dei bambini in Siria.
I problemi sono generalmente gli stessi del 1550. Per l’Occidente si tratta di riaffermare la propria supremazia, in un momento in cui è contestata. La regione più sensibile è questo vicino Medio-Oriente dispensatore generoso di petrolio. È dunque là che il ferro viene riscaldato e che, a grandi colpi di forbice, si fanno sparire dei paesi vecchi come il mondo. Senza scrupoli. I milioni di vittime, dirette o indirette, sono arabi o simili, «bougnouls», una specie inferiore che non vale la pena di trattare coi guanti.
Israele, fin dalla sua nascita, si è definita come una «cittadella avanzata della civilizzazione». È il nuovo Cortés, incaricato di far regnare la legge dell’Occidente su questa terra che avrà in precedenza spogliato della sua popolazione col massacro o l’addomesticamento. Essere solidale con la Palestina oggi, significa battersi contro questa prospettiva e impegnarsi per una democrazia mondiale nella quale l’uguaglianza tra gli uomini, tutti gli uomini, diventerà la regola….
dal blog di Brahim Senouci (Le Quotidien d’Oran, 24 luglio 2014)
[1] “capretti”, “topolini”, “piccoli carbonai”. Tutti dispregiativi per indicare i nordafricani.
Questo testo può apparire debole e rinunciatario – ma rappresenta la mia condizione di impotenza attuale rispetto a come l’occidente sta gestendo l’arroganza e la falsità delle tesi israeliane: un regime teocratico e sanguinario, violento e determinato allo sterminio, che non ha nessuna opposizione da parte dei governi “occidentali”. Davanti a ciò che succede a Gaza sono disperato e impotente: oggi non potevo scrivere un testo differente da questo, anche se avrei voluto farlo.
scarica il testo in italiano
This text may appear weak and renunciative – but it represents my current state of helplessness with respect to how Western civilization is managing the arrogance and falsity of the Israeli thesis: a theocratic bloody regime, violent and determined to exterminate, which has no opposition on the part of Western governments. Before what is happening in Gaza I’m desperate and helpless: today I couldn’t write a text different from this one, even if I wanted to.
download the text in English
translated by Jack Hirschman
Alberto Masala: testo e voce
Marco Colonna: clarinetto basso e FX
questo film racconta la terribile storia del sionismo molto bene
The zionist story sottotitolato in italiano
Un film indipendente di Ronen Berelovich è la storia del sionismo e dell’applicazione pratica di questa ideologia nella creazione dello stato di Israele. La pulizia etnica, il colonialismo e l’apartheid usati verso la popolazione palestinese per produrre uno stato ebraico demograficamente “puro”. Ronen Berelovich è un cittadino israeliano e ha fatto anche parte dell’esercito israeliano come riservista, esperienza che gli ha mostrato l’occupazione in prima persona.
Ma arriviamo al punto: da sempre dico che essere ebrei non significa essere sionisti. Sarebbe come dire che la nazionalità italiana automaticamente ti arruola nel PDL. I sionisti sono fascisti che stanno perpetrando un genocidio nei confronti del popolo palestinese. Indossando la maschera del terribile dramma dell’Olocausto sono diventati simili ai loro aguzzini nazisti. Ma ho scritto molto su questo e non voglio ripetere qui: rimando a questo blog dove, digitando Israele nella finestrella in alto a destra “cerca nel blog”, compariranno decine di articoli sulla questione ed informazioni sull’attività degli Ebrei antisionisti.
Stavolta io non dico niente. Guardate il video messaggio dell’attivista per i diritti umani Vittorio Arrigoni che risponde da Gaza alle dichiarazioni di Roberto Saviano rilasciate durante la manifestazione sionista di Roma “Per la verità, per Israele”.
da Israele: riporto integralmente un articolo di Carlo M. Miele – l’articolo originale è su Osservatorio Iraq
31 maggio 2010
“La versione israeliana è assurda. Israele sostiene che i suoi soldati sono stati aggrediti, ma le immagini che vengono trasmesse in queste ore dai media internazionali parlano chiaro: c’è stato l’assalto da parte delle forze speciali che si sono calate da un elicottero, e sono state queste ad aprire il fuoco sui passeggeri inermi. Non è possibile capire al momento l’esatta dinamica dell’incidente, ma l’idea che siano stati gli attivisti ad aggredire i soldati israeliani è semplicemente assurda”.
Vittorio Arrigoni parla da Gaza dove da tempo è impegnato come cooperante. In queste ore, insieme agli altri attivisti del Free Gaza Movement, sta seguendo le sorti della Freedom Flotilla, la spedizione internazionale intenzionata a rompere l’assedio su Gaza e assaltata la notte scorsa dalla marina israeliana.
“Siamo in costante collegamento con le imbarcazioni che si trovano ancora a Cipro, in attesa di partire per Gaza, ma non è possibile parlare con coloro che si trovano a bordo delle imbarcazioni sequestrate, e portate nel porto di Ashdod”, afferma.
Secondo la Rete romana di sostegno alla popolazione palestinese, che sta monitorando da giorni la missione della Freedom Flotilla, a bordo della spedizione ci sarebbero sei italiani, ma nessuno di loro risulterebbe nell’elenco di vittime e feriti.
“In questo momento – dice Alessandra, portavoce della Rete – è impossibile parlare con coloro che si trovavano a bordo delle navi. Non sappiamo niente di loro, salvo che sono stati letteralmente sequestrati e condotti nel porto israeliano di Ashdod, per essere interrogati. Si tratta di una sorta di carcere preventivo. E Israele ha annunciato anche che avvierà dei procedimenti giudiziari contro gli attivisti, che sarebbero accusati di ‘avere aggredito’ i suoi soldati”.
Israele afferma che a bordo delle imbarcazioni sequestrate vi fossero anche delle armi.
“È un accusa ridicola – dice ancora Arrigoni – perché prima di lasciare i porti di partenza le navi vengono perquisite da cima a fondo, proprio per assicurarsi che nel carico non vi sia nulla di illegale. Ed è priva di fondamento anche l’idea della minaccia posta alla sicurezza di Israele, visto che le imbarcazioni erano pacificamente dirette verso Gaza, senza mai entrate in acque israeliane, e sono state aggredite mentre si trovavano in acque internazionali, a 75 miglia dalle coste della Palestina”.
Israele parla di una “provocazione” da parte della missione internazionale, affermando che a Gaza non vi è alcuna reale emergenza umanitario.
“Dopo tre anni e passa di assedio – ribatte Arrigoni – la Striscia è allo stremo. Lo scorso anno Jimmy Carter dopo una visita a gaza dichiarò che il blocco sta uccidendo lentamente 1,5 milioni di persone. E poi basta leggere i continui rapporti e le denunce che arrivano dalle nazioni Unite e da organizzazioni non governative, come Amnesty International. Non serve che Israele mostri le merci presenti nei negozi di Gaza. Bisognerebbe parlare delle cose che mancano, dai medicinali, alle attrezzature mediche ai materiali edilizi. Ed è bene sottolineare che anche le merci che ci sono arrivano dai tunnel e che non tutti possono permettere. E’ vergognoso che nel 21esimo secolo un popolo debba scavare tunnel venti metri sotto terra per avere le cose di cui ha bisogno”.
Molti osservatori israeliani adesso sono preoccupati per le reazioni della comunità internazionale, ma soprattutto per quelle della popolazione palestinese che vive nello Stato ebraico e nei Territori occupati. Qualcuno arriva a prevedere lo scoppio di una terza Intifada, ma secondo Arrigoni questa eventualità al momento non esiste.
“Adesso si sta preparando una manifestazione non-violenta, che si annuncia molto partecipata, con cui chiedere l’intervento della comunità internazionale e una condanna unanime per Israele e per questo ennesimo massacro compiuto dal suo governo. Ma è triste pensare che solo fino a ieri tra la popolazione di Gaza c’era tanta attesa, tanta voglia di accogliere questa nuova spedizione internazionale. Nei giorni scorsi, ho visto la speranza e i sorrisi sui volti della gente, come non accadeva da tanto tempo”.
e dopo la giornata della memoria, si ricomincia a smemorare in un rituale che ormai è diventato vuoto e formale come, per esempio, un 8 marzo preceduto e seguito da stupri e violenze sistematiche sulle donne…
non ci piace assistere immobili all’accapparramento da parte delle istituzioni di tematiche e territori che riguardano più lo spirito e la coscienza di ognuno… per un giorno all’anno possono dare una cristiana sciacquatina con i buoni sentimenti e poi… si continua peggio di prima: genocidi, guerre, pulizie etniche, razzismi…
tanto per non fargliela passare liscia troppo facilmente, pubblico una lettera per la giornata della memoria di Michael Warschawski, israeliano di Alternative Information Center
18 gennaio 2009
Assolutamente No! Non nel loro nome, non nel nostro.
Ehud Barak, Tzipi Livni, Gabi Ashkenazi e Ehud Olmert – non osate mostrare la vostra faccia durante una cerimonia per commemorare gli eroi del ghetto di Varsavia, Lublin, Vilna o Kishinev. E neanche voi dirigenti di Peace Now, per cui la pace significa la pacificazione della resistenza palestinese, con ogni mezzo, incluso la distruzione di un popolo. Se ci sono, io stesso farò il possibile per espellervi da questi eventi, perché la vostra presenza sarebbe un sacrilegio immenso.
Non nei loro nomi.
Non avete diritto di parlare in nome dei martiri del nostro popolo. Voi non siete Anna Frank del lager di Bergen Belsen, ma Hans Frank, il generale tedesco che agì per affamare e distruggere gli ebrei di Polonia.
Non rappresentate nessuna continuità con il ghetto di Varsavia, perché oggi il ghetto è qui davanti a voi, il bersaglio dei vostri carri armati e la vostra artiglieria, si chiama Gaza.
Gaza, che voi avete deciso di eliminare dalla carta, come il generale Frank voleva eliminare il ghetto. Ma a differenza dei ghetti di Polonia e Bielorussia, dove gli ebrei sono stati abbandonati da quasi tutti, Gaza non sarà eliminata perché milioni di uomini e donne da tutto il mondo stanno costruendo uno scudo umano potente su cui campeggiano due parole: Mai Più!
Non nei nostri nomi.
Insieme a decine di migliaia di ebrei, dal Canada alla Gran Bretagna, dall’Australia alla Germania, vi avvertiamo: non osate parlare a nome nostro perché vi perseguiremo, anche – se necessario – nell’inferno dei criminali di guerra, e vi ricacceremo le parole in gola, fino a farvi chiedere perdono per averci coinvolto nei vostri crimini. Noi, e non voi, siamo i figli di Mala Zimetbaum e Marek Edelman, di Mordechai Anilevicz e Stephane Hessel, e portiamo il loro messaggio all’umanità per tutelare la resistenza di Gaza: “Lottiamo per la nostra e la vostra libertà, per il nostro e il vostro orgoglio, per la nostra e la vostra dignità umana, sociale e nazionale” (Appello dal Ghetto al mondo, Pasqua, 1943)
Ma per voi, leaders di Israele, “libertà” è una parola sporca. Non avete nessun orgoglio e non capite il significato della dignità umana.
Noi non siamo “un’altra voce ebrea”, ma invece l’unica voce ebrea capace di parlare a nome dei martiri torturati del popolo ebreo. La vostra voce non è altro che l’antico clamore bestiale degli assassini dei nostri antenati.
Absolutely Not in Their Name, Not in Ours
Michael Warschawski, Alternative Information Center (Israel)
Jan 18, 2009
Absolutely Not! Not in Their Name, Not in Ours.
Ehud Barak, Tzipi Livni, Gabi Ashkenazi and Ehud Olmert–don’t you dare show your faces at any memorial ceremony for thehttp://www2.blogger.com/img/blank.gif heroes of the Warsaw Ghetto, Lublin, Vilna or Kishinev. And you too, leaders of Peace Now, for whom peace means a pacification of the Palestinian resistance by any means, including the destruction of a people. Whenever I will be there, I shall personally do my best to expel each of you from these events, for your very presence would be an immense sacrilege.
Not in Their Names
You have no right to speak in the name of the martyrs of our people. You are not Anne Frank of the Bergen Belsen concentration camp but Hans Frank, the German general who acted to starve and destroy the Jews of Poland.
You are not representing any continuity with the Warsaw Ghetto, because today the Warsaw Ghetto is right in front of you, targeted by your own tanks and artillery, and its name is Gaza. Gaza that you have decided to eliminate from the map, as General Frank intended to eliminate the Ghetto. But, unlike the Ghettos of Poland and Belorussia, in which the Jews were left almost alone, Gaza will not be eliminated because millions of men and women from the four corners of our world are building a powerful human shield carrying two words: Never Again!
Not in Our Name!
Together with tens of thousands of other Jews, from Canada to Great Britain, from Australia to Germany, we are warning you: don’t dare to speak in our names, because we will run after you, even, if needed, to the hell of war-criminals, and stuff your words down your throat until you ask for forgiveness for having mixed us up with your crimes. We, and not you, are the children of Mala Zimetbaum and Marek Edelman, of Mordechai Anilevicz and Stephane Hessel, and we are conveying their message to humankind for custody in the hands of the Gaza resistance fighters: “We are fighting for our freedom and yours, for our pride and yours, for our human, social and yours” (Appeal of the Ghetto to the world, Passover 1943)
But for you, the leaders of Israel, “freedom” is a dirty word. You have no pride and you do not understand the meaning of human dignity.
We are not “another Jewish voice”, but the sole Jewish voice able to speak in the names of the tortured saints of the Jewish people. Your voice is nothing other than the old bestial vociferations of the killers of our ancestors.
pubblico integralmente una bella lettera di Franco Berardi (Bifo) che è apparsa su ReKombinant:
[RK] Che dirò ai miei studenti nel giorno della memoria?
L’ho trovata talmente chiara ed importante da sentire la necessità di farla risuonare. D’altronde la funzione di questo blog è sempre stata quella di riecheggiare le voci intelligenti. In questo senso la mia voce non diventa necessaria quando ne appare un’altra così limpida…
Un caro abbraccio ed un ringraziamento a Bifo, filosofo e pensatore ad oltranza, nonché insegnante in una scuola serale di Bologna. Per chi vuole conoscerlo meglio: su questo sitoo su Wikipedia
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«hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame (…) li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l’umanità intera».
Insegno in una scuola serale per lavoratori, in gran parte stranieri.
E’ un ottimo osservatorio per capire quel che accade nel mondo.
L’anno scorso, avvicinandosi il giorno della memoria che ogni anno si celebra nelle scuole, leggemmo brani dal libro Se questo è un uomo di Primo Levi. Avevamo parlato molto della questione ebraica, e della storia del popolo ebreo dalle epoche lontane al ventesimo secolo. Proposi che tutti scrivessero un breve testo sugli argomenti di cui avevamo parlato.
Claude D, un ragazzo senegalese di circa venti anni, piuttosto pigro ma dotato di vivacissima intelligenza concluse il suo lavoro con queste parole: “Ogni anno si fanno delle cerimonie per ricordare lo sterminio degli ebrei, ma gli ebrei non sono i soli che hanno subito violenza. Perché ogni anno dobbiamo stare lì a sentire i loro pianti quando altri popoli sono stati ammazzati ugualmente e nessuno se ne preoccupa?”
Questa frase mi colpì, e decisi di proporla alla discussione della classe, in cui oltre Claude c’erano cinque italiani due marocchini un peruviano una brasiliana, un somalo, due ragazze romene una ucraina e due russi. L’opinione di Claude era quella di tutti. Sia ben chiaro: nessuno mise in dubbio la verità storica dell’Olocausto, neppure Yassin, un ragazzo marocchino appassionato alla causa palestinese e sempre pronto a criticare con durezza Israele. Tutti avevano seguito con attenzione e partecipazione la lettura delle pagine di Primo Levi.
Però tutti mi chiedevano: perché non si fanno cerimonie pubbliche dedicate allo sterminio dei rom, dei pellerossa, o allo sterminio in corso dei palestinesi? Claude a un certo punto uscì fuori con una frase che non potevo contestare: perché nessuno ha pensato a un giorno della memoria dedicato all’olocausto africano? Pensai ai milioni di suoi antenati deportati da negrieri schiavisti, pensai all’irreparabile danno che questo ha prodotto nella vita dei popoli del golfo d’Africa occidentale, e conclusi il discorso in maniera che a tutti apparve risolutiva (vorrei quasi dire salomonica): “Nel giorno della memoria si ricorda l’Olocausto ebraico perché attraverso questo sacrificio si ricordano tutti gli Olocausti sofferti dai popoli di tutta la terra.”
Ammesso che la parola “identità” significhi qualcosa, e non lo credo, per me l’identità non è definita dal sangue e dalla terra, blut und boden come dicono i romantici tedeschi, ma dalle nostre letture, dalla formazione culturale e dalle nostre mutevoli scelte. Perciò io affermo di essere ebreo. Non solo perché ho sempre avuto un interesse fortissimo per le questioni storiche e filosofiche poste dall’ebraismo della diaspora, non solo perché ho letto con passione Isaac Basheevis Singer e Abraham Jehoshua, Gerhom Sholem, Akiva Orr, Else Lasker Shule e Daniel Lindenberg, ma soprattutto perché mi sono sempre identificato profondamente con ciò che definisce l’essenza culturale dell’ebraismo diasporico. Nell’epoca moderna gli ebrei sono stati perseguitati perché portatori della Ragione senza appartenenza. Essi sono l’archetipo della figura moderna dell’intellettuale. Intellettuale è colui che non compie scelte per ragioni di appartenenza, ma per ragioni universali. Gli ebrei, proprio perché la storia ha fatto di loro degli apatridi, hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della figura moderna dell’intellettuale ed hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione dell’Illuminismo e della laicità, e anche dell’internazionalismo socialista.
Come scrive Singer, nelle ultime pagine del suo Meshugah: “La libertà di scelta è strettamente individuale. Due persone insieme hanno meno libertà di scelta di quanto ne abbia una sola, le masse non hanno virtualmente nessuna possibilità di scelta.”
Per questo io sono ebreo, perché non credo che la libertà stia nell’appartenenza, ma solamente nella singolarità. So bene che nel ventesimo secolo gli ebrei sono stati condotti dalla forza della catastrofe che li ha colpiti, a identificarsi come popolo, a cercare una terra nella quale costituirsi come stato: stato ebraico. E’ il paradosso dell’identificazione. I nazisti costrinsero un popolo che aveva fatto della libertà individuale il valore supremo ad accettare l’identificazione, la logica di appartenenza e perfino a costruire uno stato confessionale che contraddice le premesse ideologiche che proprio il contributo dell’ebraismo diasporico ha introdotto nella cultura europea.
In Storia di amore e di tenebra scrive Amos Oz: “Mio zio era un europeo consapevole, in un’epoca in cui nessuno in Europa si sentiva ancora europeo a parte i membri della mia famiglia e altri ebrei come loro. Tutti gli altri erano panslavi, pangermanici, o semplicemente patrioti lituani, bulgari, irlandesi slovacchi. Gli unici europei di tutta l’Europa, negli anni venti e trenta, erano gli ebrei. In Jugoslavia c’erano i serbi i croati e i montenegrini, ma anche lì vive una manciata di jugoslavi smaccati, e persino con Stalin ci sono russi e ucraini e uzbeki e ceceni, ma fra tutti vivono anche dei nostri fratelli, membri del popolo sovietico.”
Il mio punto di vista sulla questione mediorientale è sempre stato lontano da quello dei nazionalisti arabi. Avrei mai potuto sposare una visione nutrita di autoritarismo e di fascismo? E oggi potrei forse sposare il punto di vista dell’integralismo religioso che pervade la rabbia dei popoli arabi e purtroppo ha infettato anche il popolo palestinese nonostante la sua tradizione di laicismo? Proprio perché non ho mai creduto nel principio identitario non ho mai provato
particolare affezione per l’idea di uno stato palestinese. I palestinesi sono stati costretti all’identificazione nazionale dall’aggressione israeliana che dal 1948 in poi si è manifestata in maniera brutale come espulsione fisica degli abitanti delle città, come cacciata delle famiglie dalle loro abitazioni, come espropriazione delle loro terre, come distruzione della loro cultura e dei loro affetti. “Due popoli due stati” é una formula che sancisce una disfatta culturale ed etica, perché contraddice l’idea – profondamente ebraica – secondo cui non esistono popoli, ma individui che scelgono di associarsi. E soprattutto contraddice il principio secondo cui gli stati non possono essere fondati sull’identità, sul sangue e sulla terra, ma debbono essere fondati sulla costituzione, sulla volontà di una maggioranza mutevole, cioè sulla democrazia.
Pur avendo un interesse intenso per l’intreccio di questioni che la storia ebraica passata e recente pone al pensiero, non ho mai scritto su questo argomento neppure quando l’assedio di Betlemme o il massacro di Jenin o l’orribile violenza simbolica compiuta da Sharon nel settembre del 2000 o i bombardamenti criminali dell’estate 2006 provocavano in me la stessa ribellione e lo stesso orrore che provocavano gli attentati islamici di Gerusalemme o di Netanja o gli omicidi casuali di cittadini israeliani provocati dal lancio di razzi Qassam.
Non ho mai scritto nulla, (mi dispiace doverlo dire), perché avevo paura. Come ho paura adesso, non lo nascondo. Paura di essere accusato di una colpa che considero ripugnante – l’antisemitismo. So di poter essere accusato di antisemitismo a causa della convinzione, maturata attraverso la lettura dei testi di Avi Shlaim, e di cento altri studiosi in gran parte ebrei, che il sionismo, discutibile nelle sue scelte originarie, si è evoluto come una mostruosità politica. Pur avendo paura non posso però più tacere dopo aver discusso con lo studente Claude. Considero il sionismo causa di infinite ingiustizie e sofferenze per il popolo palestinese, ma soprattutto lo considero causa di un pericolo mortale per il popolo ebraico. A causa della violenza sistematica che il sionismo ha scatenato negli ultimi sessant’anni, la bestia antisemita sta riemergendo, e sta diventando maggioritaria se non nel discorso pubblico nel subconscio collettivo.
Dato che non è possibile affermare a viso aperto che il sionismo è una politica sbagliata che produce effetti criminali, molti non lo dicono, ma non possono impedirsi di pensarlo.
Aprendo la discussione sulle parole dello studente Claude, ho scoperto che gli altri studenti, italiani e marocchini, romeni e peruviani, che pure nel loro svolgimento avevano trattato la questione secondo gli stilemi politicamente corretti, costretti ad approfondire il ragionamento e a far emergere il loro vero sentimento, finivano per identificare il sionismo con il popolo ebraico e quindi a ripercorrere la strada che conduce verso l’antisemitismo. Considerando criminale e arrogante il comportamento dello stato di Israele, identificandosi spontaneamente con il popolo palestinese vittimizzato, finivano inconsapevolmente per riattivare l’antico riflesso anti-ebraico.
Proprio la rimozione e il conformismo che si coltivano nel giorno della memoria stanno producendo nel subconscio collettivo un profondo antisemitismo che non si confessa e non si esprime. Perciò credo che occorra liberarsi della rimozione e denunciare il pericolo che il sionismo aggressivo rappresenta soprattutto per il popolo ebraico.
Trasformare la questione ebraica in un tabù del quale è impossibile parlare senza incorrere nella stigmatizzazione benpensante sarebbe (anzi è già) la condizione migliore per il fiorire dell’antisemitismo.
Si avvicina il 27 gennaio, che sarà anche quest’anno il giorno della memoria. Come potrò parlarne nella classe in cui insegno quest’anno?
Non c’è più Claude, ma ci sono altri ragazzi africani e arabi e slavi ai quali non potrò parlare dell’immane violenza che colpì il popolo ebraico negli anni Quaranta senza riferirmi all’immane violenza che colpisce oggi il popolo palestinese. Se tacessi questo riferimento apparirei loro un ipocrita, perché essi sanno quel che sta accadendo.
E come potrò tacere le analogie tra l’assedio di Gaza e l’assedio del Ghetto di Varsavia del quale abbiamo parlato recentemente? E’ vero che gli ebrei uccisi nel ghetto di Varsavia nel 1943 furono 58.000 mentre i morti palestinesi sono per il momento solo mille. Ma come dice Woody Allen i record sono fatti per essere battuti. La logica che ha preparato la ghettizzazione di Gaza (che un cardinale cattolico ha definito “campo di concentramento”) non è forse simile a quella che guidò la ghettizzazione degli ebrei di Varsavia? Non vennero forse gli ebrei di Varsavia costretti ad ammassarsi in uno spazio ristretto che divenne in poco tempo un formicaio? Non venne forse costruito intorno a loro un muro di cinta della lunghezza di 17 chilometri di tre metri di altezza esattamente come quello che Israele ha costruito per rinchiudere i palestinesi? Non venne agli ebrei polacchi impedito di uscire dai valichi che erano controllati da posti di blocco militari?
Per motivare la loro aggressione che uccide quotidianamente centinaia di bambini e di donne, i dirigenti politici israeliani denunciano i missili Qassam che in otto anni hanno causato dieci morti (tanti quanti l’aviazione israeliana uccide in mezz’ora). E’ vero: è terribile, è inaccettabile che il terrorismo di Hamas colpisca la popolazione civile di Israele. Ma questo giustifica forse lo sterminio di un popolo? Giustifica il terrore indiscriminato, la distruzione di una città? Anche gli ebrei di Varsavia usarono pistole, bombe a mano, bottiglie molotov e perfino un mitra per opporsi agli invasori. Armi del tutto inadeguate, come lo sono i razzi Qassam. Eppure nessuno può condannare la difesa disperata degli ebrei di Varsavia.
Cosa posso dire, dunque, nel giorno della memoria? Dirò che occorre ricordare tutte le vittime del razzismo, quelle di ieri e quelle di oggi. O questo può valermi l’accusa di antisemitismo?
Se qualcuno vuole accusarmi a questo punto non mi fa più paura. Sono stanco di impedirmi di parlare e quasi perfino di pensare ciò che appare ogni giorno più evidente: che il sionismo aggressivo, oltre ad aver portato la guerra e la morte e la devastazione al popolo palestinese, ha stravolto la stessa memoria ebraica fino al punto che nelle caserme israeliane sono state trovate delle svastiche, e fino al punto che cittadini israeliani bellicisti hanno recentemente insultato cittadini israeliani pacifisti con le parole “con voi Hitler avrebbe dovuto finire il suo lavoro”.
Proprio dal punto di vista del popolo ebraico il sionismo aggressivo può divenire un pericolo mortale. L’orrenda carneficina che Israele sta mettendo in scena nella striscia di Gaza, come i bombardamenti della popolazione di Beirut due anni fa, sono segno di demenza suicida. Israele ha vinto tutte le guerre dei passati sessant’anni e può vincere anche questa guerra contro una popolazione disarmata. Ma la lezione che ne ricavano centinaia di milioni di giovani islamici che assistono ogni sera allo sterminio dei loro fratelli palestinesi è destinata a far sorgere un nuovo nazismo.
Israele può sconfiggere militarmente Hamas. Può vincere un’altra guerra come ha vinto quelle del 1948 del 1967 e del 1973. Può vincere due guerre tre guerre dieci guerre. Ma ogni sua vittoria estende il fronte dei disperati, il fronte dei terrorizzati che divengono terroristi perché non hanno alcuna alternativa. Ogni sua vittoria approfondisce il solco che separa il popolo ebraico da un miliardo e duecento milioni di islamici. E siccome nessuna potenza militare può mantenere in eterno la supremazia della forza, i dirigenti sionisti aggressivi dovrebbero sapere che un giorno o l’altro l’odio accumulato può dotarsi di una forza militare superiore, e può scatenarla senza pietà, come senza pietà oggi si scatena l’odio israeliano contro la popolazione indifesa di Gaza.